Oggi abbiamo il piacere di ospitare nella nostra rubrica Andrea Pallanch, indimenticato “cavallo pazzo” della fascia destra teatina dal 1989 al 1993. Andrea è stato calciatore capace di accendere il cuore e la passione dei tifosi e la “luce” sul terreno di gioco con le sue sgroppate e dribbling sulla fascia destra. Con lui abbiamo rivissuto nel film dei ricordi momenti indimenticabili per noi tutti….Buona lettura!

Buongiorno Andrea e benvenuto sulle pagine di TifoChieti. Partiamo dai tuoi inizi:sei nato il 1 settembre 1964 a Trento e, dopo aver fatto l’esordio in C1 con la squadra della tua città, nella stagione 1982-83 hai fatto parte della rosa dell’Udinese in serie A. Come mai non ha mai trovato spazio?
Fu un’annata da dimenticare per me, purtroppo la pubalgia non mi ha dato tregua e non sono mai riuscito ad allenarmi con continuità. Giocavo nelle giovanili del Trento e lavoravo come imbianchino, ricordo ancora quando il postino mi consegnò a mano il telegramma della convocazione per il ritiro precampionato con i friulani, un’emozione indescrivibile!
Miei compagni di squadra, tra gli altri, erano Franco Causio, Pietro Paolo Virdis, Paolo Miano, Edinho… sembrava di vivere un sogno ad occhi aperti ma le precarie condizioni fisiche mi penalizzarono oltremodo:  cercavo di sopportare al meglio il dolore ma nelle partitelle di allenamento era difficile nasconderlo, ogni volta che mi fermavo e provavo a scattare di nuovo avevo fitte dolorosissime. Così disputai soltanto qualche partita con la  primavera e non riuscii mai a calcare un terreno di gioco di serie A.


Dopo altri due campionati in C1 con Trento e Casertana nella stagione 1985-86 è arrivata l’opportunità di Palermo in serie B. Grandi nomi in quello spogliatoio, alcuni al crepuscolo come Gianni De Biasi e Claudio Ranieri, altri in rampa di lancio come Pietro Maiellaro, Tebaldo Bigliardi e Silvano Benedetti tutti futuri protagonisti in serie A. Quanto è stata dura mentalmente fare “il grande salto”?.
L’ultimo campionato disputato con la maglia del Trento fu tremendo, retrocedemmo senza appello collezionando la miseria di 5 punti nel girone d’andata. Al termine della stagione in maglia gialloblu partii militare e come per incanto la pubalgia sembrava svanita,  disputai il torneo di Viareggio con la maglia del Napoli ma dovetti rinunciare a giocare la finale per colpa del mio capitano militare che non mi concesse la licenza.
L’allora direttore sportivo della Casertana Enrico Fedele mi notò e chiese informazioni sul mio conto, io avrei preferito rimanere vicino casa ma mi son detto “vado lì e me la gioco”. La sfortuna patita ad Udine si trasformò in fortuna, riuscivo ad allenarmi senza alcun dolore e cominciai a segnare a raffica nelle amichevoli tanto da diventare il capocannoniere della squadra.Ho avuto così la fortuna di giocare contro Diego Armando Maradona alla sua seconda partita in Italia nel Napoli-Casertana di Coppa Italia terminata 3-0. Il fato mi fu di nuovo amico in quanto l’ala destra titolare si era infortunata e il suo sostituto aveva contratto l’epatite, il mister si vide quindi costretto a schierarmi titolare come unica ala destra sana.Ricordo l’esordio a Palermo dove perdemmo 2-1, in totale a Caserta collezionai 33 presenze e tre reti in campionato saltando solo la trasferta di Reggio Calabria in quanto ero appena rientrato dalla tournée in India con l’under 21 di serie C. La buona stagione di Caserta accese i riflettori su di me, tanto che il Palermo sborsò un miliardo e cento milioni di vecchie lire per acquistare il diritto alle mie prestazioni sportive.Mentalmente fu molto dura adattarsi alla serie B: in serie C potevo fare la differenza ma in cadetteria la musica era molto diversa, difensori molto esperti che la prima volta riuscivi anche ad eludere ma già alla seconda non la passavi liscia.
Gli esordi a Palermo non furono semplici, lo stadio e la tifoseria incutevano quasi timore: una volta ricevuta palla provavo a partire in dribbling, spesso me la soffiavano ma più sbagliavo e più mi intestardivo col risultato di beccarmi i fischi di tutto il Barbera. Mister Antonio Angelillo vedeva una incompatibilità tattica tra me e Mario Piga e si era quindi creato un acceso dualismo. Con l’avvento del nuovo allenatore Veneranda ho cambiato marcia e mentalità, mi sono detto “Andrea torna a fare le cose semplici” ed è stata la mossa vincente. Oltretutto io e Piga, grazie al nuovo mister, avevamo trovato il modo di convivere sul terreno di gioco: totalizzai 34 presenze in stagione realizzando 4 reti, la prima delle quali su punizione a Cremona dove pareggiamo 1-1, non poche per un esordiente.

Dopo l’anno in Sicilia hai vestito la casacca del Cagliari per due anni, il primo in serie B sfortunatamente conclusosi con la retrocessione ed il secondo in serie C1. Dopo l’esperienza sarda sei finito ad Imola nei dilettanti, come mai questo salto all’indietro?
Il primo anno a Cagliari fu abbastanza negativo, partimmo da un meno sei in classifica, penalizzazione legata al calcio scommesse, e non fu semplice risalire la china. Io collezionai 33 presenze molte delle quali a partita in corso. L’anno successivo in C1 non andò molto meglio: il nuovo DS, dato il mio stipendio abbastanza gravoso, voleva mandarmi via. Chiesi di essere svincolato o di prolungare di un anno il contratto spalmando gli emolumenti precedentemente pattuiti, ma lui non ne volle sapere, così per motivi di vincolo economico andai in Interregionale ad Imola dove arrivammo secondi alle spalle del Baracca Lugo di Alberto Zaccheroni.

Stagione 1989-90 finalmente approdi nell’antica e nobile Teate. Cosa o chi ti hanno convinto a sposare la causa neroverde?
Il mio cartellino era ancora di proprietà del Cagliari ma come ti dicevo poco fa ero arrivato ai ferri corti con la società sarda. Claudio Garzelli, uno dei migliori dirigenti che abbia incontrato nella mia vita professionale, contattò il mio procuratore: il progetto Chieti mi convinse subito, avevo una grande voglia di rilanciarmi e sapevo di valere di più dell’interregionale. Così decisi di accettare ancor prima di sentire il Cagliari.

Una stagione strana col Chieti sempre nelle prime posizioni ma al momento dello scatto vincente si è accesa la spia della riserva e quei due maledetti pareggi contro Jesi e Gubbio hanno significato sorpasso in classifica da parte del Baracca Lugo. Il tuo ricordo di quell’annata.
Avevamo difficoltà ad essere continui, perdemmo diverse trasferte (se non erro furono ben otto) e per una squadra che punta alla promozione sono troppe. Le trasferte da te citate furono veramente ostiche, ma mentre a Jesi il pareggio ci poteva stare, ancora oggi mi resta il grande rammarico del pareggio di Gubbio perché mi sento colpevole di quella non vittoria. Sciupai un’occasione incredibile a dieci minuti dalla fine: un mio compagno mi diede un pallone filtrante, io sapevo di essere in fuorigioco ma la terna arbitrale non lo segnalò. Persi quegli attimi fatali guardando il guardalinee, sicuro che avrebbe alzato la bandierina, ero da solo davanti al portiere ma quell’attimo di deconcentrazione fu fatale e il difensore eugubino mi soffiò il pallone dai piedi. Ricordo trasferte durissime come quella di Castel Di Sangro dove pareggiammo 0-0; in quella sfida esordì in C2 a soli 16 anni Fabrizio Ferrigno, negli anni successivi protagonista con diverse maglie tra le quali Giulianova e Catanzaro. Appena entrato in campo il simpatico esordiente mi sputò in faccia, ricordo ancora lo sdegno per aver subito quel gesto da un ragazzino. Qualche minuto dopo me lo trovai di fronte, lo saltai in dribbling e mi entrò a gambe unite sulle caviglie, un fallaccio assurdo. Sapevo di non dovere e potere reagire ma sono comunque episodi che non posso dimenticare.

Stagione 1990-91 finalmente si gioisce! Arrivano Ezio Volpi in panchina, alcuni pezzi da novanta a completare una rosa già molto forte e la musica cambia radicalmente. Per chi come te l’aveva vissuta in prima persona, credi che la delusione dell’anno precedente abbia influito sulla fame di vittoria di quella squadra?
Certamente si. La rosa dell’anno precedente era già molto competitiva, ricordo che partì Corrado Baglieri ma tornò Stefano Sgherri e arrivarono Mauro Picconi e Gianni Cavezzi fortemente voluti da mister Volpi. Soprattutto Gianni mi impressionava perché alla sua tenera età era già capace di calciare con entrambi i piedi allo stesso modo, d’altronde la sua carriera futura ha testimoniato che tipo di giocatore fosse. Una squadra quadrata, forte in ogni zona del campo, con il giusto mix di esperienza e gioventù, eravamo pronti e carichi e sbranammo il campionato stravincendo con quattro giornate di anticipo.

Una stagione fantastica, una cavalcata straordinaria conclusa con la promozione in C1 e la media punti più alta d’Italia. Quale partita vi ha fatto capire che quel campionato non poteva sfuggirvi?
Vado controcorrente e dico la sconfitta a San Benedetto 1-0 del 6 Gennaio 1991, arrivata su autorete dopo aver dominato la partita in lungo e largo. Ecco, lì credo che abbiamo capito veramente di che pasta eravamo fatti. Un ricordo fantastico fu la vittoria a Teramo 0-2 alla prima giornata: un derby sentitissimo che abbiamo dominato e vinto, ricordo di essere entrato solo al 90° perché non ero in piena forma, ma li abbiamo annichiliti. 

Marigo, Consorti, Feola, Picconi, De Amicis, Morganti, Pallanch, Cavezzi Pagliari, Presicci, Sgherri! Tutti quelli che hanno avuto la fortuna di assistere alle vostre gesta ricordano ancora oggi quell’undici titolare come il Padre Nostro. C’era un pezzo di quel puzzle secondo te insostituibile?
Quel gruppo era una cosa sola, ognuno di noi sapeva cosa fare in campo e con la massima umiltà e determinazione si metteva a servizio dei compagni. Credo che non avessimo punti deboli, testimonianza ne è il fatto che riuscimmo a distanziare ampiamente in classifica una squadra forte come la Sambenedettese che nelle proprie file annoverava giocatori del calibro di Piccioni, Manari e Solfrini ma quell’anno veramente non ce n’era per nessuno.

Se Picconi e Cavezzi erano la mente, Consorti e Feola il cuore, Morganti il timoniere, tu e soprattutto Mimmo Presicci eravate i Van Gogh di quella squadra con il compito di affrescare la tela verde dell’Angelini con il genio del tocco smarcante e la poesia dell’assist per le bocche di fuoco Pagliari e Sgherri. Dal punto di vista tattico mister Volpi vi lasciava particolare libertà creativa?
Mimmo, giocando dietro le punte, era molto più libero di creare di me. Io cercavo di fare il mio sulla fascia e di sfruttare al meglio le mie armi migliori, ovvero lo scatto e il cambio di passo. Oltre ad offendere mi occupavo della fase difensiva e in ripiegamento seguivo sempre l’uomo da marcare, ci tenevo molto a non concedere assist o occasioni pericolose all’uomo di mia pertinenza. Comunque io come tutti i miei compagni godevamo della massima fiducia da parte di mister Volpi una persona eccezionale che ricordo ancora oggi con affetto.

La partita promozione contro il Martina.
Mamma mia che giornata! Non vedevo l’ora di festeggiare, giocammo una grande partita vincendo in scioltezza 4-0, poi arrivò il regalo da Civitanova dove il Teramo perse 2-0 e scoppiò la festa in campo. Per me fu il primo campionato vinto, sentire il calore della gente intorno fu  semplicemente indimenticabile.

Stagione 1991-92, il ritorno in C1. Una incredibile sequela di infortuni al crociato dei vari D’Eustacchio, De Amicis, Consorti e Feola ed un Enrico Chiesa ancora un po’ acerbo hanno fatto da corollario ad una stagione che poteva diventare storica. Dove saremmo potuti arrivare senza tutti quegli infortuni?
Una stagione sfortunata, con tutta la difesa infortunata andammo ovviamente in difficoltà e ci salvammo alla penultima in casa contro l’Acireale. Ricordo che eravamo sotto 0-2, il giovane Delli Rocili si inventò il gol del 2-1 stoppando un pallone vagante di tacco ed insaccando alle spalle del portiere acese, poi la pennellata su punizione di Presicci, appena entrato in campo al posto dell’infortunato Enrico Chiesa, rimise le cose a posto. Fortuna che andò così perché all’ultima giornata ci aspettava la trasferta ad Andria e con i pugliesi in lotta per la promozione sarebbe stata durissima fare punti. Chiesa era veramente un campione, ho avuto modo di conoscerlo bene trascorrendo con lui un mese di ritiro nella stessa camera d’albergo. Dopo un girone di andata di ambientamento sia tecnico-tattico che comportamentale, nel girone di ritorno Enrico fu determinante per la nostra salvezza. Aveva una facilità di calciare in corsa fuori dal comune, ricordo la partita in casa contro il Siracusa in cui realizzò una doppietta di pregevolissima fattura, l’unico suo difetto in campo era essere un po’ fifone e aver paura dei contrasti ma era normale per un ragazzo così giovane. Ricordo che Roberto Mancini nel 1991 rilasciò un’intervista in cui pronosticava una fulgida carriera per Enrico e i fatti gli hanno dato ragione.
Vedendo giocare oggi suo figlio che ha esordito in serie A con la Fiorentina mi sembra di rivedere i suoi stessi movimenti. Scusa la divagazione, torno alla tua domanda per dirti che quel campionato era pieno di corazzate come Perugia, Andria, Salernitana, Acireale: non credo avremmo avuto possibilità di lottare per vincere ma sicuramente ci saremmo potuti salvare con molta più tranquillità di quanto fatto.

Come trascorrevi il tempo libero? Quali erano i tuoi passatempi preferiti e con quali compagni li condividevi?
Il mio tempo libero era soprattutto legato alla famiglia visto che avevo tre gemelli nati il 15 gennaio 1990, il giorno dopo la sconfitta a Fano per 2-0 con reti di Mainardi e Dario Hubner. Uno dei compagni di squadra con cui mi trovavo spesso era capitan Morganti, abitava a Francavilla vicino a me e ogni tanto ci incontravamo con le nostre famiglie. Quando gli impegni da papà me lo permettevano mi univo al resto del gruppo per andare a mangiare una pizza al Magico Alvermann a Chieti alta.

Come accennato in precedenza il tuo mestiere non era certo quello di fare gol ma piuttosto di farlo fare…E allora ti chiedo quale tuo assist ti è rimasto più impresso nei tre anni di cui abbiamo parlato? Ne ricordo uno fantastico per il gol di Sgherri con il quale espugnammo il Cibali di Catania il 1 dicembre 1991.
Sinceramente non ricordo l’azione, della vittoria di Catania ricordo però un campo pesantissimo causa pioggia e il rigore inesistente concesso al novantesimo agli etnei che Palmisano, centravanti dei rosso azzurri, calciò tirando una legnata che colpì la traversa e rimbalzò quasi a metà campo. La stagione d’esordio in maglia neroverde per me fu ricca di assist, ricordo ad esempio la vittoria a Riccione per 3-0 con le reti di Conforto con un bellissimo pallonetto, di Presicci su mio assist e di Simeoni con una bordata da fuori area, io feci una grande azione ma con un lob colpii il palo a portiere battuto. Ricordo la vittoria casalinga contro la Vis Pesaro 3-2 sul neutro di San Benedetto in cui procurai il rigore poi realizzato da Baglieri, poi forniii due assist a Corrado per le reti del 2-1 e 3-1, la vittoria all’Angelini contro il Rimini per 2-0 in cui ho fornito l’assist per il gol dell’uno a zero a Mimmo Presicci che realizzò di testa (una rarità per lui) e poi partendo dal cerchio di centrocampo dopo un uno due con Corrado saltai tre o quattro uomini depositando la palla in rete per il 2-0 finale. Insomma ce ne sono tanti.

 

L’ultima tua stagione in neroverde è datata 1992-93, conclusa con una salvezza sofferta all’ultima giornata a Palermo. Si era chiusa l’epoca d’oro del Chieti e forse questo ti ha portato a scegliere il doppio salto di categoria in basso e andare a Nocera.
Io e gran parte dei miei compagni avevamo trascorso quattro anni insieme condividendo delusioni e gioie. Per me l’ultima stagione a Chieti fu disastrosa dal punto di vista fisico. I guai cominciarono in una amichevole estiva contro la Fiorentina: noi eravamo semplicemente degli sparring-partner e dovevamo seguire come ombre i movimenti dei gigliati, senza alcun accanimento o scontro fisico. Ad un certo punto ricevetti la sfera da un mio compagno e inspiegabilmente Stefan Effenbger, il biondo centrocampista teutonico, mi entrò sulla caviglia con una cattiveria fuori luogo. Risultato: distorsione alla caviglia e un mese di stop. Ripresa pian piano l’attività rientrai in campo alla seconda di andata contro il Messina all’Angelini, match pareggiato 1-1. La domenica successiva a Salerno perdevamo 2-0, verso il termine della partita feci un intervento in anticipo su Grimaudo che mi colpì con un dito nell’occhio, rischiai il distacco della retina ed una emorragia interna,  altro stop di venti giorni. A Dicembre nevicò e quindi ci trasferimmo a Coverciano per allenarci a dovere, durante l’allenamento Luca Alidori, in una uscita poco ortodossa, cadde rovinosamente su di me procurandomi una nuova distorsione al ginocchio. Rientrai dopo un mese e mentre ci allenavamo a Brecciarola sul campo che tutti conoscete durante uno stacco di testa avvertii un “crac” al ginocchio, provai nuovamente a caricare il salto ma avvertii un nuovo “crac”…rottura del menisco del ginocchio destro, insomma un calvario vero e proprio.
A fine anno parlai con Garzelli che mi prospettò la volontà della società di ridurre il monte stipendi ed i costi in generale e mi propose la soluzione Nocera dove peraltro lui aveva militato da calciatore. Così accettai di scendere di nuovo di categoria e ripartire con una nuova sfida professionale.

Se dico Mario Mancaniello.
La notizia della sua scomparsa mi ha lasciato senza fiato. Il patron era una grande persona, certamente il presidente migliore che abbia avuto nella mia carriera da calciatore sia dal punto di vista umano che di conoscenza del calcio. Ricorderò sempre in una intervista di alcuni anni fa quando gli fu chiesto “Qual è stato il giocatore più forte che lei abbia mai avuto sotto contratto” lui rispose “Tecnicamente Enrico Chiesa ma per umiltà ed abnegazione Andrea Pallanch”.
Un signore, un uomo di grande personalità, mi mancherà come mancherà a tutti voi.

Concedimi una battuta: dopo che sei andato via da Chieti per alcuni anni sulle fasce del terreno di gioco dell’Angelini l’erba faticava a crescere. In tanti ti ricordano come un motorino inesauribile dotato di un gran dribbling, ma quale difetto il Pallanch giocatore riconosce di aver avuto e non migliorato a dovere?
Per risponderti cito il titolo di un film molto famoso “ il mio piede sinistro”. E’ stata sicuramente la mia pecca, riuscivo ad andare via solo sulla destra ma se dovevo rientrare e crossare con il mancino erano guai. L’unica cosa che mi salvava era il cambio di passo che mi permetteva anche in serie B di farmi rispettare. A tal proposito ricordo nell’esperienza a Palermo la vittoria in riva all’Adriatico per 1-0 datata 29.03.1986. Il mio avversario di turno era Massimo Carrera, che tutti ricorderete con la maglia tra le altre di Juve ed Atalanta, nel primo tempo gli feci venire il mal di testa tanto che l’allenatore di casa Catuzzi decise di cambiare marcatore e mettere su di me Danilo Ronzani, ma la musica non cambiò di molto.

Dopo l’esperienza teatina hai trascorso cinque anni a Nocera intervallati da una piccola parentesi nella tua Trento. Con la maglia rossonera hai indossato per due anni la fascia di capitano ed ancora oggi sei ricordato come un idolo. Quali caratteristiche hanno fatto sì che un ragazzo del profondo nord facesse breccia nei cuori di due tifoserie così passionali e calde come la nostra e quella molossa?
Sono sempre stato un ragazzo umile che preferiva i fatti alle parole, taciturno, non mi sono mai dato arie e sono sempre stato disponibile con la tifoseria: probabilmente sono stati queste le caratteristiche che i tifosi apprezzavano di me. A Nocera mi vogliono un bene dell’anima, pensa che quasi ogni mattina mi sveglio e trovo qualche messaggio di saluto dai tifosi rossoneri. Questa cosa mi inorgoglisce e mi imbarazza allo stesso modo. Ti racconto qualche aneddoto dell’esperienza di Nocera: l’avventura non partì nel migliore dei modi, ero arrivato in condizioni fisiche precarie e avevo alle spalle solo qualche allenamento con gli allievi del Trento. Un giorno fui minacciato dalla tifoseria di casa e mi dissero “se domani ti presenti all’allenamento ti spacchiamo le gambe”. Non mi sono lasciato intimorire e mi sono presentato regolarmente in campo, ho reagito credo nel modo giusto applicandomi il più possibile e lavorando alacremente per recuperare il gap fisico. Dopo qualche mese durante una sessione di tiri in porta negli allenamenti un gruppo di tifosi venne ad applaudirmi, fu una grande rivincita personale. Ricordo uno spogliatoio diviso in “gruppetti” e il presidente di allora pretendeva che io stessi dalla parte dei calciatori più forti: io sono sempre stato dell’idea che bisogna aiutare i più deboli e non emarginarli, “siamo una squadra siamo tutti uguali” pensavo. Nella stagione 1996-97 dopo i primi mesi di panchina affidata a Maestripieri arrivò Gianni Balugani che già conoscevo dai tempi del Chieti, sembrava fosse capace di non farsi condizionare dalla presidenza molto oppressiva tanto che nella partita di coppa Italia contro la Juventus mi disse che sarei partito titolare anche se il presidente non voleva. Dopo poco però dovetti ricredermi sul suo conto, visto che non mi schierò nei titolari ma mi fece entrare a venti minuti dalla fine. Comunque fu una bella soddisfazione strappare il pari ai bianconeri. Nella gara di ritorno non mi fece giocare come nel resto di quasi tutta la stagione, ricordo i sassi che gli piovevano addosso dalle gradinate perché la gente di Nocera voleva vedermi in campo. Una volta durante un allenamento un tifoso entrò di corsa in campo si tirò giù i pantaloni e gridò a Balugani “mister lo devo prendere in quel posto per vedere giocare Pallanch??” Ovviamente quel gesto non mi aiutò nella mia ricerca del posto da titolare; in un match fuori casa, non rammento quale, Balugani mi fece scaldare per 50 minuti sotto il diluvio senza farmi entrare, fu veramente umiliante. 
A Sora nel corso della partita di andata playout alla fine del primo tempo mi ero nascosto nella doccia perché avevo capito che voleva mettermi dentro, forse per pulirsi la coscienza e per dimostrare che la Nocerina avrebbe perso anche con me in campo, visto che eravamo già sotto 2-0. Gli dissi “mister faccia entrare una punta non me, stiamo perdendo e non mi sento bene” alla fine mi mise dentro e Alvaro Zian segnò il gol del 2-1 su rigore. Prima della partita di ritorno trovai il mister in lacrime nello spogliatoio in quanto aveva subito delle minacce…Un tifoso era entrato nello spogliatoio con un foglio in mano dicendo “questa è la squadra che deve giocare domani”. Alla fine partii titolare, vincemmo 2-1 e riuscimmo a salvarci per la migliore posizione in classifica. Nell’ultima stagione a Nocera, datata 1997-98, arrivò mister Simonelli che non mi vedeva di buon occhio, gli chiesi soltanto di vedermi in allenamento e di giudicare sui fatti. Ero stanco psicologicamente e mentalmente ma fisicamente mi sentivo ancora pronto a dire la mia. Alla fine del ritiro mi chiamò e mi disse nel suo dialetto “Pallanch tu si che sei nu giocatore di pallone” mi venne la pelle d’oca ad ascoltare quelle parole perché significava che avevo vinto di nuovo e che avevo avuto ragione. Questi episodi per dirti che nel mondo del calcio ne accadono di tutti i colori, ci sarebbe da scrivere un libro!


Concludo con una considerazione sul calcio moderno. Il tuo ruolo di ala tornante oggi non esiste quasi più, se non per alcune rare eccezioni. Approfitto delle tue conoscenze tecniche da allenatore e ti chiedo: colpa delle scuole calcio in cui si cura meno la tecnica e più l’aspetto fisico o è la naturale evoluzione del gioco del calcio?
Hai ragione è un ruolo quasi del tutto scomparso. Non saprei darti motivazioni precise in quanto, allenando ragazzini piccoli, non conosco bene il modus operandi delle scuole calcio dei grandi club. Quello che posso dire è che ai ragazzi di oggi manca la passione vera, non sai cosa darei io per tornare in campo con pantaloncini e scarpe da calcio! Cerco di trasmettere ai ragazzi i concetti di sacrificio e volontà ma mi sembra vengano al campo più per amicizia che per effettiva volontà di allenarsi e giocare, si accontentato di fare il compitino e non pensano che si debba e si possa migliorare.
Dopo varie esperienze in panchina attualmente alleno la Ravinense che milita nel campionato di promozione trentina, sono subentrato da un mesetto e sto cercando di risollevare la squadra che ha chiuso il girone di andata terz’ultima con 13 punti in carniere. L’obiettivo è quello di invertire la rotta e ribaltare la situazione. 


Dove vivi attualmente?
Dopo tanto girovagare per l’Italia sono tornato nella mia Trento, o meglio a pochissimi chilometri. La mia città è troppo bella, non la cambierei con nessuna.

Chiudiamo qui la nostra chiacchierata, grazie mille Andrea per la tua disponibilità e grazie per le emozioni che ci hai fatto vivere con la maglia n.7 sulle spalle.
Grazie a voi per avermi aiutato a ricordare dei bellissimi momenti, un abbraccio a tutti i tifosi neroverdi.

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