Con qualche settimana di ritardo rispetto a quanto preventivato e con diverse extrasistole in più del necessario i tifosi neroverdi hanno finalmente festeggiato il ritorno in serie D.
Dopo il  pomeriggio di passione ed esultanza collettiva di domenica e due notti da poche ore di sonno ripensiamo al triplice fischio finale al Comunale di Nereto e ci restano negli occhi due immagini emblematiche: quella del mister con la maglia neroverde e quella del capitano a petto nudo con la sciarpa al collo.

Il primo è senza dubbio il miglior condottiero nel quale si potesse sperare dopo il naufragio delle prime giornate di campionato: persona seria, riflessiva e capace è stato in grado di ricostruire più volte l’aspetto mentale dei ragazzi che tra vicissitudini di campo e societarie (o per meglio dire monetarie) non hanno di certo trascorso mesi molto tranquilli. Dopo il triplice fischio il Sig. Lucarelli prima ha atteso l’ufficialità della sconfitta della Torrese cercando di gettare acqua sul fuoco dell’entusiasmo in campo ed in panchina e poi si è fiondato sotto il nostro settore festeggiando con i suoi ragazzi ed indossando la “maglia” con impressi sulla schiena il n.89 e la scritta mai domi, riconoscimento signorile e doveroso verso un popolo che lo ha fatto sentire a casa e per il quale lui nutre un rispetto profondo che affonda le radici in diversi lustri fa. E’ proprio in nome di quel rispetto che a fine match lo stesso Alessandro ha espresso fuori dai denti la volontà di non prendere in giro il popolo neroverde dichiarandosi disposto a continuare a sedere sulla nostra panchina a patto che ci siano progetti seri e concreti.

Il secondo a petto nudo, senza voce, con la sciarpa al collo e con la fascia nel cuore prima che sul braccio è di certo il capitano che tanti a Chieti aspettavano da anni. A memoria d’uomo è difficile ricordare un primo ufficiale teatino vestire la maglia della sua città, vincere un campionato e farlo da leader indiscusso in campo e fuori. Profondo rispetto dei compagni per lui, profondo rispetto suo verso questo gruppo che a fine gara, col filo di voce rimasto, definisce fantastico.
Daniele ha guidato in campo un gruppo di ragazzi seri e volenterosi dimostratosi professionista in un campionato dilettante e che, a parte qualche piccolo passaggio a vuoto, ha indossato una maglia pesante sempre con rispetto ed abnegazione.

Con questa sinergia tra spogliatoio, mister e tifoseria vi chiederete dove sta la dicotomia… A Chieti vincere un campionato è già di per sé un fatto storico (basti pensare che negli ultimi 40 anni questa è soltanto la settima promozione) ma da ieri mattina tanti tifosi neroverdi si sono svegliati con una punta di amaro in bocca.
Nel quadretto idilliaco tinteggiato sinora manca una cornice solida di nome società, un cavalletto di supporto, un bel massello robusto che dia la certezza di durabilità. Intendiamoci, le premesse estive erano buone, l’obiettivo stagionale è stato centrato a pieno ed il modus operandi fino al mese di dicembre sembrava, ai più ottimisti, quello giusto.

Poi qualcosa si è incrinato, i tarli hanno cominciato ad impadronirsi del massello e ai primi scricchiolii ci siamo sentiti in dovere, dopo la vittoria del +11 contro la Torrese del 24 febbraio scorso, di richiamare tutti chiedendo di “Mettere da parte incomprensioni e gelosie personali per il bene del Chieti”
E’ stato come soffiare su un gigante dai piedi d’argilla: i dissapori e le incomprensioni in seno alla società società di Via Mattei 20 (a proposito, come mai la sede sociale risulta ancora lì, negli uffici della Comec?)  si sono ingigantiti e il bubbone del “prima la persona del bene del Chieti” è scoppiato in forma virulenta. Oggi siamo qui, con una promozione in tasca ed un entusiasmo in parte recuperato, ad attendere alla finestra la cordata pinco palla o l’imprenditore di successo che venga a rispolverare i nostri sogni e renderli di nuovo agguantabili.
Siamo soltanto al primo di aprile ma l’estate teatina dei “sacc na cos ma n’li pozz dice” è già cominciata!

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