LA PRUCISSIONE DI VINIRDÌ SANDE A CHIETE
(seguendo la poesia di Renato Sciucchi)
Siamo nel 2020 e vorrei descrivere un avvenimento che ci tocca tutti. Quest’anno addirittura tutto è cambiato in tutti noi perché ci ritroviamo quasi in un’altra entità del pianeta. Siamo improvvisamente in guerra passando da una Comunità mondiale aggregata in un’altra disaggregata con futuro tutto da ricominciare e capire.
Licio Esposito (nella foto con Franco Zappacosta). Storiografo.
(Scritto da Licio Esposito)
Nell’Aprile del 1943, ancora nella seconda guerra mondiale la Processione si svolse regolarmente, anche se in forma ridotta, questo secondo “L’antica Processione raccontata da vecchie immagini” di Teresio Cocco, Gerardo Di Cola e Stefania Cocco - Editrice Di Cola. Memorabile quella del 1944 quando, al rientro in San Giustino, i tedeschi tentano di rastrellare gli uomini che vi partecipano, senza riuscirci. Arrivarono in ritardo e non sapevano di altre porte della Cattedrale.
Mi dicono che le cose ora sono diverse, può essere vero ma la processione mi sembra che sia sempre la stessa. Basta leggere alcune quartine della poesia di Renato e ci siamo dentro, nulla può cambiare una tradizione, una storia della nostra città. Quindi noi amiamo.
(da “Opera Omnia-Renato Sciucchi di Francesco Sciucchi e Luciano Di Tizio)
“Pè lu chjtine ch’a da sta lundane, Vinirdì Sande è ‘na vera smànije, ma chì arevè, magare a pide e mane, pure si sta a la Frange o a la Germanije.”
Era il periodo che molto italiani approdarono in Europa per ragioni di lavoro.
“Nin vide a rivinì, tu, chesta gende magare quande vè Natale,ma a la Prucissione sta presente, se nen se vò murì de cacche male!
Le persone magari non si vedono ritornare a Natale ma sono alla processione se non vuoi prenderti qualche accidente.
“Puteche, le fenestre, li balcone, da la matine già stanno aggiustate ‘nghe lampadine e ‘nghe li lampione ch’aspette sole d’essere appicciate.”
E’ ciò che il popolo dimostra lungo il percorso, lo fa senza retorica ma con fede. Illumina tutto ciò che si affaccia al Corteo.
“E guardi tu la sorte quant’è amare: le povere ‘gnilluce e le crapette a le puteche de li macellare, sta’ ‘ppese nghe le bandierelle ‘n pette…”
“Lu musse ‘nsanguenate, e le zampette gnè stessere a zumbà, tenghene chiste;ma chi so morte accise e chille a’ dette: “”..li binidice, quande passe Criste!””
E’ una descrizione di una macelleria che espone agnellini e caprette alquanto insanguinate e appese che verranno benedette al passaggio del Cristo morto.
“Da cacche jorne, intante, a San Giustine se fa le prove de li sunature: si cerche d’accucchià, nghi li viuline, ddù sune che s’accorde a li canture.”
Sono un vecchio cantore ed insieme ai miei compagni di scuola Mantini e Perinelli, facevamo le prove per cantare nel coro. Ci radunavamo a casa e poi, dopo varie giornate, per le prove generali ci si recava in cattedrale. I nostri preparativi per il vestito scuro con cravatta a farfalla e poi il procurarsi il baschetto nero, l'emozione quando ci siamo presentati ed anche il timore che alle ultime prove qualcuno ci potesse escludere. Insomma bisognava andare a tempo e Renato descrive benissimo quelli che dirigevano. Noi comunque eravamo preparati. L'attesa della nostra uscita ed il primo impatto delle prime note. Penso che alla prima entrata del "miserere" non ricordo se era uscito qualche suono, insieme alla musica formata da strumenti e corda come violini, contrabbassi o simili. Passata la prima emozione si cantava con fede e con passione e mi sentivo un vero teatino mi sentivo rappresentante della mia città.
“Verso le tre s’à viste ‘n luntananze da lu Cambette e arrete a lu Stallone, vinì a ‘che sopre chelle Fratellanze: -Madonne de lu Fredde-e-Lu Calvone-”.
Quando Renato parla di "arrete a lu Stallone" so di quale posto si parla e mi riporta indietro di anni, quelli della giovinezza. Si riferisce alla via adiacente la Villetta cioè via S.Olivieri. La Caserma “Spinucci” già Vittorio Emanuele ha nella zona ovest una serie di stalle che prima serviva per i cavalli, che confina ad Est con la via Olivieri appena accennata e a fianco alla strada c’era e penso ci sia ancora, sempre se non hanno costruito qualcosa, un dirupo dove noi, novelli monelli si andava a fare la “scivolarella” come slitte artigianali. Senza contare che da quel posto (a lu Stallone) c’era una specie di traguardo di partenza di alcune carrozzelle di legno che due cuscinetti posteriore e un altro alla guida con manubrio basso che si spingeva prima a mano. Poi dopo lo spunto si monta su questo quasi triciclo fornito di una tavoletta piana e un manubrio che era un tronchetto di legno. Sulla tavoletta montava il “pilota” e via in discesa fino alla strada in fondo alla via Olivieri-quartiere Pietragrossa. La discesa era abbastanza breve(!) almeno 300 metri. Macchine quasi nulle. Siamo negli anni ‘40 avanzati.
Il mio commento, anche se indirettamente, per una processione che l’amico Renato ci ricorda fatti e persone che omaggiano e pregano “….quande passe Criste!”.
La processione prosegue la sua marcia cadenzata, lenta con la gente alle finestre e ai balconi
“E’ piene ogne fenestre, ogni balcone. La folle pè la strade abball’ abballe…Nen sacce da do a’ scite ‘stu pienone!..... ma ci stì a camenà sopre a stì calle?”
La nostra attenzione non ci distoglie dall’analizzare al passaggio del gruppo -la colonna, a cui il Cristo fu legato e sormontato dal gallo e dagli strumenti di flagellazione
“Appresse a queste, lu ‘Allucce nere, nghe nu codone longhe atturcenate, (ma per la verità, lu ‘alle vere j’ dice male a chi’ l’a retrattate”.
Per dare maggiore rilievo alla processione il poeta usa la parola “atturcenate” per due volte nel proseguimento, che a me piace molto, quando descrive lu’Allucce nere (gallo nero) con la coda atturcenate (tradotto riavvolto?) e ancora “nu serpente atturcenate”, che si riferisce alla Croce ai cui piedi sono posti un teschio umano e un serpente.
“Pecchè lu ‘alle vere che candisè quande a la terre venne Jasù Criste, e pè tre vote Pietre arinnighise, sicure ne ere brutte come chiste…!)”
Accenna a Pietro che negò la conoscenza con Cristo. Prima che il gallo canta Pietro mi rinnegherà tre volte!
“Ecche lu Sasse e la Curone sopre di Spine, e lu vaccile nghe la Brocche, e la cammiscia Roscie l’arecopre e li Dade che sirvirne a fa lu tocche.”
Tutti gli attrezzi che riguardano come trattavano il prigioniero.
“Nghe Spugne e Lance, mò passe La Scale, che ‘n mezze La Tenaje tè attaccate; a pide ci sta pure lu fanale
(che ne le sace come fu aduprate)”
E’ rappresentata la scala con le tenaglie, i chiodi e la canna con la spugna intrisa d’aceto.
“A pide nu serpente atturcenate, che te’ vicine ‘na de morte, che da lu Cambesante fu levate, e che po’ sta cundente pe’ sta sorte”.
“ Signò, nen te so viste? — E che ti vusse?A do’ t’à di’ j’ a mette? Nì stì bone? Ma chiste, abbetuate pè li fusse, se scanze e l’arecapiste bone bone.”
Un piccolo episodio di essere tra la folla dei fedeli. Il poeta usa un termine che vuol dire capisci di nuovo e te stai buono.
“Se sendene a struscià li pide ‘n terre; ve’ li Trufeè che le porte a spalle Ruccucce, Cambialette, Brusciaferre. Giustine Misce, Alberte lu Sellare, Giuvanne Santacroce, Spadecate, lu fije de De Marche, macellare che sta alla Piazza, abbasse a la calate.”
Lo struscio dei piedi è caratteristico nella Processione specialmente nel silenzio che per alcuni attimi sembra irreale. Nello stesso tempo nomina alcuni personaggi che il poeta conosceva e rende loro omaggio.
“Ecche lì musicande, avanti a Criste! Cantante e sunature sò parecchie). Lu core se commove a te pì chiste che fa lu “Miserere” de Selecchie.”
Il poeta continua. “So’ sempre chì li stesse, da tant’anne…..”
Nella Cattedrale si provano le strofe del Miserere di F. Saverio Selecchy.
Dal libro “Il Venerdì Santo a Chieti” di TERESIO COCCO - GERARDO DI COLA - STEFANIA COCCO. Aprile 2009.
“Passe lu Criste! Pjghe li jnucchje, e circhije perdone pe’ lu peccate! Pé la vergogne n’à d’avezà l’ucchje a Chille che pe’te fu flagellate;”
“E’ tra bengale e frijarille tonne, che fanno luce tutte culurate, che passe lu Padrone de lu Monne, e, appresse, La Madonne Addulurate.
“E Queste va vistite tutte nere, p’accumpagnà lu Fije che s’à morte. Ci vide ‘n facce lu dolore vere de chella mamme che nen piagne forte.”
“Vulesse scrive ancora sopra a Queste, pì dice quant’è belle stù mumente; manel le pozze fa, cà troppe aleste lu core a mè me sbatte: so credente".
Riproponendo il percorso già effettuato anni or sono.
Alcuni commenti all’epoca.
04/04 risposta a Nicola da BO
Gent.mo Sig.Esposito,
Non posso esprimere quello che ho provato leggendo la sua lettera di ricordi circa la preparazione per la processione del Venerdi Santo. Mi sono sentito sollevare e trasportato indietro nel tempo di circa sessanta anni quando io e mio fratello, allievi di violino del maestro D'Alessandro abitante in viale Amendola, con tutti gli altri allievi di altre scuole di musica, ci preparavamo mesi e mesi prima per essere pronti a suonare quel commovente e trascinante Miserere culminante nel finale colossale con la Passione espressa da tutti, cantori e musici, con una forza tale che anche adesso mi passa un brivido sotto pelle.
Quante ore passate ad esercitarci per suonare e camminare allo stesso tempo tenendo d'occhio il bastone del direttore generale che ci indicava i tempi! E le strade e le stradine illuminate e la gente che quasi ci abbracciava da tanta che era assiepata ovunque. Ma ne avrei da raccontare e non basta questo spazio e sopratutto non ho abbastanza forza da resistere ad un’emozione così profonda.
Grazie per questo bagno nel passato.
Suo Nicola
Carissimo Nicola,
La nostra oramai è una vecchia conoscenza espressa già per le nostre reminiscenze di carattere calcistico. Le sue parole si commentano da solo per tutti quelli che si sentono teatini nei propri valori che non si dimenticano e che vorremmo trasferire, anche alle nuove generazioni. Sono i segni della cultura trasmessa dai nostri padri e che cercheremo di mantenere nel tempo. Ha descritto la preparazione al canto e specialmente come descriveva Renato: “Ecche lì musicande, avanti a Criste!” (cantante e sonature so parecchie”, nello stesso tempo mi ricorda nella mia prima intervista a questo sito scrivevo:” ….le poesie dialettali di mio padre, mi hanno fatto conoscere anche usi e costumi di allora. Le corse dei cavalli senza fantini che “partè da S.Anne.” per le feste di S.Giustino. La descrizione delle garitte delle guardie alla cinta daziaria “… nu fregie, na sciabola…” Scrivevo ancora: “Sono dei momenti della nostra storia e come non dimenticare “La prucissione di vinirdì sande a Chiete” dell’amico Renato Sciucchi che descrive l’avvenimento specie “Lu core se cummove a te pì chiste che fa lu “Miserere” de Selecchie”. Mi riporta ai ricordi di tanti anni fa e mi fa rivivere quegli episodi. Infatti, io sono stato uno di quei cantori, magari indegnamente. Questi pochi esempi possono sintetizzare “l’essere teatino” a difesa di una cultura attraverso anni ed anni.
Come diceva Johan Wolfgang Goethe “Non c’è futuro senza passato”. Forse ne siamo molto orgogliosi magari anche troppo. Questo appunto scrivevo e dicevo a suo tempo!
Lei mi ricorda ora, perché non ricordavo, il maestro D’Alessandro il cui figlio è stato compagno di scuola di un mio familiare, poi quando mi dice di tenere d’occhio il bastone del direttore generale, mi viene in mente, come diceva la poesia, “’Ndonije Giannine”, però mi sbaglierò. Nei primi versi della poesia, il nostro fa riferimento già allora (1967) a coloro che stanno lontano “a la Frange o a la Germanije” ma noi siamo in Italia che siamo sempre “lu chjtine ch’ha da sta lundane”.
Per dare maggiore rilievo alla processione il poeta usa la parola “atturcenate” per due volte, che a me piace molto, quando descrive lu’Allucce nere (gallo nero) con la coda atturcenate (tradotto riavvolto?) e “nu serpente atturcenate”, noi sappiamo cosa voglia dire!
Le sue emozioni sono le mie ed anche quelle degli altri nostri amici che, per ragioni varie, risiedono fuori dall’Abruzzo e che sono stati testimoni della grande processione ed emozione che coinvolge tutti i presenti. Intanto, come già fatto nell’altro sito, vorrei ringraziare gli “amici colleghi” di questo sito che in “tifochietichannel” ci fanno rivivere quei momenti per le strade della città che, io personalmente, ho potuto ripercorrere anche se lontano da Chieti.
Poi ancor vorrei ringraziare “l’arciconfraternita del Sacro Monte dei Morti” perché ha proposto al pubblico di internet la nostra storia di fede e di passione attraverso un nostro poeta dialettale.
Caro Nicola, aprendo una breve parentesi sportiva, Le volevo dire che le sue richieste sono interessanti perché fa parte ormai di coloro che ci ricordano personaggi del calcio passato e presente che è vivo in noi. Comunque su questo sito potrà vedere su Link-laltrocalciomio-Blog sul calcio teatino di Ricciuti, alcune foto dell’epoca e magari con diversi suoi, ed anche miei, beniamini se ancora non l’ha già fatto.
La saluto cordialmente anche per le espressioni di benevolenza nei miei confronti. A presto.
Con affetto Licio.
Dal sig. Nicolino
Gent.Sig.Esposito,
Come prima cosa voglio scusarmi con lei per il ritardo con cui rispondo alla sua ma il tempo mi scorre tra le mani ad una tale velocità che avrei bisogno di una giornata di almeno trenta ore. E' molto coraggioso a propormi di pubblicare la mia lettera; non vedo in essa nulla di particolarmente esaltante solo considerazioni derivanti da riflessioni e da normali sentimenti di fronte ai fatti della vita.
Quello che le ho raccontato sono solo momenti di vita che ho avuto la fortuna di vivere e di cui tra le tante cose, devo ringraziare i miei genitori che con enorme lungimiranza e consci di fornirci un’educazione al 100 per 100 ci avevano spinti a studiare anche la musica!
Devo però confessare che mia madre era una bravissima pianista e che quando aveva tempo, si sedeva al piano e ci faceva ascoltare brani di opera e di operette e qualche volta anche arie di canzoni allora in voga. Devo anche confessare che mio nonno responsabile del settore edilizio del comune, ricopriva anche la carica di coordinatore dei vigili del fuoco e per questo suo ruolo aveva diritto ad una poltrona di platea al Teatro Marrucino.
Molte volte lui mi accompagnò ad assistere alle tante opere che in quegli anni si rappresentavano. Come vede quindi, era una strada obbligata quella di suonare il violino per ben sette anni. Purtroppo con gli studi sempre più impegnativi la musica non era conciliabile: a casa dovevamo esercitarci su brani sempre più complessi che poi dovevamo ripetere all'insegnante e la musica non si può improvvisare a quei livelli.
La posizione delle note con le dita doveva essere precisissima un po' più indietro o un po' più avanti erano altre note.
Scusi se mi sono dilungato su questo aspetto ma per raccontare cosa c'era dietro alla partecipazione in musica alla Processione. Per tornare alla sua richiesta può pubblicare la mia lettera ma dubito che possa ottenere da chi la leggerà un’accoglienza e un approfondimento ragionato. Dico questo e le racconto perché. Dopo le elezioni di Chieti in cui si era affermato con grandi numeri, un partito contrario all'accoglienza e al rispetto per lo straniero, enormemente amareggiato e pur non essendo uso a scrivere ai giornali, pur tuttavia misi da parte le mie remore e scrissi una lettera al direttore di tifo chieti che spesso leggo per tenermi aggiornato sullo sport a Chieti. Nella lettera ricordavo quando nell'orribile inverno '43-44 migliaia e migliaia di persone arrivarono a Chieti spinti dalla guerra che si approssimava e cercarono asilo e aiuto avendo dovuto abbandonare la maggior parte dei loro averi.
Nessuno si tirò indietro e tutti diedero quello che poterono: la mia famiglia cedette una stanza ad una famiglia del contado di Chieti. Facemmo ogni cosa per alleviare la loro sofferenza e ci furono per sempre grati.
Ma era così in tutta Chieti e ricordo che ogni androne e dietro ogni portone trovarono alloggio famiglie e famiglie con bambini della mia età ma anche più piccoli che piangevano non saprei se più per il freddo o per la fame; poco carbone poca legna. Ma credo che molti si salvassero perché molti li aiutarono senza dire nulla dividendo quel poco che si aveva.
Non potrò mai dimenticare quei mesi. Qualche giorno dopo la pubblicazione della mia lettera sul sito, arrivò una lettera da una città del Nord Italia in cui l'autore, forse non avendo visto e vissuto quella stagione né toccato con mano la disperazione e la sofferenza di quell'esodo, non era d'accordo con quello che io avevo cercato di ricordare ai miei concittadini e concludeva dicendo che lui fa molta beneficienza contribuendo con frequenti donazioni alle attività umanitarie di un istituto religioso considerando sufficiente il suo aiuto indiretto. Niente sul piano di empatia. Le ho voluto raccontare questo piccolo particolare per farle capire quanto poco le parole di uno che ha visto quello che ha visto, possono essere di aiuto a indirizzare la mente al passato. Nella lettera concludevo così: per favore non fate morire Chieti affossando il suo passato!
Sarebbe interessante se a Chieti ci fosse ancora qualcuno che ha vissuto quegli avvenimenti e che ne pensa a distanza di anni.
Se lei crede che quelle semplici parole che ho scritto siano utili per qualcuno le pubblichi pure con il mio nome. Se non ha perso la pazienza nel leggere quello che ho scritto me ne scuso e la saluto cordialmente.
N.F.