TifoChieti ha incontrato per voi Massimiliano Barni, uno degli indimenticati protagonisti dell’ultima promozione della storia ottenuta dalla “fu” Chieti Calcio 1922.

 

Buongiorno Max, partiamo dalla tua infanzia…Come e quando ti sei innamorato del gioco del calcio?
Il calcio è sempre stata la mia passione: ho cominciato a giocare vicino casa nella Vis Aurelia a Roma nella quale ho militato dai 6 ai 12 anni, poi sono passato alla Lazio dove ho percorso tutta la trafila delle giovanili fino alla primavera.

 

Nelle tue annate in biancoceleste avrai avuto certamente modo di vedere da vicino alcuni grandi campioni della prima squadra. Chi ti ha impressionato maggiormente di loro?
In allenamento capitava spesso di giocare contro i ragazzi della classe 1976, quelli che diventarono campioni d’Italia nella stagione 1994/95. In quella squadra primavera tra gli altri militavano Marco Di Vaio ed Alessandro Nesta: me li sono trovati di fronte spesso nelle partitelle di allenamento e Alessandro fu senza dubbio colui che mi impressionò maggiormente, si vedeva che aveva la stoffa del campione. In quanto alla prima squadra se devo farti due nomi ti direi sicuramente Giuseppe Signori e Alen Boksic.

 

Cosa ti ha fatto decidere di lasciare la Lazio?
La compagine di Cragnotti era piena di ottimi giocatori e in prospettiva sapevo che sarebbe stato molto difficile trovare spazio in prima squadra. Decisi quindi di andare altrove per cominciare a giocare con assiduità.

 

Dopo la Lazio hai giocato un anno a Viterbo dove hai esordito tra i professionisti e due in Puglia, a Nardò. Cosa ricordi di quegli inizi.
Ho esordito ad agosto 1996 in un Siena-Viterbese di Coppa Italia sotto la guida del compianto mister Guido Attardi. Ho un ricordo vivido di quella partita, la mia prestazione fu molto positiva. Poi vennero i due anni a Nardò dove alla prima stagione vincemmo il campionato di serie D e fummo promossi in C2, con me giocava anche Danilo Coppola che tutti voi ricorderete.

 

Dopo un anno a Rieti sei arrivato a Chieti nella prima annata targata nuovo millennio. Da chi sei stato contattato e cosa conoscevi del Chieti prima di arrivare in città?
Avevo deciso di  riavvicinarmi a casa e scelsi quindi Rieti per il prosieguo della mia carriera. Disputai una stagione da protagonista realizzando un buon numero di reti e l’estate successiva mi arrivarono diverse richieste. Insieme al mio agente di allora Carlo Perrone (ex giocatore tra le altre di Lazio ed Ascoli) valutavamo il da farsi: lui mi parlò di un interessamento del Teramo dell’allora presidente Romano Malavolta, mi disse che era una società seria, ambiziosa, economicamente forte e che sarebbe stata una buona opportunità per la mia carriera. 
Un episodio però indirizzò in senso opposto la mia decisione: mi tornò in mente che quando militavo nelle fila del Nardò incontrammo il Chieti in una amichevole estiva. La partita finì in pareggio ma rimasi impressionato dall’incitamento continuo dei tifosi neroverdi per tutti i novanta minuti di gioco.
Faccio un piccolo inciso: oltre ad essere un appassionato di calcio sono sempre stato un grande appassionato di tifoserie e le ho sempre seguite con molta attenzione. Sapevo che a Chieti la tifoseria storica era quella degli Achaean Generation ai quali più tardi subentrarono gli Irriducibili che per il nome (lo stesso del principale gruppo ultras della Lazio della quale sono tifoso sfegatato) mi erano simpatici. Quello stesso caloroso ed incessante incitamento lo ritrovai nella partita di campionato della stagione 1998-99 in serie C2 giocata all’Angelini e vinta dal Chieti per 2-0 contro di noi con autorete di Landi e gol di Paolo Terzaroli. Io non giocai perché ero infortunato ma ricordo di aver rivisto la partita in tv e aver di nuovo sentito i tifosi neroverdi cantare per tutti i novanta minuti, davvero un sostegno incredibile.
Chiesi quindi a Carlo Perrone di provare a sentire il Chieti per capire se ci fosse la possibilità di vestire la maglia della società di Viale Abruzzo. Mauro Traini, allora DS neroverde ed amico di Perrone , prese informazioni sul mio conto e di lì a poco siglammo l’accordo per un anno di contratto. Fu proprio un segno del destino visto poi come sono andate le cose…

 

A Chieti hai ritrovato Paolo Zaccagnini tuo compagno nelle giovanili della Lazio per cinque anni e anche lui classe 1977 come te. Escludendo però Alessandro Battisti, Fabio Grosso e lo stesso Paolo eravate tutti volti nuovi per la piazza. La cosa ti preoccupava o ti stimolava?
Eravamo un gruppo molto giovane che aveva tanta voglia di affermarsi o riaffermarsi. Molti di noi venivano da una stagione sottotono e avevano bisogno di rilanciarsi: per me quella precedente era stata una stagione positiva ma in una realtà minore e quindi personalmente nutrivo un forte desiderio di affermarmi in una piazza importante come Chieti. La cosa che mi colpì subito fu l’ossatura della squadra e la difesa arcigna. Ad essere onesti dopo due giorni di ritiro avevo visto all’opera Maurizio Lauro e mi chiedevo come facesse a giocare in C2 un calciatore così, visto che non riusciva a calciare la palla a più di cinque metri di distanza. Nelle partitelle  però giocava spesso in marcatura su di me ed ebbi modo di ricredermi sul suo conto: aveva un senso dell’anticipo fenomenale ed una voglia di fare e lottare fuori dal comune e il prosieguo della sua carriera è lì a testimoniarlo. Maurizio fu uno dei leader di quella difesa e uno dei valori aggiunti di quel Chieti.

 

Tatticamente nel 3-5-2 di partenza di mister Morganti i tuoi polmoni dovevano lavorare parecchio per arare la fascia sinistra. Visto che non avevi mai giocato da esterno, ti chiedo quanto è stato difficile per te adattarsi al nuovo ruolo e se magari avresti preferito giocare altrove.
Durante la fase di preparazione e nelle prime amichevoli estive il mister impiegava nel ruolo di esterno sinistro Andrea Fattizzo o Luca Fratarcangeli mentre io e Fabio Grosso ci giocavamo il posto da mezzala sinistra. Una settimana prima dell’inizio del campionato Morganti mi prese da parte e sondò la mia disponibilità a giocare da esterno sinistro. Nella mia carriera  avevo sempre ricoperto il ruolo di centrocampista centrale ed era quindi una novità assoluta ma accettai di buon grado la proposta. Con mio stesso stupore mi trovai completamente a mio agio sulla fascia e devo dire che il mister ebbe un’idea folgorante. Se potessi tornare ragazzo comincerei a giocare da esterno sin da subito e, al netto della sfortuna che mi ha tartassato con due infortuni al ginocchio e ben cinque alla caviglia, avrei probabilmente avuto un’altra carriera. Il mister scelse me in quel ruolo perché probabilmente gli garantivo maggiore rabbia agonistica e forza fisica rispetto a Grosso che era meno dinamico di me ma aveva un piede educatissimo.  E pensare che l’anno successivo, dopo il trasferimento al Perugia e grazie all’intuizione di Serse Cosmi, Fabio visse la mia stessa “trasformazione” da centrocampista/mezzala ad esterno sinistro. Sinceramente pensavo che non sarebbe stato in grado di ricoprire quel ruolo ed invece dimostrò il contrario diventando un ottimo esterno sinistro, e fu soprattutto grazie a lui che vincemmo il mondiale nel 2006.

24 settembre 2000, un Chieti in perfetta media inglese e sette punti in cascina fa visita alla capolista Teramo. Timori e speranze per quella partita.
Eravamo molto carichi già in settimana e ci allenammo alla grande. Molti di voi conosceranno già il retroscena accaduto negli spogliatoi di Teramo poco prima della partita quando mister Morganti appese al muro un articolo di giornale in cui Camorani, esterno del Teramo, ci definiva un fuoco di paglia. Entrammo in campo affamati, vogliosi e la sua sventura fu quella di giocare sulla mia fascia di competenza. Lo riempii di calci, sopratutto a palla lontana tanto che ad un tratto si voltò e mi chiese “Ma cosa ti ho fatto’?… Gli risposi imbufalito “Ti faccio vedere io il fuoco di paglia, oggi non dirmi niente, sono avvelenato!” Eravamo un gruppo agguerrito, sempre pronto ad aiutare il compagno in difficoltà, si remava tutti dalla stessa parte. Ricordo tante frasi mitiche che sono nate tra le mura dello spogliatoio e poi sono entrate nel nostro slang quotidiano come “Oggi non si rischia un c…” o “Se siamo uno a zero per noi palla in tribuna”,  modi di dire che mi porto dentro ancora oggi.

 

Ore 16.06 di quel caldo pomeriggio, punizione dal limite per il Chieti: si incarica Fabio Grosso della stoccata, il tiro viene respinto dal palo ma arriva Max Barni che lascia partire un missile terra aria che si insacca sotto la traversa…0-1! Gol fantastico, ma ancora più bella è la tua corsa folle di 80 metri in direzione curva Ovest dove erano assiepati i tifosi neroverdi. Io ho ancora i brividi a ricordarlo, a te cosa ti è passato nella mente in quei frangenti? 
Quando l’arbitro ci accordò la punizione a favore corsi sul punto di battuta perché volevo tirarla io: mi sentivo il piede caldo dopo il gol della settimana precedente contro il Castelnuovo Garfagnana e quello realizzato il giorno prima della gara in allenamento. Grosso si impossessò della sfera prima di me, provai a chiedergli di farmela tirare ma non ci fu verso. Allora mi allontanai e mi posizionai vicino al vertice sinistro dell’area di rigore: avevo una rabbia e una voglia di far gol pazzesche ed ero esaltato dall’aria del derby. Ricordo che la palla, dopo aver incocciato il palo, mi finì tra i piedi: non ci pensai due volte misi tutta la rabbia che avevo dentro in quel tiro, la palla toccò la traversa e si infilò in rete.
Da lì partii istintivamente verso la curva opposta perché volevo sentirmi addosso l’entusiasmo e il calore della mia gente, feci uno scatto incredibile, nessuno dei mie compagni riuscì a starmi dietro. Mi arrampicai sulla recinzione del settore ospiti per sentire il calore di voi tifosi a dieci centimetri da me. Queste sono le cose più belle del calcio, le partite passano ma momenti come quelli ti restano dentro per tutta la vita. Dopo quello scatto da centometrista ero quasi in apnea, impiegai cinque minuti a recuperare il fiato ma ne valse assolutamente la pena. In quella corsa c’era tutto il mio cuore e il mio orgoglio: vincere a Teramo 2-1 senza i favori del pronostico terminando la partita in nove ci fece capire che non eravamo solo una outsider o un gruppo inesperto di ragazzini ma potevamo ambire a qualcosa di importante. Fu la partita che diede la svolta alla nostra stagione ed è uno dei ricordi di quella fantastica annata che serbo più gelosamente. Concludo col dire che a fine partita il presidente Malavolta si fermò a dialogare con il mio agente e gli disse “Non è voluto venire da noi e ci ha pure castigato!”

 

 Di quel gruppo fantastico si è detto tanto ed è opinione comune che la vostra unione e la vostra fame di rivalsa siano state le armi vincenti per la vittoria finale. A mio parere però si tralascia un aspetto: quel senso “fuori dal comune” di attaccamento alla maglia che avete mostrato durante tutto l’anno. Più bravo nel  trasmettervelo fu mister Morganti o capitan Battisti?
Devo dire che intorno a noi ed in tutto l’ambiente c’era una buona atmosfera: a partire da Gino Mancinelli, magazziniere supertifoso, fino ad arrivare a Gabriele Morganti che aveva scritto da capitano la storia recente del Chieti, da tutti ricevemmo un’accoglienza pazzesca. Una frase del mister pronunciata la sera dei festeggiamenti in piazza mi è rimasta scolpita nella mente: disse rivolgendosi alla piazza gremita “Auguro un momento così ad ognuno di voi”. Credo che questa frase racchiuda tutto il senso di quella stagione. E’ difficile spiegare la voglia di sacrificarsi che ognuno di noi nutriva verso gli altri, non eravamo semplicemente compagni di squadra ma dei veri e propri amici.

 

L’infortunio subito a metà stagione ha però in parte compromesso le tue prestazioni.
Mi infortunai gravemente alla caviglia riportando la rottura del legamento, un infortunio pesante che mi sono portato dietro per molto tempo. Visto il reiterarsi degli infortuni nel corso della mia carriera, un paio di anni fa ho dovuto addirittura sottopormi ad un trapianto di  cartilagine alla caviglia. All’epoca, quando mi feci male, andai da professor Cerulli del Perugia che mi consigliò di operarmi altrimenti a 30 anni avrei buttato la caviglia; andai poi dal professor Campi della Lazio che mi prospettò invece una terapia diversa senza ricorrere all’intervento chirurgico. Ero giovane e avevo tanta voglia di giocare, decisi quindi di seguire i dettami del prof. Campi e cominciai la terapia riabilitativa. Rientrai in campo nella gara di ritorno con il Teramo durante la regular season nonostante nel corso della settimana precedente non mi fossi praticamente allenato con la palla e avessi disputato solo una amichevole.  Mister Morganti mi chiese se mi sentissi di giocare ed io, anche se molto dolorante, risposi in maniera affermativa.
Dai miei movimenti in campo il mister capì subito che non ero al 100% e continuava a chiedermi se non fosse il caso di farmi visitare da qualche altro specialista per cercare di sistemare le cose al meglio. Feci una fatica enorme a rimettermi in sesto, tornai al top della condizione solo nelle ultime sei o sette giornate di campionato.

 

La notte tra il 16 e il 17 giugno 2001 quante ore hai dormito?
Sapevamo dell’importanza della posta in palio, avevamo tanta tensione in corpo ma eravamo tranquilli, consci delle nostre potenzialità ed in piena fiducia con noi stessi. Ho dormito bene ed io, insieme a tutti i miei compagni, siamo riusciti a trasformare l’ansia in sicurezza e decisione. In campo ci animava una grande positività, disputammo due finali playoff quasi perfette incassando forse due tiri in porta in 180 minuti di gioco.

  

Durante la festa promozione in piazza Vittorio Emanuele ti abbiamo visto indossare una sciarpa ricevuta dal pubblico recante un messaggio di “stima ed affetto” rivolto ai nostri rivali costieri, messaggio rafforzato anche dal susseguente coro che hai intonato insieme a tutta la piazza. Gesti che i media locali non hanno perso occasione  di stigmatizzare in modo da gettare fango su di te e sulla città. Dacci la tua versione dei fatti.
Io e i miei compagni stavamo festeggiando da giorni la promozione e anche durante la mattinata che precedeva la festa in piazza non ci eravamo risparmiati, eravamo carichi e avevamo tanta voglia di gioire con la nostra gente. Arrivati in piazza i tifosi mi regalarono un paio di sciarpe, quindi Sergio Zappalorto che conduceva la diretta televisiva mi chiamò e tutto serio cominciò ad intervistarmi; io ero lì per divertirmi e non avevo voglia di interviste “serie”, presi il microfono e cominciai a cantare quel coro che tutti ricordate. Fu una cosa goliardica, istintiva, fatta da un ragazzo giovane senza nessuna malizia ma solo con la voglia di ridere e scherzare. A mente fredda ho capito che un calciatore non dovrebbe comportarsi così e che con il mio gesto ho insultato una città intera ma credimi in quel momento non ci ho proprio pensato. Dico solo che il dopo poteva essere gestito in maniera diversa.

  

In città si era sparsa la voce che a causa di quel gesto sei stato costretto a lasciare il Chieti. E’ vero?
Assolutamente sì. Pensa che un paio di giorni prima di quella serata mi ero incontrato a pranzo con Buccilli ed altri compagni di squadra e in quel frangente il presidente mi propose tre anni di contratto, che ovviamente accettai con enorme soddisfazione. Eravamo d’accordo sulla parola, dovevamo solo sederci a tavolino e mettere nero su bianco.Dopo quella famosa serata, invece, non l’ho più sentito, sono stato fondamentalmente cacciato via! So che giorni dopo alcuni tifosi del Pescara andarono nel negozio del presidente a lamentarsi del mio comportamento e, visto che le acque si stavano agitando parecchio anche a causa dell’aria di derby che si sarebbe disputato pochi mesi dopo, Buccilli decise di ignorarmi, forse per stare più tranquillo.

 

Tornando al senso di appartenenza: se affermo che ad agosto 2000 la maglia del Chieti per te era una maglia qualunque e dopo dieci mesi di militanza in neroverde l’avevi quasi tatuata addosso sono fuori strada?
Assolutamente no! Ho sempre rispettato la maglia sia in campo che negli anni successivi quando ero andato via da Chieti per il profondo affetto che nutrivo e nutro verso il gruppo di quell’anno e per i tifosi che ci sono stati vicini.  Anche per merito di quel gol a Teramo di cui abbiamo parlato poco fa si era creata un’alchimia stupenda: nel corso degli anni ci sono stati tanti piccoli episodi che mi hanno fatto e mi fanno sentire ancora oggi la vicinanza della gente di Chieti, ricordo ad esempio uno striscione apparso in curva recante la scritta “11 Barni”. Siamo sempre stati trattati alla grande dall’ambiente e noi non potevamo che ripagare con la maglia sudata ed il massimo impegno tutte le domeniche, sono ricordi che serbo nel cuore e non potrò mai dimenticare e per questo cerco di non perdermi nemmeno una rimpatriata con i protagonisti di allora.

 

Concedimi una battuta: com’erano i rapporti con capitan Battisti, vista la vostra atavica rivalità calcistica legata alle squadre della Capitale? Quanto vi siete presi in giro?
Su Roma e Lazio non si scherzava, pensa che un giorno stavamo parlando di derby ed eravamo molto avvelenati, sono volate parole grosse negli spogliatoi tra me ed Alessandro e se i nostri compagni non fossero intervenuti saremmo venuti alle mani. Il 29 aprile 2001 andammo all’Olimpico per assistere a Roma-Lazio:  eravamo io, Paolo Zaccagnini e Gianpaolo De Matteis tifosi della Lazio, il capitano, tifoso della Roma e Massimo Drago tifoso neutrale. La partita fu vibrante con la Roma avanti 2-0 e la Lazio che rimontò 2-2 con le reti di Nedved al 78’ e di Castroman al 93’ minuto. Battisti fece il viaggio di ritorno con Drago e Massimo mi raccontava che Alessandro non riusciva a farsi capace della vittoria sfumata all’ultimo respiro, piangeva e dava le testate al sedile della macchina. Era un periodo d’oro per il calcio romano, la Lazio aveva vinto lo scudetto ed io e Zac non perdevamo occasione di prendere in giro Battisti. Poi in quella stagione lo scudetto passò sulle maglie della Roma e per Alessandro quel 17 giugno 2001 fu un giorno da “asso pigliatutto”, con il Chieti promosso in C1 e la Roma campione d’Italia. A parte queste schermaglie dialettiche ho un bellissimo rapporto con Alessandro, una persona di cuore, innamorato del Chieti e dei colori neroverdi e non perde mai occasione per dimostrarlo.

 

Dopo aver lasciato l’antica e nobile Teate e aver militato nell’Ostia Mare, Rieti ed Isernia, nella stagione 2004-05 arrivi a Fano dove in panca ritrovi mister Morganti e come compagno di squadra Simone Pacini, anche lui attore (ma poco protagonista) della vittoria del 2001. Un annata non molto fortunata, sia per il mister che fu esonerato e sostituito da Alberti, sia per l’Alma  Juventus che retrocesse perdendo i playout.
Dopo l’esperienza in neroverde decisi di tornare a Roma e non allontanarmi troppo da casa.
Non fu una scelta azzeccata per la mia carriera, riconosco di amare molto la vita mondana e la sera mi piaceva uscire e godermi la vita a discapito della mia professione di calciatore. Ad Isernia in realtà disputai una buona stagione, a Fano partii molto bene poi mi infortunai e rimasi fermo tre mesi; oltre a me subirono gravi infortuni anche i nostri attaccanti Garba e Fanesi, durante la loro assenza facemmo molta fatica in zona gol, mister Morganti fu esonerato e la stagione finì male.

 

Un tuo aspetto caratteriale che ti ha aiutato come calciatore e uno invece che ti ha penalizzato.
La mia grinta, la grande voglia di fare e la mia ambizione sono certamente stati fattori positivi.
Come ti accennavo in precedenza invece la mia troppa voglia di vivere mi ha certamente penalizzato: amavo andare in giro la sera e riconosco che dopo i 25 anni non avevo più tantissima voglia di sacrificarmi e non condussi più una vita irreprensibile da atleta come in precedenza.

 

Hai chiuso la carriera nel 2007 …di cosa ti occupi oggi?
Giocai l’ultima stagione a Latina quando un ultimo infortunio alla caviglia mi mise definitivamente fuori causa. Il dottore mi disse “non ti puoi allenare tutti i giorni con la caviglia ridotta così”, significava che sarei dovuto andare a giocare in categorie inferiori e non ne avevo affatto voglia, quindi decisi di smettere. Oggi gestisco un bed & breakfast ma la passione per il calcio non mi ha abbandonato: a breve dovrei aprire un centro sportivo con dei campi di calcetto e tra qualche minuto entro in campo per una partitella con gli amici.

 

Ti lascio alla tua partitella con un’ultima battuta: se avessi davanti una piazza gremita di tifosi del Chieti, a quindici anni di distanza da quella serata, cosa diresti loro oggi?
Cosa direi? Non ho dubbi: FINCHE’ VIVRO’ CANTERO’………..!

 

 

 

 

si ringrazia il dott. G.M.Contessa per la collaborazione tecnica

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