TifoChieti ha avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con Marcello De Juliis, teatino doc, terzino del Chieti tra la fine degli anni ’70 e la metà degli anni ’80.

Buongiorno Marcello e grazie per il tempo che ci dedicherai. Partiamo dalla tua adolescenza…In quale società sei cresciuto calcisticamente?
Ho cominciato molto presto a giocare a calcio, da ragazzino militavo già in seconda categoria con il  Bucchianico. A 13 anni feci un provino con il Pescara, destai una buona impressione e decisero di prendermi: avrebbero voluto ottenere il mio cartellino gratuitamente mentre il presidente del Bucchianico, com’è ovvio che sia, pretendeva una contropartita economica. Morale della favola non ci fu accordo economico, il passaggio saltò e così passai al Chieti.

Da ragazzino andavi spesso allo stadio a seguire i colori della nostra città?
Certo! Già all’età di quattro anni andavo con mio padre a vedere le partite alla Civitella. Il ricordo più emozionante che serbo è sicuramente l’inaugurazione dello stadio Angelini il 28.05.1970. Assistetti dal vivo alla gara contro il Milan, per me che sono oltretutto tifoso rossonero fu una giornata indimenticabile.

 

Nella stagione 1977-78 entrasti nel giro della prima squadra. Cosa ricordi del primo impatto con il calcio dei grandi?
Giocavo nella “De Martino”, la “Berretti” dell’epoca, e il mister Ezio Volpi, subentrato in panchina insieme ad Arturo De Petri dopo l’esonero di Tony Giammarinaro, mi volle nel giro della prima squadra. Esordii in casa contro la Paganese la stagione successiva: per me, ragazzino nato in via Toppi e cresciuto a Chieti, esordire davanti al mio pubblico, davanti ad amici e parenti in Serie C a 18 anni fu quasi un sogno.
Ho tanti bellissimi ricordi di quei primi anni ma voglio citartene uno relativo alla trasferta di Olbia e risalente alla stagione 1977-78: alloggiavamo in alcuni casotti in collina, collina dalla quale si dominava il mare, posti veramente stupendi da perdere il fiato. In campo gli isolani schieravano un certo Angelo Domenghini, che vinse scudetti e coppe con l’Inter di Herrera e fu uno dei protagonisti principali dello storico scudetto del Cagliari datato 1970 . Nonostante avesse 37 anni non aveva smarrito la stoffa del campione: ricordo verso la fine del primo tempo che colpì la traversa con un bolide da fuori area, una roba mai vista, ne rimasi impressionato.


Parlaci dell’Ezio Volpi allenatore.
Ricordo che il mister era attento ad ogni minimo particolare, mi fece crescere molto come calciatore.  Passava ogni dettaglio sotto la lente d’ingrandimento e spesso ci mostrava in videocassetta le partite dei nostri futuri avversari. Studiava ogni movimento di squadra e del singolo per cercare di anticiparne le mosse: oggi è la normalità, lo fanno tutte le società, ma quaranta anni fa e con i mezzi tecnici di allora, non era così scontato.Non posso definirlo intransigente dal punto di vista  tattico, cercava sempre di adattarsi all’avversario tenendo conto del materiale umano che aveva a disposizione di domenica in domenica.

 

Tuoi compagni di spogliatoio erano tra gli altri Giacomo Violini (poi eterna riserva in seria A e B), Luigi De Canio (diventato poi affermato allenatore), Gianpaolo Rossi (che raggiunse la semifinale di Coppa delle Coppe con l’Atalanta nella stagione 1987-88), Mario Beccaria e Claudio Berlanda che, per ruolo, immagino sia stato il tuo mentore.
Come erano gli equilibri di quel gruppo? Chi ne era il leader?
Quello era un gruppo composto da grandi giocatori. Oltre a quelli che tu hai citato non posso non ricordare Fortunato Torrisi, Biagio Lombardi, Giuseppe Brunetti, Angelo Carpineta e soprattutto Elvio Salvori, con un passato speso in grandi squadre di serie A. Anche se ero ragazzino mi vollero subito bene e mi fecero subito sentire parte integrante del gruppo. Quell’anno feci sette o otto presenze, non l’avrei mai immaginato ad inizio stagione. 
Il leader di quello spogliatoio era sicuramente Salvori, figura di grandissima esperienza: con alcuni di quei compagni ci siamo rivisti tempo fa a Chieti per una cena, siamo rimasti molto legati.

 

Nella stagione 1978-79 hai avuto la possibilità di disputare il trofeo anglo italiano.
Purtroppo non partecipai ad alcuna trasferte in terra inglese, però ricordo con molto affetto le partite casalinghe. Giocai il secondo tempo contro il Matloch Town all’Angelini, ricordo calciatori molto più forti di noi e di gran lunga meglio preparati fisicamente che correvano come ossessi.La cosa mi colpì particolarmente, soprattutto perché il giorno prima li vedevo in giro per Chieti a mangiare e bere senza controllo e mi chiedevo come facessero ad essere così preparati atleticamente  nonostante i bagordi culinari.

  

Dopo le prime due stagioni lasciasti temporaneamente Chieti…
Dovevo partire per il militare e così andai in prestito a Roseto. Giocai un anno con la Rosetana in quarta serie (l’attuale serie D) mio compagno di squadra era Riccardo Paciocco, che molti ricorderanno negli anni successivi con le maglie, tra le altre, di Lecce e Milan.

 

Nella stagione 1980-81 rientrasti a Chieti. I neroverdi, appena retrocessi in C2, furono inseriti in  un girone un po’ particolare, comprendente squadre come Mestre, Mira, Pordenone, Venezia e Conegliano con le quali storicamente non si incrociavano spesso le armi. Come gestivate logisticamente e mentalmente trasferte così lunghe?
Effettivamente quelle trasferte erano abbastanza impegnative e particolari. In settimana ci dedicavamo come solito alla preparazione psicofisica e il sabato mattina partivamo in pullman.Una volta raggiunta la destinazione, se i tempi lo permettevano, svolgevamo anche una piccola sgambata allo stadio, quella che oggi si chiamerebbe “rifinitura”. La domenica mattina ci si svegliava presto per fare colazione, andare a messa e pranzare intorno alle 11.30 in modo da preparasi a dovere per la partita. Ricordo con affetto la partita giocata a Venezia, sia per il blasone dell’avversario, sia perché i nostri colori sociali sono legati a trama ed ordito con quelli dei lagunari. 

 

Arrivò Dino Panzanato in panchina e Marcello De Juliis cominciò a trovare spazio più stabilmente in campo. Come mai alla fine dell’anno decidesti di prendere la strada di Osimo?
Avevo una grande stima e rispetto del mister,  uomo di esperienza con un passato da calciatore in serie A nel Napoli. Non perdeva mai l’occasione di dimostrarci la stima ed il bene che nutriva nei nostri confronti ed aveva sempre un occhio di riguardo per i più giovani come il sottoscritto.
Pensa che un giorno ci portò da Torello Sport a Chieti Scalo ed acquistò a sue spese scarpini da calcio e palloni per noi giovani del gruppo, come un buon padre di famiglia.
Il principale motivo che mi portò a trasferirmi ad Osimo fu senza dubbio la situazione societaria di quel Chieti.

 

 

A volte il destino è beffardo! Nella prima giornata della successiva stagione 1981-82 il calendario mise di fronte Chieti ed Osimana al Guido Angelini. Come fu per te tornare a casa, entrare in uno spogliatoio non tuo e trovarti di fronte la maglia che avevi sempre indossato fin d’ora?
Bello, bellissimo! Ricordo l’emozione che mi assalì quando vidi in lontananza la sagoma di quello che era stato il mio stadio fino a qualche mese prima. C’erano i miei familiari in tribuna, i miei amici in curva, tifosi del Chieti, mi incitarono nonostante indossassi la maglia avversaria.  Purtroppo per noi perdemmo 1-0, quel Chieti era guidato da Tom Rosati in panchina e da Angelo Pucci in campo, con il quale Tom durante la partita ebbe parecchio da ridire per il suo atteggiamento tattico: Pucci effettivamente era un grande centrocampista ma un po’ indisciplinato. Una curiosità: con me nell’Osimana giocavano anche Angelo Carpineta,  Antonio Antignani e Mauro Morra tutti provenienti dalla società di Viale Abruzzo.

 

Dopo tre anni di serie C2 ad Osimo sei rientrato a Chieti, finito malauguratamente in interregionale. Più che per l’aspetto calcistico (stagione abbastanza anonima conclusa con un nono posto) l’annata 1984-85 è da ricordare per gli aspetti societari con il passaggio delle quote da Barbiero al dottor  Mancaniello. Come hai vissuto quel periodo di interregno?
Per me fu una stagione positiva, la ricordo con affetto anche se alla seconda giornata mi procurai una distorsione al malleolo che mi tenne per qualche tempo lontano dai campi. Ricordo in panchina Vincenzo Zucchini con il quale avevo un ottimo rapporto. In quanto alla società l’avvento di Mancaniello portò serenità e serietà: già dai primi passi si intuiva che la nuova società era composta da persone serie che volevano dare una nuova impronta al calcio teatino.

 

Stagione 1985-86, il Chieti sembrava poter vincere il campionato a mani basse ed invece fu capace di sciupare in primavera il cospicuo vantaggio di punti accumulato sulle inseguitrici.
A cosa fu legato quel crollo così repentino?

Con tutta onestà ti dico che si trattò prettamente di un crollo mentale. Probabilmente eravamo  convinti di essere i più forti e di averlo già vinto quel campionato: poi lo scontro diretto in casa contro il Lanciano perso 1-0 con quella punizione di Cassano (con il quale ebbi il piacere di giocare ad Osimo, veramente un grande centrocampista) ci tolse gran parte delle nostre certezze.

 

Nel maledetto spareggio di Latina subisti un fallo assassino al 25’ del primo tempo che ti costrinse ad abbandonare il campo in favore di Paolo Petrelli, reduce da un infortunio. 
Le tue sensazioni di quella giornata.
Ero molto carico mentalmente e fisicamente. Mi ero allenato bene in settimana anche sui rigori, tanto che ero stato inserito dal mister nel novero degli eventuali  rigoristi, non ricordo se come quarto o quinto calciatore. Poi l’entrata in ritardo di Di Camillo (giocatore del Lanciano) susseguente ad un mio dribbling dopo una doppia finta di corpo: nonostante indossassi i parastinchi mi procurò un taglio suturato con 25 punti e la frattura, per fortuna composta, del perone. 
Visto come andò a finire, proprio una giornata sfortunata…

 

Quindi sei rimasto lontano dai campi per un bel po’?
Assolutamente no! Feci un mese di gesso, eravamo in estate ed ero già in parola con alcuni amici per giocare il famoso torneo di calcetto alla Villa Comunale che all’epoca richiamava un gran numero di spettatori ed io non volevo assolutamente rinunciarci. A pensarci bene fui un po’ incosciente ma vedevo che la gamba rispondeva bene e non mi tirai indietro. Un giorno venne anche  Claudio Garzelli ad assistere ad una delle mie partite e, al termine della stessa, mi prese in disparte e mi rimproverò, ma io mi giustificai dicendogli che avevo troppa voglia di giocare! Per fortuna non ebbi nessuna complicanza e ad agosto cominciai la preparazione con il resto della squadra.

 

Preparazione che portò i suoi frutti alla grande, visto che nella stagione 1986-87 nessuno riuscì a fermare la corazzata Chieti. Se ti dico 7 dicembre 1986…
Aiutami a ricordare…ah si! Il mio gol contro la Monturanese! Fu il primo segnato in maglia neroverde: ad Osimo qualche gol lo avevo realizzato ma quel giorno siglai il primo indossando la maglia della mia città davanti a parenti ed amici. Ricordo il colpo di testa a pochi minuti dalla fine che ci permise di vincere quello scontro diretto e staccarci definitivamente dai marchigiani che erano i nostri più diretti inseguitori. In linea generale fu un anno fantastico, un grande gruppo di amici con i vari Sgherri, De Amicis e Fabio Fiaschi ragazzo serio, educato ed un grande giocatore, sicuramente la persona alla quale sono rimasto più legato.

 

Il tuo nome, tuo malgrado, è legato ad un episodio celebre avvenuto nell’ immediata vigilia della sfida decisiva per la promozione contro il Corato. I famosi palloncini…
Già! Eravamo tutti euforici per quella cavalcata fantastica e non vedevamo l’ora di festeggiare la vittoria del campionato. Ricordo che pranzammo presto e prima di andare allo stadio Mattioli mi disse “Vieni con me dobbiamo andare in un posto”. In macchina, oltre a noi due, c’erano anche Sgherri, De Amicis e Borrelli. Andammo a prendere questi benedetti palloncini che Mattioli confessò di aver fatto gonfiare con elio e acetilene. La cosa mi lasciò un po’ perplesso e gli dissi “Ma non sarà pericoloso??” e dopo nemmeno 500 metri i miei timori si trasformarono in realtà. 
Una deflagrazione pazzesca, una paura tremenda: sfondai il finestrino con la testa procurandomi la perforazione del timpano e diverse ferite sul volto. Anche Stefano Sgherri ebbe il timpano perforato. Fui portato in pronto soccorso e non giocai la partita. Ricordo che dopo l’incidente, avvenuto lungo viale Benedetto Croce all’altezza della farmacia Brunori, le persone scesero in strada allarmate, convinte di trovarsi di fronte ad un attentato dinamitardo con una autobomba. Mesi dopo fummo chiamati anche a testimoniare a processo per chiarire le dinamiche dell’accaduto, e la società fu costretta a pagare diversi milioni di lire di risarcimento per i danni che causammo alle auto in sosta e ai vetri delle abitazioni della zona.
Lo stesso Mattioli poi ammise candidamente che una cosa del genere gli era già capitata in una sua precedente esperienza calcistica in quel di Senigallia, ma che la deflagrazione all’epoca non fu così dannosa. Ricordo che quando me lo raccontò il mio primo pensiero fu quello di picchiarlo (ride…)

  

Come mai a fine stagione lasciasti il Chieti?
Ero molto legato a quel gruppo che però dopo la vittoria del campionato si disgregò. Mister Orazi fu sostituito da Pinna: parlai con Giammarinaro che era il suo “supervisore” e capii che probabilmente non facevo più parte dei progetti tecnici dell’allenatore. Feci un provino alla Fermana, i riscontri furono positivi ma mi offrirono un contratto scarsamente remunerativo. Così decisi di smettere col calcio a certi livelli: cominciai a costruire il mio futuro lavorativo frequentando un corso da infermiere e continuai a giocare a livello dilettantistico in promozione ed eccellenza, con la parentesi di Castilenti dove ricoprii il doppio ruolo di allenatore e giocatore.

 

Un giudizio a tutto tondo sulla tua carriera: cosa ti è mancato, cosa non rifaresti, cosa non avresti mai pensato di raggiungere.
Ti racconto un episodio che probabilmente può essere definito come lo sliding doors della mia carriera. Giocavo ad Osimo, eravamo verso fine stagione e stavamo disputando il derby contro l’Ancona; con il mister Luciano Pirazzini eravamo già in parola: io ed Angelo Carpineta saremmo dovuti andare ad Andria insieme a lui.  Faccio una piccola premessa: all’epoca, dal punto di vista  tattico, quasi tutte le squadre si schieravano con un terzino più difensivo ed un altro più offensivo, cosiddetto fluidificante, che poi era il mio ruolo naturale. In quella partita che conducevamo 1-0 a dieci minuti dalla fine, ebbi un alterco col mister perché continuavo a fargli presente la mia difficoltà di contrare contemporaneamente terzino ed ala destra dei dorici.
Ero continuamente preso d’infilata da entrambi e gli chiesi insistentemente di correre ai ripari altrimenti avremmo preso gol. Purtroppo andò così e al pareggio dell’Ancona mi rivolsi in maniera poco ortodossa  al mister, il quale a fine partita mi tirò per un orecchio stigmatizzando il mio sfogo. Da lì il nostro idillio si spezzò, se fossi stato zitto probabilmente la mia carriera avrebbe preso un’altra piega  e magari avrei avuto modo di giocare anche in serie B.

 

Hai avuto modo di conoscere, da calciatore e da tifoso, quelli che possono essere definiti i più grandi presidenti della storia della Chieti Calcio 1922, almeno sotto l’aspetto dei risultati sportivi: Guido Angelini, Mario Mancaniello (che per onestà di cronaca non fu presidente ma “patron”) ed Antonio Buccilli. Formulo una domanda un po’ azzardata e ti chiedo, secondo te, chi fu il migliore.
Di Angelini ricordo pochissimo perché ero bambino quando il suo Chieti faceva faville alla Civitella.  Buccilli l’ho vissuto da tifoso e posso dire che sotto la sua presidenza a Chieti sono passati grandi giocatori, quindi sicuramente era un intenditore di calcio. Non dimentico però che gli ingloriosi titoli di coda del Chieti 1922 sono legati alla sua presidenza.
Se devo darti un nome non ho dubbi, dico il dott. Mancaniello: ho avuto la fortuna di conoscerlo di persona e di vivere con lui diversi momenti della mia carriera, una persona di una squisitezza unica.

 

Segui ancora le sorti del Chieti? Cosa pensi della situazione attuale del calcio teatino?
Ho sempre seguito il Chieti dal vivo sino all’anno scorso. Quest’anno i miei impegni di lavoro non mi hanno ancora dato modo di andare all’Angelini per assistere ad una partita. Da quello che sento dire in città il Chieti SSD è in una situazione alquanto preoccupante, povero tecnicamente e composto da ragazzi inesperti. In queste condizioni è difficile mantenere la categoria, l’attuale serie D è veramente molto dura. 
In quanto al Chieti FC non conosco i dettagli del progetto ma se ne sente parlare molto bene, sembra una squadra attrezzata per fare il doppio salto e, in un paio di anni,  arrivare in serie D. I risultati per ora dicono questo, da tifoso non posso che sperare che entrambe le compagini centrino i loro obiettivi di inizio stagione.

 

Grazie Marcello per la chiacchierata, a presto.
Grazie ragazzi, è stato bello ricordare e parlare con voi dei tempi andati, mi avete fatto emozionare! 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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