Da qualche giorno è passato il mese di giugno, ma nel 1944 cosa successe?Fu un mese importantissimo perché il giorno 10 la città fu liberata. Delle vicende belliche sappiamo tutto? Direi quasi tutto ad essere ottimisti. Ma quanti fatti, aneddoti, avvenimenti magari quasi insignificanti ci sono stati, una miriade. Accaduti nei periodi a cavallo di Giugno e si cercheremo di accennarli. Sono stati scritti dei libri sulle vicende e quante cose sono venute a galla. Quanti libri e appunti sono stati letti e li abbiamo immagazzinati nella nostra memoria. Molte cose lette si sono concretizzate con i nostri ricordi nella memoria. Su cose vissute non si possono dire e descrivere ciò che non è avvenuto. Anche piccoli ricordi ma importanti sono sempre impressi in noi, anche se eravamo ragazzi, ma stavamo in fase di crescita e già si ragionava da “grande”.
Forse l’atmosfera di quei mesi non si può descrivere ma erano tempi di attesa, la speranza, di riscatto e si attendeva la fine dell’incubo di una guerra che non abbiamo mai avuto in casa. Già dal giorno dopo della Liberazione l’aria era festosa e tutti erano animati da certi valori acquisiti in mesi e mesi quasi rintanati ma attenti a qualsiasi cambiamento si poteva captare, anche se le comunicazioni non erano quelle di adesso. Noi giovani, mi dovevo considerare così ormai, eravamo animati da ideali che erano stati acquisiti dopo l’8 settembre. Un mondo nuovo era alle porte e ne eravamo consapevoli. Stava per arrivare il dopoguerra e solo adesso possiamo apprezzare il senso di ciò che venne fatto a quel tempo. A mio parere, si cominciò a respirare aria di nuovo quando alcune attività ripresero un corso diverso e accattivante.Financo le squadre di calcio nel marasma di quei mesi risollevò la testa e gli spettacoli si presentarono subito alla ribalta.
Con la data del 19 e 20 luglio ci si liberò della crosta dei sacrifici e di tutte le altre vicende cittadine anche tragiche. Altri spettacoli di altre compagnie della città e spettacoli musicali cominciarono a sancire l’inizio di un’altra Era.
Cominciarono le prime perplessità supportate da mancanze di notizie seguivano il nuovo tempo anche per la riunificazione dell’Italia, allora momentaneamente divisa prima dalla Linea GUSTAV e successivamente dalla Linea Gotica.
Che fine avrebbe fatto la monarchia?
Le molte bandiere viste in occasione della liberazione erano tricolori con lo stemma sabaudo e le grida anche di giubilo verso il Re e verso l’Italia, lasciavano presagire ancora una nazione con il Re insomma come prima.
Intanto c’era la luogotenenza del Regno del principe Umberto di Savoia (dal 5 giugno 1944) ed il governo di Bonomi presiedeva il primo ministero del regime luogotenenziale (dal 18 giugno 1944). Eravamo ancora in pausa di riflessione e la guerra non ancora era finita.
Gli alleati avanzavano in Francia e i nostri giornali e la radio ci informavano sull’andamento delle operazioni. Si cercava a Chieti di ricostruire il distrutto ed io che dovevo prepararmi all’1°anno all’Istituto Industriale, a pochi passi dalla mia abitazione, andai nella Scuola e costatai che i locali colpiti ad ottobre 1943 da uno spezzone, erano stati già ricostruiti nel loro insieme.
Si deve ricordare che in quel periodo che la città era sottoposta a cannoneggiamenti e a bombardamento aereo da parte di un aereo isolato che ogni tanto girava attorno alla città e sganciava qualche spezzone o piccola bomba a basso potenziale.
Queste erano sganciate certamente sul nostro quartiere perché oltre al transito di truppe nella Via Valignani verso Sud, era anche sede di comandi tedeschi. La mia famiglia decise di trasferirsi dalla nostra casa (dirimpetto alla rimessa del tram di allora) ed andare da nostri parenti che abitavano nel rione Sant’Agostino. Ci si affacciava ad una finestra e si scorgeva il torrione della Caserma Vittorio Emanuele che stava nella direzione della nostra casa. Una sera il solito aereo girava sulle nostre teste e si aspettava che qualcosa fosse sganciato, quando stando alla finestra vedemmo un gran lampo come fuoco d’artificio in direzione del torrione ma un po’ più a destra. Allora hanno colpito la nostra casa! Poco dopo preoccupati c’informammo (le notizie in città erano velocissime come il vento) e ci dissero che avevano colpito l’Istituto Industriale. La mattina dopo andammo a vedere cosa era successo al mio “Istituto”.
Non ci fecero naturalmente entrare ed allora andammo dalla parte della ferrovia che all’epoca, mi pare, non era ancora stata smantellata. Si poté vedere benissimo le travature che sostenevano il tetto erano poco danneggiate, la bomba aveva avuto il suo impatto con una delle travi superiori ed aperto un varco di qualche metro e la deflagrazione e lo spostamento dell’aria avevano danneggiato parte del tetto, tutti i vetri e molte macchine che erano nell’officina. Calcinacci, schegge e quant’altro erano all’intorno rendendo inutilizzato il locale e quasi tutte le macchine utensili. Le parti murarie erano rimaste in piedi.
Le scuole ormai funzionavano a pieno regime e i primi fermenti affioravano nelle classi superiori e già si cominciava a pensare al nostro futuro. Ormai le notizie della campagna d’Italia e di ciò che stava succedendo nel Settentrione, era oggetto d’attenzione da parte della classe studentesca. Gli indirizzi degli Istituti tecnici erano prettamente di carattere industriale e noi, alla prima classe già si cominciava a guardare alle industrie del Nord e che fine avrebbero fatto.
Sarebbero state distrutte tutte?
I nostri insegnanti tecnici ed ingegneri da allora ce ne parlavano, come ex dipendenti nelle grosse industrie e nelle grandi centrali elettriche nel Nord. Forse per noi era prematuro parlarne? Molti interrogativi si affollavano e la nostra voglia di sapere era giornaliera e perché una nuova Era si stava per aprire. Intanto ogni giorno che passava c’era una nuova notizia.
L’ambiente scolastico era diventato una fonte d’informazioni e nello stesso tempo d’integrazione di studenti provenienti da ogni località. Insomma una specie di entità multietnica nazionale. Cominciava a cambiare il sistema scolastico o era il tempo che dava il segno di cambiamento?
I contatti studenteschi con le altre comunità scolastiche, al principio erano improntati ad una conoscenza reciproca, ma tra noi e i geometri e i liceali scientifici vi era già un’affinità fondamentale, forse dovuto al fatto che gli indirizzi scolastici erano comuni e principalmente tecnici-scientifici.
Verso il liceo Classico ci si guardava già un po’ in cagnesco e nelle partite di calcio vi era una rivalità al di fuori della norma, poi quest’atteggiamento sfociò in scontro aperto solo dopo poco tempo quando scoppiò il problema di aprire ai periti tutte le facoltà universitarie. Infatti, all’epoca la sola facoltà aperta ai periti era economia e commercio. Ci furono delle manifestazioni e cortei ed anche delle assemblee comuni. Il locale fu il cinema del Dopolavoro chiamato poi ENAL.Dibattito acceso ed una ragazza del liceo (ricordo ancora oggi) si infervorò moltissimo sommerso però da moltissimi fischi. Quando l’assemblea si sciolse, le discussioni durarono ancora e la “querelle” non si fermò. I dissidi rimasero.
Molte zone dei paesi circostanti dove si combatté e sostò il fronte per molto tempo, furono minate ed erano molto pericolose per le persone e i mezzi che stavano lentamente rientrando nelle proprie case. Molte squadre specializzate erano all’opera per sminare il terreno specie nelle zone Miglianico-Tollo-Ortona-Orsogna ma qualche incidente ci fu lo stesso di una certa gravità. La vita stava riprendendo lentamente il suo corso con altri problemi non paragonabili a quelli passati in precedenza.
Il popolo teatino aveva ripreso il suo passeggiare per il Corso Marrucino facendo sempre lo stesso percorso dal negozio Scardapane al largo della Trinità e d’estate si continuava sino alla nostra bellissima Villa Comunale. Il passeggio non era disturbato da nessuna auto poiché all’epoca erano rare e solo qualche taxi “osava” avventurarsi per il Corso chiedendo il passo ai passeggiatori che occupavano principalmente la sede “stradale”.
Il parcheggio dei taxi era formato da bellissime e robuste Fiat Balilla e 1100 e da auto Lancia Aprilia e sostavano davanti al Caffè Desiderio e dall’altra parte davanti ai negozi di tessuti Trevi, sempre al largo del Pozzo, con dei bellissimi lampioni alle loro spalle e che fortunatamente non furono danneggiati dagli eventi bellici. A quel tempo mancando auto private non c’erano distributori; anzi uno me lo ricordo bene, era situato sulla destra della porta d’ingresso della chiesa della Trinità e per avere il rifornimento era necessario chiamare il proprietario che aveva all’epoca un negozio ad appena venti metri di distanza, bisognava solo attraversare la Piazza. Questo unico distributore non funzionava sempre data la mancanza d’utenti e somigliava ad una specie di lampione di colore giallo o rosso, abbastanza alto con due sportelli apribili davanti e lasciavano vedere due cilindri di vetro che si riempivano di benzina quando si richiedeva il rifornimento. Noi ragazzi ed adolescenti quando si passava dalla Piazza per le passeggiate e lo vedevamo funzionare non, potevamo fare a meno di fermarci e vederlo all’opera. Che tempi! In cima a questo “coso” cilindrico vi era una specie di conchiglia luminosa (quando funzionava) con la scritta “SHELL”, può darsi che io sbaglio ma pare che sia proprio così! La tragedia italiana non ancora era giunta all’epilogo, nell’Italia del Nord erano cominciati gli scioperi a Torino e Milano (28 marzo). Forse il dramma si stava lentamente consumando?
Dal fronte italiano (10 aprile) le notizie davano una prossima offensiva sulla linea Gotica e sulla linea Pesaro-Forlì-Garfagnana-Lucca. Nella zona Adriatica erano dispiegati i Gruppi da combattimento “Friuli”, “Folgore”, “Legnano” e “Cremona” e tra questi la nostra “Nembo” ed il gruppo partigiano “Maiella” quindi appartenenti al Regno del Sud. Da notizie che venivano Via Radio, si sapeva che anche la RSI aveva delle truppe composte dalle quattro divisioni italiane addestrate in Germania e dislocate sul fronte della Garfagnana e in altre parole nel settore della V^Armata alleata. Il fatto che truppe italiane si scontrassero tra loro fu risolta dai comandi per non farli mai incontrare nel fronte gotico. Bologna ad Aprile fu liberata dai polacchi nella mattinata, poi dai bersaglieri del Gruppo “Legnano” e dal Gruppo “Friuli”.
Gli sfollati venuti da ogni parte erano rimasti per buona parte in città, la Caserma Berardi era stata tutta occupata da queste persone che oltre ad aspettare il ritorno probabile nei propri paesi, cercavano di trovare anche una diversa residenza da quella abituale e inoltre una sistemazione o in città o altrove.
Molti rimasero nella città. Come già avevo scritto nelle puntate precedenti, tutto il piazzale della Caserma, era stata trasformato ed adattato in diversi campetti di calcio ed io, oramai grandicello, ero uno dei più assidui frequentatori di partite accesissime tra i vari quartieri rionali della città. I nostri incontri calcistici che prima avvenivano per le strade, nonostante il pallone era di pezza o qualche palla da tennis rimediata nei vecchi scaffali di casa, ora invece avevamo l’opportunità di giocare su un campo anche se rabberciato ma con qualche pallone vero che era apparso come un simbolo. Infatti, quando arrivava qualche gruppetto di ragazzi proveniente da altro rione e portava in dote un pallone, c’era la corsa a giocare e si formavano delle squadre sul posto e si chiedeva al proprietario di quel pallone il permesso di giocare. Avevamo fatto dei progressi! Si giocavano partite infuocatissime, il nostro rione “Aragona - via Valignani” contro classici avversari come la”Cappuccini”, il Rione “sant’Agostino” ed anche “quelli della Villa comunale” e poi la”Civitella” che per noi erano i più forti. Le porte erano fatte con indumenti, scarpe, pietre o altro che delimitava la posizione dei pali. I gol più validi erano quelli rasoterra o a mezz’altezza, per gli altri era una lite continua come per le punizioni o falli, non c’era l’arbitro, ma la grande voglia di giocare metteva tutti d’accordo e la partita continuava sempre poi con punteggi abbastanza alti. Con il tempo si cominciò a notare che i portieri erano veri portieri e qualche giocatore mostrava veramente il proprio valore. Da qui poi diversi si cimentarono anche con la SS Chieti Calcio.
Così ebbi l’opportunità di conoscere alcune persone sfollate che stavano organizzando una squadra di giovani che dovevano esibirsi in estate in vari tornei non solo cittadino ma anche nelle zone di Chieti e Pescara.
La squadra degli sfollati della caserma Berardi, oltre che essere ottimamente equipaggiata con maglie e pantaloncini neri, aveva anche” le scarpe da pallone”, all’epoca ancora molto rare per i non addetti. I tacchetti erano di cuoio e poi fissati sulla soletta delle scarpe ma molto pericolosi se vi erano dei contatti, la plastica non era ancora stata inventata e tutto si basava sul cuoio come il pallone.
Gli organizzatori erano riusciti a procurarsi degli ottimi palloni che avevano una fessura su cui doveva infilarsi il tubetto della camera d’aria che dopo gonfiata doveva essere sistemata in quest’apertura, che era chiusa da un laccio di cuoio tipo allacciatura delle scarpe. Gli espertissimi rendevano quest’apertura molto omogenea e quindi la “sfera” abbastanza rotonda ma rimaneva sempre il fatto che se colpivi di testa il pallone e beccavi l’apertura, anche se chiusa bene, rischiavi di farti male la testa magari con qualche lesione o dei bernoccoli.
La squadra era composta di molti validissimi elementi che parteciparono, in seguito, ai vari tornei cittadini. Avevamo validi giocatori anche del mio rione, come i fratelli Di Leonardo poi ritornati negli Stati Uniti, altri della vicina Francavilla. Le nostre trasferte erano effettuate con camion residuati di guerra scoperti ed era molto divertente perché si girava in lungo e largo per la provincia. Un giorno in un incontro a Pianella, il pubblico non ci accolse bene poiché si proveniva da Chieti! Gli insulti ci venivano addosso da ogni dove magari per qualche azione pregevole effettuata dalla nostra formazione. Forse erano dei rancori che si erano accumulati per lo sfollamento degli abitanti verso la nostra zona o vero e proprio campanilismo! Quelle persone ci fecero capire che avevano rivolto il loro rancore proprio contro la squadra di Chieti. I nostri giocatori che in maggioranza erano sfollati, ci rimasero molto male e non seppero darsi una ragione valida per il comportamento dei “tifosi” che magari non lo erano.
Prima della Liberazione la squadra di calcio esisteva solo sulla carta, anche se esisteva una squadra con diversi giocatori del campionato precedente di serie C. Solo qualche amichevole come ad Aprile vi furono incontri con i Liberi Calciatori di Chieti con risultato 0-0. Poi nello stesso mese 9-0 contro selezione Aspromonte - sfollati Siculi - Calabresi e poi ancora ad Aprila una partita contro una Rappresentativa Militare di Chieti. Questa era una formazione di militari tedeschi e qualche militare della RSI, vittoria per 6-1.Alla Civitella ci furono dei tafferugli.
Solo dopo il 10 giugno esattamente, il Chieti incontrò 25 Giugno una selezione del 68° Reggimento Fanteria vittoria per 1-0, mentre il 23 luglio Basciani e D’Incecco segnarono per il Chieti contro la Rappresentativa Militare South Africa dell’8^Armata britannica. I giocatori neroverdi impiegati furono all’incirca gli stessi dell’ultimo campionato di serie C con Novelli (P), Di Luzio Mario (P) con Basciani, D’Incecco, Sbaraglia, Rota, Tiriticco e Pinti, Sammartino, Di Renzo, Zanterini, Paciocco, Di Clemente Tullio, Melilla ed è grosso modo, rafforzata Da Giunghi, Strinati e Moretti, la squadra che poi giocò il campionato Misto Abruzzo con inizio il 24 dicembre.
Nelle scuole si ricominciarono a formare le squadre per i tornei studenteschi e la formazione dell’Istituto Industriale era la più forte perché formata da diversi giocatori anche del Pescara e del Chieti. Non dimentichiamo il terzino Renato Tiriticco poi nel Chieti Calcio-Serie C (1940-1946), negli anni a venire Emilio Lupo nel Chieti Calcio Serie C (1947-1950) e poi Ennio Crastia e Nello Fanti nel Chieti Calcio (1948-1950). Feci parte anch’io, però dopo qualche anno, nella formazione 1948-49 e vi erano anche giocatori che militavano in Serie Dilettanti come Ortona, Pineto, Sulmona e Pescara Giovanili. La maglia era blu con fascia orizzontale bianca, pantaloncini bianchi e calzettoni blu con risvolti bianchi, allenatore era il Prof. Di Gregorio insegnante di educazione fisica. Si pensava sempre alle azioni belliche; il 12 d’Aprile, il presidente americano Roosevelt muore e gli succede Truman, gli alleati varcano il Po, i partigiani insorgono. Che sarebbe successo? Fra qualche mese la svolta nella storia e nella guerra.
Gli sfollati erano quasi tutti rientrati nei loro paesi che avevano abbandonato e ritrovati semidistrutti, erano la maggior parte provenivano da quella fascia zonale a ridosso del fronte Ortona-Orsogna-Cassino, tranne una certa parte che era rimasta in città in cerca di nuova residenza o di diversa sistemazione o nell’attesa d’eventi favorevoli.
La Caserma Berardi era oramai un quartiere popolato di sfollati. Gli studenti provenivano la maggior parte da Pescara. Molti ancora provenivano anche dalle cittadine che non avevano avuto gli ordini di sgombero e che risiedevano nella fascia della zona sud della città e che gravitavano lungo il fiume Pescara; ho avuto compagni di scuola provenienti oltre che da Pescara e dintorni, anche da Torre de Passeri, Turri Valignani, Pratola, Tocco, Francavilla e campagna, anche da Tollo e Miglianico e Ripa teatina.
Nel periodo aprile-maggio ero a scuola e un insegnante di matematica, anche lui proveniente dalla provincia (Palena)come diversi altri, ci comunicò la notizia dell’arresto di Mussolini e della sua uccisione (27-28 aprile) non si sapeva al momento come.
Allora non sapevamo molto e i giornali ne parlarono il giorno dopo come successe, citando una piazza di Milano (era piazzale Loreto).
Poi dopo dalla radio, si seppe della morte di Hitler (30 aprile), con notizie contrastanti. Una ridda di notizie ed anche di fatti ci facevano essere consapevoli che qualcosa stesse succedendo. La fine della guerra in Italia?
Dopo qualche giorno mentre eravamo in aula per una lezione, un tramestio nei lunghi corridoi dell’Istituto, interruppe le lezioni ed alcuni bidelli ci annunciavano la fine della guerra in Italia!! La massa degli studenti che stava nel primo piano scese nell’atrio del portone principale per riunirsi e commentare insieme al corpo insegnante con capo il preside ing.Pritelli, poi in moltissimi in corteo si diressero verso il centro della città in Corso Marrucino. Le altre scuole fecero la stessa cosa e tutti i cortei
Confluirono in uno solo ed insieme inneggiò alla fine della guerra in Italia con slogan di entusiasmo. I tedeschi si erano arresi al comando Supremo del Mediterraneo il 2 maggio e il documento di resa firmato a Caserta il 29 aprile 1945.
In quest’occasione ci furono dei messaggi inviati da Churchill, al governo italiano in cui si riconoscevano i contributi alla vittoria delle formazioni italiane e dei patrioti e un augurio di collaborazione con le Nazioni Unite. Dal governo Bonomi ad Alexander in cui si ringraziano le forze alleate e l’Italia è fiera di aver contribuito, insieme alle nazioni Unite, alla libertà con le sue fanterie, con i suoi marinai e i suoi aviatori e con tutti i patrioti insorti.
Ormai le informazioni giravano tramite radio e giornali ed il cinema non era da meno. I nostri artisti erano presenti su tutti i grossi teatri e le varie compagnie di prosa e di varietà erano sugli scudi, citiamo le compagnie di N.Besozzi-V.Gioi, Ruggero Ruggeri, i De Filippo, Aldo Fabrizi e poi le compagnie di N.Taranto, Billi, Macario, Fanfulla e i film, come dicevo precedentemente, americani e del grande schermo internazionale. Alcuni film mi sono rimasti impressi. Come dimenticare “la famiglia Stoddard” (Bergman, Hayward), “Orgoglio e pregiudizio” (Garson, L.Olivier), Uno scozzese alla corte del Gran Kan (G.Cooper), “Intermezzo” (L.Howard, I.Bergman) e come non dimenticare il bellissimo film “Serenata a vallechiara” (S.Heine, J.Payne) con la bellissima musica di Glenn Miller!
Intanto sugli schermi si proiettava “Roma città aperta” con A.Magnani ed A.Fabrizi, capolavoro del nostro cinema di Roberto Rossellini.
La scuola stava per chiudersi e si pensava alla fine di questa guerra su tutti i fronti e si sperava nei mesi qualcosa che poteva cambiare le sorti della guerra.
In Italia ci fu un cambio di governo (19 giugno) con capo Ferruccio Parri, già esponente della Resistenza in Alta Italia. Venne in visita a Chieti e al Teatro Marrucino si tenne un discorso alla presenza di tutta la cittadinanza. Io andai con altri giovani per ascoltare cosa diceva, ma durante l’esposizione, una voce si levò dal loggione e gridò con voce alta: “ Vogliamo pane e lavoro. Vogliamo pane e lavoro”, il presidente Parri rimase prima interdetto e poi rispose: “Siamo qui per ricostruire questa Italia e dare a tutti pane e lavoro”.
Era il mese di giugno ed eravamo in piena estate. Le scuole chiuse e si cercava di goderci le meritate vacanze dopo un’annata di studi ed avvenimenti.
Io e a mio fratello con l’amico Renato Cicconetti volevamo mettere in pratica l’idea di andare a visitare ciò che era rimasto di Francavilla a mare spiaggia, già metà di tutte le nostre vacanze passate. Volevamo sincerarsi di persona cosa voleva significare la parola “rasa al suolo” come ci era stato detto. Come andare? Avevamo deciso di andarci a piedi ma con l’aiuto di una vecchia bicicletta Bianchi ritrovata in soffitta!
In tre avevamo deciso di andare a piedi a Francavilla al mare e ci stavamo preparando per bene per affrontare questa passeggiata che per noi poteva essere faticosa ma con un po’ d’avventura. Io e mio fratello con Renato avevamo deciso quasi tutto, orario di partenza di prima mattina, quello che dovevamo portarci, qualcosa da mangiare, uno zainetto militare e molta buona volontà ed eravamo molto caricati anche perché era la prima volta che si usciva di casa per andare “quasi sul fronte” e il fatto che la spiaggia della nostra Francavilla fosse tutta distrutta ci interessava moltissimo.
L’idea è venuta da una bicicletta che io e mio fratello avevamo ritrovato e che giaceva da tanti anni nella nostra soffitta. Noi non sapevamo nulla e mio padre si era quasi dimenticato d’averla e quando l’abbiamo ritrovata sembrava di aver scoperto un’isola nell’oceano! La nostra meraviglia era accompagnata dalla voglia di vederla funzionare, perché era molto polverosa ma sembrava in buono stato.
La bicicletta era da uomo di colore nero, era una vecchia Bianchi;all’apparenza aveva quasi tutto in ordine, i freni a posto, aveva ancora la lampada con la dinamo ma non funzionava bene, il catarifrangente c’era, il sistema pedivella e l’organo di movimento andavano bene. Le due ruote dall’esterno erano integre come i cerchioni e i copertoni, ma delle camere due d’aria solo una era in buono stato l’altra era tutta secca ed inservibile. Come si fa per la camera d’aria? La compriamo ma dove e a chi? E’ bello dirlo ma allora era difficile trovarla, mancava quasi tutto e i negozi di accessori per bici si stavano attrezzando. Non ci perdemmo di coraggio e ci venne un’altra idea. Mio fratello prese una corda della circonferenza del cerchione ed intorno avvolse strati di pezze di stoffa fino a fare una pseuda-camera d’aria. Era ben omogenea e compatta e fu inserita all’interno del copertone della ruota anteriore. Insomma una ruota ripiena come le bici dei bersaglieri. Forse meglio. Provata su strada andava molto bene, anche se qualche sforzo in più bisognava farlo. Il tragitto doveva essere Chieti-Via Valignani-Madonna delle Grazie-Tricalle –poi la strada in salita che portava a Francavilla-mare per la cosiddetta “voltata del vento” poi in pianura passando per Villa Obletter-Villa Pini- poi ancora discesa per Francavilla fino all’Alento.Il sistema di viaggio era molto semplice più difficile da spiegare che farlo. Uno si incamminava con una specie di zaino a tracolla e la bici partiva con l’altro sulla canna percorrendo duecento o trecento metri.
Insomma una staffetta spola tra noi tre perciò ad ognuno toccava pedalare oppure stare sulla canna oppure camminare a piedi. Impiegammo poco tempo per arrivare all’Alento anche se un po’ di fatica si faceva sentire. Eravamo soddisfatti. La strada era poco frequentata e l’asfalto era molto irregolare, i mezzi erano pochi solo carri agricoli e qualche bicicletta. Era una zona abbastanza conosciuta da noi perché a cavallo della liberazione era meta per poter trovare delle provviste dai diversi contadini della zona.
In città, allora, qualcosa cominciava a scarseggiare e mia nonna ed alcune vicine di casa, tra cui una famiglia di Pescara che era sfollata ed abitava in fianco al nostro appartamento, decisero appunto di fare una capatina tra questi contadini, naturalmente sobbarcandoci (io e mio fratello eravamo della partita) il viaggio a piedi dalla città. Munite di borsoni si girava per la campagna ma i risultati furono piuttosto deludenti perché i contadini ci dissero che quel poco che avevano, serviva alle loro esigenze. Solo qualcuno ci vendette un po’ di farina, qualche litro d’olio, niente galline o animali da cortile ma c’erano pochi problemi per frutta secca tipo noci e fichi secchi.
Si decise poi di fare un’altra “spedizione” con esito sempre appena sufficiente e quindi quella zona l’avevamo conosciuta e sapevamo l’ubicazione di stradine e sentieri. Mi venivano in mente queste cose nel viaggio che stavamo per fare lungo la rotabile che stava per condurci all’Alento. Arrivati sullo sbocco con la Statale, si poteva intravedere subito il mare con qualche rovina lontana qua e la ma decidemmo subito di incamminarci sulla destra verso il piazzale Sirena e cercare di vedere meglio, camminando lungo la strada fino al piazzale della stazione Ferroviaria e della Chiesa di S.Liberata si cominciava a vedere in alcuni tratti ancora il mare e nient’altro, poche persone si aggiravano nei dintorni, mentre sulla destra- di là della Ferrovia e della strada quasi tutto intatto. Noi dalla strada non potevamo vedere se nel paese ci fossero state delle distruzioni. Dopo ci dissero che la chiesa di Santa Maria Maggiore fu minata e distrutta e dopo fu costruita sul suo posto una nuova chiesa che è conosciuta con il nome di S.Franco, attualmente la chiesa costudisce le ossa dell’eremita San Franco e oggetti sacri.
Giunti al piazzale della Sirena un’emozione profonda. Oltrepassato il passaggio a livello tutto piatto! Lo splendido edificio della Sirena anni 1920’ con un magnifico interno addobbato ed una rotonda all’esterno con dei lampioni di ghisa luminosi ed artistici non esisteva più. Mattoni e detriti erano allineati nello spazio dov’era l’edificio. I nostri ricordi si affollavano nella nostra mente e vedevamo il Gran Caffè della Sirena con grandi balli e luminarie specialmente quando arrivava la Flotta che nel periodo estivo che sostava nella rada.
I nostri ricordi di noi ragazzini, si curiosava dall’esterno per vedere tanta gente che affollava l’interno ma anche noi ragazzini entravamo nel locale per giocare con le macchine automatiche mangiasoldi (oggi si chiamano slot-machine).
Erano degli apparecchi mastodontici e il tintinnare delle monete che venivano giù come premio, manovrando una leva dove aver introdotto i nostri spiccioli, sembrava ritmato con il chiasso che ci circondava o con la musica delle orchestrine che aleggiava per le continue feste estive.
C’era un mucchio di macerie e mattoni ben allineati, la strada non esisteva, il viale Nettuno era lungo e alberato con pini mediterranei alti e compatti, non era asfaltata ma aveva una solida brecciolina e le ville tutte disposte in ordine elegante e razionale. Tutto piatto. Avevamo capito cosa voleva dire “rasa al suolo”. Ci incamminammo verso il largo dell’attuale stazione (che fu spostata dopo), e il panorama era sempre lo stesso tutto accumulato e distinto per ogni costruzione.
Cercammo nelle vicinanze di trovare un riferimento dove esisteva il famoso albergo Forconi, meta del bel mondo dell’epoca e trovammo solo una base di cemento-ferro di uno dei cancelli dell’albergo con una vaga scritta d’indicazione.
Era veramente struggente e melanconica vedere la nostra splendida Francavilla ridotta così. Nella zona doveva esserci anche uno stabilimento balneare in legno pittoresco per i suoi colori sgargianti e vivaci ma nemmeno a pensarci, sarà stata distrutta in un batter d’occhio dalle mine.
Ero ragazzino, i balli che si facevano in occasione delle visite delle squadre navali erano magnifiche con luci e suoni d’orchestre e mi vedevo già grande che mi divertivo come loro.
Eravamo ancora in guerra, la Guerra mondiale non ancora era finita.
Con il cuore misto di rimpianti e ricordi, decidemmo di andare a Pescara, sempre per la Statale-Nazionale passando per la Pineta di Pescara.
Con lo stesso sistema della spola con la bici ricominciammo l’avventura, la strada era asfaltata ma dopo pochi metri la gomma posteriore (l’unica con la camera d’aria) forò. Decidemmo di proseguire senza copertone posteriore con il solo cerchione. Sembrerà strano ma si pedalava a velocità supersonica e il contatto del cerchione con l’asfalto provocava anche delle scintille. C’era il pericolo di slittare ed allora si dovette ridurre al minimo la velocità.
Sto cercando di descrivere la Nazionale che collegava Francavilla Alento a Pescara Pineta.In questo tratto zonale campagna a abitazioni e dove attualmente sorge il LIDO di Alcione.
Arrivammo a Pescara centrale e ci dirigemmo verso la rotonda principale dove c’era allora un monumento e lì sostavano ad orari dei camion scoperti del Truck-Pool, denominazione data a quei camion paramilitari che supplivano alla mancanza di mezzi pubblici, addetti al trasporto delle persone a Chieti e per altre località. Essendo inutilizzata la spiaggia di Francavilla, i teatini si erano riversati sulle spiagge pescaresi e facevano tutti riferimenti propri al “monumento” per raggiungere la propria destinazione.
Gli autisti erano dei civili e non mi pare che il trasporto fosse gratis e all’ora della partenza per Chieti non ci rimaneva che caricare la bici nel camion scoperto e ripartire per casa. Viaggio seduti sulle panche che stavano sul camion scoperto. Viaggio abbastanza tranquillo ma noi eravamo stanche ma soddisfatti di aver fatto un giro nei posti a noi cari. Le macerie di Francavilla e ancora a Pescara alcune palazzi danneggiati, facevano spicco nella giornata assolata. Stavamo per uscire da un brutto sogno oppure era la realtà che ci riporta con i piedi per terra?
Arrivo a Chieti in piazza S. Giustino e con la bici senza copertoni e camera d’aria, sulle spalle.
La locandina è il Corso Marrucino-Centro della città
Scritto da LICIO ESPOSITO il 4 luglio 2017