II^  PUNTATA.

Il capolinea del servizio tramviario fu spostato a Largo Carisio e la rimessa in Via Valignani rimase e in seguito fu adibita ai filobus, sostitutivi del tram, ne abbiamo già parlato nelle puntate precedenti (1941-42) ma non ricordo con esattezza l’anno dello spostamento.

Quello ci fu.

La foto sottostante rappresenta la demolizione dell’edificio, a dir il vero piuttosto fatiscente, che era appunto il capolinea con una biglietteria.

L’Edificio era rimasto in piedi e la sua demolizione sancì definitivamente ogni presenza del servizio tramviario.

Sullo sfondo s’intravede un gruppo di case lontane, non vorrei sbagliare ma è la cittadina di Bucchianico.

Nel piazzale del capolinea erano sistemati gli scambi delle vetture ed era come uno spettacolo assistere a queste operazioni che attiravano gruppi di ragazzi e di curiosi.

Le auto erano pochissime in giro e quindi non’c’era difficoltà di manovra per la presenza di auto parcheggiate.

Il percorso, quando il capolinea era a piazza “Grande”, l’abbiamo già descritto ma il tratto di via Arniense da Scardapane (fondo Corso Marrucino) alla scuola elementare di Sant’Anna era leggermente in discesa e molto pericoloso anche considerando la strada abbastanza stretta.

Con il nuovo capolinea il percorso di Via Arniense si era accorciato tranne il pericolo, che stava dietro l’angolo.

Un anno proprio lungo questo tragitto (largo Carisio-scuola elementare) un gravissimo incidente mortale preoccupò moltissimo gli abitanti della zona.

Una bambina uscendo di corsa dalla propria casa, finì sotto il tram.

Dovettero intervenire i VV.FF. con delle gru per estrarla, purtroppo, non c’era nulla da fare.

Comunque quando nella precedente puntata scrivevo “occasione mancata”, mi riferivo al servizio tramviario come “metropolitana leggera”, ma non all’interno di una città come Chieti.

Strade strette. Infatti, anche quando c'erano i filobus, passare per via Arniense e Corso Marrucino era comodo per i passeggeri ma creava dei disagi che aumentarono con il potenziamento della motorizzazione e quindi del traffico veicolare. I cittadini erano felici di questo filobus, perché si considerava il servizio Tramviario abbastanza pericolo per una cittadina come la nostra città strada stretta e, come si diceva, traffico in aumento. Di qui lo spostamento verso le strade periferiche. 

Il tram passava proprio davanti alla Scuola elementare. La piccola costruzione di forma quadrata sulla destra era il post daziario.

I cittadini avevano molto a che pensare: dai razionamenti, ai tedeschi che c’impedivano ogni movimento, ai disagi delle bombe che non ci risparmiavano, le scuole momentaneamente erano chiuse. Forse il nuovo anno poteva portarci un raggio di speranza, la guerra doveva pur finire.

Si cominciavano a contare i numerosi morti e feriti per le varie bombe sganciate in tutta la città. Cominciavano ad esserci più frequenti i rastrellamenti dei tedeschi aiutati da qualche elemento locale, per prelevare persone che dovevano essere mandate al fronte per le varie opere di fortificazione od altro. Era un vero stillicidio e queste operazioni venivano effettuate, quasi come delle regole, all’uscita delle messe domenicali.

Continuano i cannoneggiamenti e le “visite” del solito aereo che ogni tanto sganciava qualche spezzone per colpire le strade d’accesso al fronte.

Su quest’aereo notturno volevo dire qualcosa. La sera non ci si divertiva anzi, qualche volta c’era il coprifuoco, poi l’oscuramento, la città illuminata per modo di dire il cinema c’era ma non era da stare felici, allora nel mio fabbricato si era già pensato di riunirci quasi tutte le serate a casa di qualcuno per giocare a carte per es. al mercante in fiera o a sette e mezzo c’erano le famiglie con i loro figli e molti miei amici del vicinato anche loro magari con altri ospiti. Si cercava di passare del tempo della nostra giovinezza che stava per arrivare ed allora sfociò anche qualche occasione per parlare tra coetanei tra ragazzi e ragazze.

L’aereo che girava attorno a noi procurava molta apprensione e ogni tanto, quando eravamo a casa mia, ci si affacciava ai due balconi che davano ad est e guardavano il mare per cercare di vedere quest’aereo, specie nelle serate di luna. Ma non si riusciva ad individuarlo. Pensavano a quel pilota che quasi vedevamo e quasi pregandolo di non sganciare quello spezzone che avrebbe causato danni e morti. Invece ogni tanto sganciava causando, per fortuna, nel nostro rione solamente danni alle cose.

Ci si domandava sempre se la vicinanza dell’ospedale, sede di reparti tedeschi e comando, fosse la causa della loro attenzione.

Andiamo con ordine.

Le radio non ancora erano diffuse e le canzoni incise su dischi a 78 giri costavano, noi, però con la nostra CGE sentivano alla radio alcune canzoni in voga allora: “Maramao perché sei morto” “Pippo non lo sa” con i cantanti Ernesto Bonino, Silvana Fioresi, Natalino Otto e poi Alberto Rabagliati, che fecero furore, specie per quest’ultimo,. l’Ente radiofonico di allora l’EIAR mandò in onda una trasmissione in cui i pezzi più famosi come: “ Ma l'amore no, Mattinata fiorentina,Ba-ba-baciami piccina, Bambina innamorata, Amigos vamos a baillar, Guarda un po'” toccò l’apice con:” Quando canta Rabagliati; Quando la radio; C’è una chiesetta piccina.” Divenne un punto di riferimento della gioventù dell’epoca  e ancora oggi l’abbiamo ascoltato come sottofondo di alcuni documentari che la Rai  trasmette. Forse il suo stlle americanizzato, con la voce suadente e ritmica  presagiva il cambio di un’epoca. Certamente era stato già negli studi di Hollywod nel 1930! La gioventù di allora non avrà dimenticato.

Inoltre la cantante Memè Bianchi che, se non sbaglio, ho avuto il piacere di sentirla circa dodici anni dopo a un concerto dato per i militari della Cecchignola di Roma.

I colpi di cannone che provenivano dalle batterie piazzate vicino al fiume Moro fin dal mese di ottobre, seguitarono a preoccuparci anche dopo che questo “famoso” fiume fu attraversato per la battaglia di Ortona. In effetti, non potevamo sapere da dove partissero i proiettili. Si supponeva nella zona di Ortona.

Fino a quel momento per tutto l’inverno gli alleati si attestarono sulle sue sponde. Ci si chiedeva sempre se la mancata avanzata fosse dipesa da ostacoli insormontabili sul terreno o a calcoli strategici militari (Cassino?).

Questa seconda ipotesi sembrerebbe un parlare da adulti, invece no, mi ricordo benissimo che, pur essendo un ragazzo usava questi termini, magari letti chissà dove ma davano il senso della persona responsabile. Infatti, noi eravamo, come scritto più volte, improvvisamente adulti nel nostro modo di pensare e tale siamo rimasti dopo.

Una bella scuola di esperienza.

A fine guerra dopo diversi anni, andai a visitare questo posto.

La questione del fiume Moro mi era rimasta qui, volevo proprio vedere il posto.

Devo dire che fui anche aiutato dal caso o fortuna perché una mia parente si sposò e andò ad abitare in quella zona.

M’informai anche presso alcuni abitanti vicini per avere tutte le risposte che potessero darmi un convincimento o delle risposte; dopo essermi recato a poche centinaia di metri da questo fiume che volevo vedere con i miei occhi.

Il fiume Moro è inserito tra due costoni ed un ponte collega il lato sud di Villa Rogatti-Caldari a nord della cittadina di Frisa.

Giunti con l’auto all’imboccatura del ponte scendemmo (ero accompagnato dai miei “testimoni” e interlocutori) e vidi in fondo un rigagnolo; “Non mi dite che quel ruscelletto é il famoso Moro che impedì agli alleati di attraversarlo e venirci a liberare a suo tempo?”

Certamente mi risposero e che quell’anno il clima fu inclemente e quando quel “ruscello” s’ingrossava, era molto difficoltoso attraversarlo e poi il terreno circostante era molto fangoso.

Convenni che il terreno si prestava a ritardare qualsiasi spostamento ma esistevano i mezzi adatti di guerra per passare oltre e i nostri timori allora, di ostacoli insormontabili da superare, erano infondati. In guerra ci sono stati attraversamenti di fiumi o corsi d’acqua veramente memorabili, per questo sono sempre convinto che la mancata avanzata sul fronte tirrenico abbia fatto ritardare lo sfondamento sul fronte adriatico e principalmente nella zona di Ortona.

Poi documentandomi le mie deduzioni erano quasi esatte.

Nella direzione nord Ortona-Adriatico-Chieti, volevano fare di quest’ultima città un baluardo della loro resistenza ma desistettero considerando che si stava sbloccando il fronte di Cassino e i sentori dello sbarco in Normandia, li aveva messi in grande apprensione. Comunque rinunciarono. Questo ragionamento lo feci dopo.

Da qualche mese la guerra di movimento stava diventando di posizione, inchiodati da diversi mesi e noi dietro le linee ad aspettare.

Essere in quel posto mi riportava indietro di anni, quando alla prima cannonata in città ci si rifugiava negli appartamenti sottostanti al mio e avendo a fianco un altro fabbricato si formava per noi uno schermo. Ci mettevamo al sicuro sia per il famoso aereo che per le cannonate.

In casa di questi vicini, eravamo ospiti ma come in un rifugio ed eravamo un po’ preoccupati in attesa della continuazione del bombardamento da qualsiasi parte provenisse.

Cannoneggiamento. Sentivamo partire il colpo, dopo un poco un fischio e lo scoppio del proiettile.

Diversi sono caduti nella nostra zona ed altri, nella città. Questa era lo stillicidio ed il vivere nostro in quel periodo e pensare che poi sia stato nel posto da dove partirono, “i colpi” mi veniva proprio da pensare come nelle guerre tutto è irregolare, distruttivo, senza pietà.

C’era qualche scoramento in molte persone, ma la fede della nostra sopravvivenza ebbe il sopravvento e si resistette. Però sono contento di essermi documentato di persona.

Presento una foto della zona del fronte, i cannoni doveva essere piazzati nella collina che s’intravede (sopra la strada).

Strada che porta in fondo al vallone e al fiume Moro. Qui c’era la linea del fronte adriatico che con la sua dorsale raggiungeva la vallata del fiume Foro: di qui Villa Rogati d’Ortona a mare (località dove a settembre il Re e il suo seguito s’imbarcarono sulla corvetta “Baionetta”).

Di là Frisa e Lanciano dove era attestata la VIIIaArmata dove operava il generale Volkes comandante della Divisione Canadese che sostituì il 2 dicembre 1943, la 78^ divisione già sul fiume Sangro.

Al di qua Villa Rogatti d’Ortona dove erano attestate …e Pfeiffer oltre ancora ad altre unità quali la 305^ Divisione di fanteria che si ritirò ai primi di giugno per dirigersi al NORD.

Intanto c’era qualcuno che ci ricordava spesso la nostra posizione di città a pochi passi dal fronte e questo era l’aereo che spesso, sempre di sera, veniva a farci visita.

Faceva sentire la sua presenza con il rombo del suo motore, ma era preoccupante sentirlo. Io pensavo: invece di scaricare gli spezzoni, non potrebbe buttarci giù qualcosa come pasta, zucchero, sale, stecche di sigarette, qualche cioccolata per noi ancora ragazzi?

Dico questo perché eravamo stufi del razionamento, per esempio del sale che non si trovava e al mercato nero costava troppo, poi vedere gli adulti fare la fila per le sigarette francamente lo comprendevo poco e poi per quali sigarette.

Per le “popolari”, anche se erano richiestissime dai veri fumatori, oppure delle famose MILIT che venivano denominate per il loro cattivo gusto ed aroma: M….a, Italiana Lavorata In Tubetti (ultimi rimasugli rimasti negli scaffali dei nostri tabaccai) infatti, io non li ho più visti.

Poi per il cioccolato, perché non c’erano molti dolci e ci si doveva accontentare dei torroni di fichi secchi con qualche mandorla, di cui parlerò in seguito.

Ci affascinava il suo continuo girare e guardando in alto (non si riusciva a vedere molto ma doveva essere a quota abbastanza alta) un pensiero anche al suo pilota con i suoi timori e responsabilità, ma nello stesso tempo ci si preoccupava per gli effetti disastrosi che poteva avere da un momento all’altro lo sganciamento di bombe.

Quanto vorrei sapere chi era.

Pilota alleato o anche italiano? Veniva sempre quasi a luna piena, come un lupo mannaro, forse per sganciare a vista (!) sui vari comandi tedeschi in città e non colpire abitazioni?

Ogni tanto la batteria contraerea che stava sulla torretta del nuovo Ospedale (già sede di un comando tedesco) interveniva ma senza effetto perché l’aereo non era così imprudente di volare basso.

Poi pensammo che la mitraglia poteva fare ben poco al contrario delle batterie antiaeree dei tedeschi, che erano piazzati a Chieti Scalo (Celdit) con ben altra gittata e potenza.

Due scoppi ci fecero sussultare e ci richiamava alla realtà, una bomba colpì un grosso palazzo a noi molto vicino a fianco dell’Istituto Industriale e un’altra nella zona del cimitero di S. Anna. Molto panico e scendemmo giù nella strada.

Sulla destra la Scuola Elementare di Porta Sant’Anna com’è adesso.

La bomba che aveva colpito il tetto del palazzo a noi vicino, non aveva creato grandi danni ma, sembrava che nessun civile fosse coinvolto.

C’erano già voci che davano per sgomberate alcuni fabbricati nella zona di S. Anna e che l’altra bomba (era uno spezzone) aveva colpito un fabbricato e si diceva che gli abitanti erano stati avvertiti di sfollare Si passò la notte non  molto tranquilla e la mattina abbastanza presto ci svegliammo e ci affacciammo al balcone posto a est e che guardava il mare e cercammo di vedere la zona di s. Anna che era a poche centinaia di metri in linea d’aria..

Si poteva vedere benissimo poco lontano le due palazzine delle case popolari, che c’erano state dette sfollate per il pericolo di una bomba inesplosa.

Eravamo intenti a guardare e commentare sulla presenza di una famiglia che in precedenza abitava sotto il nostro appartamento, quando improvvisamente un boato e un’ala dell’edificio precipitò con gran fragore e si alzò una nube  di polvere e calcinacci.

Una coincidenza lo scoppio di questo ordigno sotto i nostri occhi.

Dopo un po’ di tempo scendemmo per strada e una folla commentava questo crollo (era trascorsa forse un’ora o più) tra loro c’erano i membri della famiglia in questione che abitavano nell’ala precipitata, stavano raccontando la loro piccola odissea. Il figlio, mio amico d’infanzia, sposato con una ragazza vicina di casa, che ora risiede a Milano, mi raccontò i fatti.

Cos’era successo?

La sera prima l’aereo sganciò un terzo spezzone che s’infilò nella cantina di uno dei due edifici, la cosa fu notata dal rumore o altro, da una pattuglia tedesca nelle vicinanze che fece sgomberare tutte e due le palazzine.

Quella notte tutti furono costretti a lasciare l’abitazione in fretta perché si supponeva che la bomba fosse a scoppio ritardato.  Cosa poi che si avverò, almeno così dissero. Le persone non fecero in tempo a portare qualcosa con loro e questa famiglia passò la notte presso conoscenti, poi la mattina dopo il crollo dello stabile, le autorità assegnarono loro un alloggio nei locali del Convitto nazionale all’uopo attrezzato per sfollati cittadini e senza tetto.

Come si viveva a CHIETI.1940-44 (5). 

Poi ancora i razionamenti. Eravamo ormai cresciuti dal 1940 con il sistema razionamento specie per ciò che veniva considerato di prima necessità, ci eravamo anche abituati. Tutto razionato, quando dico tutto è proprio così. Ho visto fare la fila, con sistema del razionamento, per sigarette, vino, vestiti ed altri generi. Mi meravigliò molto le file per sigarette e vino, non sapevo che molti non potevano rinunciare a qualcosa che io credevo non necessario per “campare”.

Non ero mai andato in un negozio senza tessera e pensavo: come sarebbe bello andare al forno e comprare liberamente del pane, dire semplicemente “vorrei un chilo” e pagare. 

Ci ricordiamo com’era il pane?

Con molta crusca diciamo grossolana ed oggi questo tipo di pane é venduto a chi ha problemi gastro-intestinali. Poi la pasta anch’essa con molta crusca non era poi tanto male perché la mamma faceva un ottimo sugo e il piatto era ottimo, ora magari é presentato come specialità regionale e leccornie da gustare nei migliori ristoranti.

Allora c’era anche il problema del sale molto importante sia per la salute che per il gusto. Le nostre maggiori fornitrici di sale erano in Puglia e quindi si poteva solo trovare al mercato nero, certamente qualcosa si racimolava con il razionamento ma era insufficiente. A pensare che dopo tanti anni il sale così ricercato al tempo ora ovvero nei nostri tempi ci è vietato dal medico per la pressione sanguigna! Per la carne non c’era grande penuria, anche se era razionata, perché c’era qualcuno che ammazzava gli animali di contrabbando e molti comperavano, con azioni quasi di commandos. Erano in molti a praticare l’arte di arrangiarsi, in un momento della vita che era abbastanza complicato. Correvano le voci e in parecchi si riunivano come congiurati in qualche locale che era stato adatto ad un “macello clandestino”. Poi rividi le stesse scene, dopo anni, in un anno con Sordi, quando era in voga la rievocazione di episodi vissuti in quegli anni.

C’era mia nonna che si dava un gran daffare a procurarci le cose essenziali che ci servivano sempre a prezzi che delle volte erano insostenibili.

Io mi sono sempre chiesto da dove venivano fuori gli alimenti che poi trovavano in giro al mercato nero; venivano da depositi strani, dal Nord dove qualcosa si trovava ma non tanto, era roba imboscata e nascosta. Non ho trovato in giro nessuna indicazione o studio o relazione che qualcuno abbia fatto luce su questo fenomeno importante della storia contemporanea. Qualcosa poi descrissero nei soliti film cui abbiamo accennato prima. Forse non ho letto bene ma le vie del contrabbando sono varie. Se uno ci pensa bene, cose introvabili in momenti difficili escono fuori all’improvviso ma a prezzo diverso dal reale.

Il sale, quest’elemento essenziale sempre della nostra alimentazione, era diventato merce molto rara e i soli soddisfatti potevano essere solamente chi soffriva d’ipertensione! Però senza sale la minestra non ha nessun gusto poi è necessario anche per la salute. Magari un minimo.

Questa tessera annonaria era la croce di mia madre ed ora quando si parla di queste cose mi pare di parlare di un mondo di alieni. Ho parlato di alcuni generi ma ne potrei parlare di molti altri. Consideriamo quegli anni, l’Italia era ancora ad attività agricola e cercava di avviarsi verso l’Industria. Non c’era, tra le tante cose, l’Iper, il Supermarket, i Centri Commerciali o simili e via discorrendo. La spesa, anche se con la tessera, si faceva ancora ma nei negozi di “alimentari” di confezionato c’era pochissimo. Scatolame specie di alici, acciughe e tonno e molti altri generi non di prima necessità ma per l’olio da condire? Era razionato ed il negoziante aveva all’interno o retrobottega un catino capiente dove con un dosatore ti veniva riempita una tua bottiglia o recipiente a secondo i tagliandi, adesso tutto sigillato, chiuso, etichettato. La pasta. I negozianti avevano la pasta lunga sciolta in apposito comparto mentre la pasta corta, sempre sciolta, stava collocata in cassette con vetri incassate in grossi armadi ed estraibili. Anche lì la pasta veniva pesata sulla bilancia con la famosa carta da avvolgere fatta con la paglia, colore giallo e molto pesante ma anche resistente, tutto nel prezzo. Per la pasta corta stessa carta preparata a forma di cono e poi chiusa al disopra. Il vedere sul tavolo dei bottegai e specialmente dei macellai il pacco di carta gialla faceva un certo effetto, che serviva appunto la roba che veniva presa per quanto occorreva e pesata. Molti facevano osservazione (però sottovoce) perché non volevano pagare anche la carta, ma erano quasi inutili perché era così. Dopo tanti anni costruirono bilance con la tara. Adesso credo che funziona così per coloro che si servono ancora dei negozi. Tutto ormai si svolge in modo diverso e con carta diversa.

Vogliamo considerare i vestiti? Era tutto razionato. Ma i negozi di abbigliamento avevano sì l’abbigliamento ma non alla portata dei molti, specie quelle da donna. Conveniva servirsi della sartoria e allora c’erano diversi laboratori di moda, così si chiamavano, che facevano furore come i sarti per uomo. Le industrie di confezioni erano ancora aldilà da venire. Poi in quel tempo, come dicevo prima, ma pochi compravano viceversa erano molto i negozi con esposizione di tessuti, materiale ancora autarchico e i negozianti avevano anche sarti che potevano confezionare qualche giacca o pantalone lungo o allo zuavo (per i ragazzi allora) come d’altra parte facevano anche le sarte.

Ma in famiglia c’era sempre qualcuna, specie le madri, che s’ingegnavano a cucire qualcosa per uomo o donna. Vogliamo parlare delle giacche “rivoltate”? Niente di scandaloso solamente che il taschino, non per incanto si presentava non più alla sinistra ma a destra

 Giacca a doppio petto, pantaloni allo zuavo, calze corte o anche lunghe e scarpe con disopra bianco (ho rivisto queste scarpe poche settimane fa ad un’esposizione), qui si tratta della Casa dello Studente, Villa Comunale, Chieti.

Per le scarpe stesso identico discorso. La tessera assillava tutti e poi i modelli com’erano? Per le donne è troppo facile descrivere le scarpe ortopediche di sughero. Gli stilisti attuali non hanno scoperto un bel niente. Le ortopediche erano state già inventate! Qualcuno si faceva fare le scarpe da uomo su misura e i calzolai di allora facevano furore. Oggi trovare qualcuno per delle scarpe su misura, credo sia molto difficile e questo dimostra anche che alcune classi di artigiani sono quasi scomparse. Se si trova qualcosa ti costa molto caro ma è tutta un’altra cosa.

 Alcuni sportivi cominciarono a pensare al calcio e con alcuni giocatori cercarono di riportare il calcio in città. La squadra messa su alla peggio, dopo allenamenti alla Civitella, disputò vari incontri amichevoli con formazioni dai nomi originali.

La squadra del Chieti  cercò di attrezzare alla meglio queste squadre ma all’epoca avere indumenti da giochi, specie le scarpe, era una bell’impresa. Si giocò cercando di dimenticare i disagi  e specie quelli che erano sfollati lontani dalle proprie case. La squadra del Chieti era formata da  giocatori dei campionati passati che ancora erano residenti in città  con l’aggiunta di qualche giovane.

Ricordiamoci che molti giovani avevano dei permessi speciali per circolare in città, specie per tutti gli studenti.  In diverse regioni del nord molte squadre giocarono tornei provinciali e in altre quali la Lombardia, Veneto ed Emilia si giocarono tornei ed i vincitori si dovevano affrontare per poi giocare con chi avrebbe vinto il Campionato Alta Italia.

In questa situazione in città si pensava a far incontrare delle formazioni che si erano formate. Eravamo al mese di Aprile e si svolsero alcune partite per esempio il giorno 9 tra Chieti e Liberi calciatori finì 0-0, il giorno 16 Aprile tra Chieti contro Aspromonte - sfollati Siculi - Calabresi per 9-0, il 23 Aprile pareggio 3-3 contro Audace e Sfollati di Pescara e Francavilla. É poi il 30 Aprile la squadra della SS Chieti e una squadra, denominata Rappresentativa Militare tedesca, per la cronaca vinsero i locali per 6-1. A non tutto andò liscio e la forza pubblica, anche se in una città “occupata” c’era una parvenza di legalità ed allora dovettero intervenire. Si sparò anche qualche colpo di aria. Non era la solita sommossa calcistica e viceversa il pubblico aveva ben altre intenzioni. Io era dietro la porta del campo che guardava il Gran Sasso, mentre i disordini erano alla parte opposta e cioè nella direzione del Seminario. Gli spogliatoi erano proprio da quella parte. Quindi io vidi solo questo assembramento a distanza e non cercai nessuna scusa per restare insieme ad altri compagni.

Dopo la liberazione del 10 Giugno ci fu una piccola stasi perché il 25 Giugno ci fu ‘incontro tra la S.S.Chieti e una squadra del 68° Rgt fanteria e la Chieti vinse per 1-0.

Invece la Rappresentativa  Militare del South Africa  dell’8^ Armata britannica si giocò  il 23 luglio e segnarono  Basciani e D’Incecco.

Lo sgombero della città era una cosa seria e su questo uscì un manifesto del Comando tedesco che intimava ai “cittadini sfollati” di abbandonarla  entro il 15 febbraio, mentre i residenti di Chieti, borgate e di Chieti Scalo  entro il 15 marzo. Seguì poi un altro manifesto con i dettagli dell’operazione. 

Noi dovevamo sfollare per primi: 7 febbraio-1^Sezione.

Era richiesto lo sgombero di quanti abitavano in Via Padre Alessandro Valignani fino all’incrocio con la Via Generale Berardi. Le autorità civili e militari preparavano i permessi d’esenzione a vari strati di popolazione e noi studenti avevamo una specie di lasciapassare (tessera verde)  poiché eravamo considerati(dai 12 ai 16 anni) non adatti ad un tipo di lavoro faticoso. Le trattative per lo sfollamento della città continuavano, nel frattempo il comando tedesco aveva fatto imporre negli ingressi principali della città dei cartelli fissi piantati nel terreno, dove si diceva che l’ingresso era vietato alle truppe tedesche.Una mattina collocarono un cartello all’ingresso di Via Arniense all’altezza della scuola elementare  e per passare eravamo obbligati a mostrare i permessi.  I controlli erano effettuati, se non ricordo male, da carabinieri arruolati dal nuovo governo della Repubblica Sociale ed anche da elementi della  Guardia Nazionale ( così si diceva). Tutto questo non bastò perché alla fine di gennaio il comando tedesco fece affiggere un manifesto che annunciava lo sgombero della città entro la metà di marzo. 

Dopo l’uscita del primo manifesto inerente allo sgombero della città apparve un nuovo manifesto, questa volta del podestà che invitava di presentare domande per gli ammalati non trasportabili che dovevano rimanere in città. Insomma ci fu una serie di provvedimenti sia da parte delle autorità tedesche che di quelle italiane. Noi sapevamo che c’erano delle trattative in corso tra autorità civili italiane, Arcivescovado con l’arcivescovo Venturi.

All’annuncio dello sfollamento ci fu una certa incredulità unita allo sgomento di dover affrontare non avevamo capito ma invece avevamo capito subito che il momento era molto grave. In certi casi la giovane età ci è molto di aiuto e la nostra razionalità ci diceva che forse far sfollare una città non era facile come i manifesti crudi e decisi ci volevano far credere. Molti cominciarono a pensare di vendere ciò che possedevano per andare dove?Non si sapeva. Verso il Nord. Ma come a piedi, con mezzi di trasporto? Ma quali. Non ancora si sapeva nulla e penso che stessimo aspettando le decisioni definitive delle trattative tra le autorità della città con l’arcivescovo Venturi. Questi sono stati e saranno ricordati come i difensori della città.

Forse se ora ci fossero, saprebbero come agire per gli interessi di tutta la cittadinanza.

C’era una preoccupazione crescente e ognuno cercava di organizzare come lasciare la propria casa e tutto ciò che possedeva.

Noi ragazzi eravamo lasciati fuori da queste apprensioni e un giorno, dopo l’uscita del manifesto dello sgombero, trovai a casa una riunione di molti parenti che stavano discutendo come le famiglie potevano organizzarsi per

abbandonare le abitazioni. Per esempio qualcuno diceva che si poteva costruire uno o due carretti o simili di legno per mettere ciò che a mano non si poteva portare. Erano solo idee che dovevano essere sviluppate non appena si sapeva che veramente dovevamo sfollare. Comunque ci si chiedeva come si poteva conciliare l’abbandono della propria casa se le date erano tassative per ciascun rione, strada o piazza. Erano dei problemi che ci sarebbe stati risolti dopo. Insomma da un anno a questa parte ci erano piovute addosso situazioni che erano quasi incontrollabili che erano veritiere. Poi, come descrivo appresso, tutto fu sospeso e si pensava che avessimo fatto un sogno.

Intanto la scuola funzionava ed io doveva dare l’esame di Scuola inferiore e meno male che il corpo insegnante non perse il senso dell’insegnamento e continuammo la scuola fino al conseguimento della licenza e non credo che fossero semplici e per quanto mi riguarda cercai di cavarmela e non ci fecero pesare il momento cruciale che la nostra città stava passando. Mi preparai abbastanza bene. Abitando in via Valignani la mia scuola media, come già descritto in altri racconti, era ubicata a Largo Carizio, poi gli ultimi mesi prema della licenza e quindi in pieno caos logistico ci trasferirono in aule al Municipio. Meno male che mi ero preparato abbastanza, perché si poteva credere che il Corpo insegnante fosse stato preso da lassismo. Macché, anche se sentivo i loro discorsi preoccupati del momento, il loro obiettivo era l’insegnamento ad ogni costo.

Dopo poco (10 giugno) ci fu l’entrata della Nembo a Chieti.

La truppe tedesche come si sono comportati  nel periodo suesposto? In città come truppe di occupazione e come procacciatori di mano d’opera di uomini da destinarsi al fronte per opere di scavo o altro.

Nessuno di noi può dimenticare il prelevamento coatto da parte di nuclei armati che, anche a Natale e Pasqua, aspettavano la fine della messa per “prelevare” uomini e caricarli su camion e diretti poi chissà dove. Insomma c’era anche l’aiuto di qualche collaboratore che a fine conflitto, certamente avrà pagato queste sue prestazioni.

A noi studenti, anche se giovanissimi, erano state consegnati dei lasciapassare di colore verde, ma non sempre queste disposizioni sono state rispettate. Questo per quello che ho saputo o visto.

Eppure al tempo dello sfollamento dei paesi viciniori, ho visto un gesto di umanità di un soldato tedesco che proprio davanti a casa mia e precisamente alla rimessa del tram, prendeva un bambino in braccio e dava una mano agli sfollati infreddoliti e in forte disagio. La nostra strada(via Valignani) era sempre più il passaggio dei mezzi che andavano verso il fronte. Una sera una colonna si fermò e poco dopo ne scesero alcuni soldati. Noi stavamo dietro la finestra del balcone quando sentimmo bussare con insistenza alla nostra porta. Occorremmo, ma un soldato era già entrato aprendo la porta con un calcio o simile e imbracciando un’arma, farfugliò un “RAUS” che noi non capimmo. Cercavano qualcuno? Non so, la cosa mi rimase impressa per molto tempo e se lo ricordo ora significa che l’avvenimento è stato al limite del trauma. La cosa non ebbe seguito e il nostro spavento fu anche quello dei nostri vicini che subirono la stessa sorte. Fecero una specie di perquisizione, dobbiamo dire. Andavano in cerca di radio.

Non erano momenti idilliaci e pensare che avevamo i soldati “occupanti”quasi in casa perché, come già scritto, nel nuovo Ospedale a pochi metri s’era installato un comando. Un via vai continuo di militari superiori e subalterni caratterizzava l’entrata principale  dove solo poche mesi prima si erano fermate le auto della colonna Italiana con i capi militari che erano partiti o fuggiti dalla capitale? Inoltre a solo cinquanta metri, all’incrocio di via Valignani con via Gaetani D’Aragona si soffermò la pattuglia della Nembo, proveniente dal fronte Adriatico Via Tollo-Ripa. 

Per me quella piccola zona del mio Rione io la considero storica per le coincidenze della nostra storia breve ma vera negli anni 1940-45.

Marzo-Aprile  1944. 

Dallo sbarco degli Alleati in Sicilia, le linee difensive tedesche sono state diverse e variabili. Alla metà del mese di settembre la linea difensiva si estendeva da Salerno a Bari, mentre noi eravamo già invasi dalle truppe tedesche e di questo abbiamo parlato prima.

 

Nel mese d’ottobre la linea partiva da  nord di Napoli poi Caserta –Benevento-Termoli ed infine la linea difensiva che per prima interessava il  nostro Abruzzo, da Gennaio si estendeva dal Garigliano al fiume Sangro passando per Alfedena, Villa S. Maria, Piane d’Archi e Fossacesia.

Era chiamata “Linea Gustav” e la parte Adriatica era il fronte che interessava le nostre zone, mentre invece della parte Tirrenica  faceva parte le zone della valle del Liri e Cassino.

A dicembre gli alleati oltrepassarono il Sangro per attestarsi sul Fiume Moro e poco dopo la battaglia d’Ortona si fermarono su una linea quasi parallela al”Gustav” con la zona d’Ortona più indietro rispetto alla “Gustav” tirrenica che era ferma a Cassino e nella Valle del Liri.

Aspettando che gli eventi maturassero, si pensava a vivere nell’inverno molto rigido. La temperatura era sempre gelida e nelle case mancava il riscaldamento, si adoperava già da qualche  tempo il “braciere”. Era un recipiente di rame con della carbonella che bruciava e che poggiava su una pedana a corona circolare di legno e in mezzo era collocato questo contenitore. Ci si sedeva attorno come ad un focolare e lì c’era conversazione e ci si riuniva veramente. Però c’era un grandissimo difetto.

Quando si passava ad altra camera, vi era una differenza di temperatura che creava i famigerati “geloni” o con termine medico “pernione” che letteralmente era un processo infiammatorio che interessava alcune parti particolari quali le dita, gli orecchi ed anche le gambe.

Non era bello vederli, si gonfiava il tutto e dava anche molto fastidio ed era alleviato da qualche pomata, se si trovava. Ora questo processo infiammatorio non esiste più con i riscaldamenti attuali. Progressi sono stati fatti e in quel periodo eravamo tutti sottoposti a queste prove della salute e chi ne veniva colpito (quasi tutti) cercavamo di mascherare le dita gonfie e rosse con i guanti. Era d’inverno e quindi si portavano i guanti. Mi ricordo che le donne cercavano in tutti i modi di nascondere le dita, specialmente le più giovani.

Si continuava ad andare a scuola per noi ragazzi, ma parecchie persone che noi chiamavano i”grandi” s’ingegnavano a fare qualsiasi cosa per tirare avanti. Alcuni misero su alcuni laboratori per la produzione di torroni di”fichi secchi” con mandorle, proprio così ed erano molti richiesti perché si mangiavano per fame.

Veramente erano ottimi (la fame fa brutti scherzi!) che a dir il vero non ho ritrovato nei torroni di fichi e mandorle o nocciole che si vendono adesso sotto il Natale. Avevano un profumo ed aroma diversi! C’era più odore di campagna.

Mi sono chiesto da dove provenissero le cosiddette materie prime cioè i fichi, forse da provviste che molti sfollati provenienti dalle campagne aveva portato con se da casa?

Forse sì, so solo che la  produzione  cessò lentamente con il rientro nella  vita normale di tutti noi.

Il calcio riprendeva  a vivere in spizzichi e dopo l’eliminatoria piemontese per il Campionato Misto Alta Italia, prese  via  alla fine di gennaio in Lombardia l’eliminatoria per  il suddetto campionato. Alla stessa data hanno preso via i campionati interregionali Nord - Italia, Piemonte - Lombardia a 10 squadre.

In Piemonte si svolgevano alcuni incontri e il Torino Fiat presentava una squadra con gli elementi che avrebbero formato il famoso “Torino”: Griffanti, Cassano, Piacentini, Gallea, Ellena, Cadario, Ossola, Loik, Gabetto; Mazzola V., Ferrarsi II° poi Bodoira, Piola, Giammarco. In Umbria si stava organizzando un campionato umbro con tre gironi.

Dicevo che si stava svolgendo un campionato Alta Italia e alla fine di maggio s’incontrarono in un derby la Juventus Cisitalia ed il Torino Fiat con risultato per 3-1 per gli Juventini. Un giornale sportivo c’informava cosa succedeva e mi sembrava che fosse “La Gazzetta dello sport”.

Come ormai sappiamo i campionati di calcio erano sospesi per l’Italia che era divisa in due ma come stiamo vedendo, la FIGC con sede a Venezia stava facendo svolgere oltre alle eliminatorie per il campionato Alta Italia, anche il torneo di Coppa Italia.

Si svolsero le semifinali tra Torino e Roma (3-1) e tra Venezia e Genova (3-0) e alla fine di maggio la finale si svolse a Milano con la vittoria del Torino sul Venezia per 4-0.

Come si viveva a CHIETI.1940-44. 

Lo sfollamento era stato sospeso e in città girava la voce che poté essere dichiarata “Città aperta”, questo accadde verso la fine del mese di marzo con diversi distinguo delle autorità tedesche. Si diceva che le truppe tedesche non potessero transitare dalla città, invece dalla mia strada (sempre Via Valignani) seguitò il traffico di truppe corazzate e motorizzate che si dirigeva verso sempre la stessa linea del fronte Ripa-Tollo- Miglianico, in pratica la parte adriatica del fronte.

Si avevano notizie sui vari fronti e tutti erano convinti che la liberazione fosse più vicina di quanto noi pensassimo. Qualcuno già si preparava per il dopo e cercava di leggere sui giornali qualche spicchio di verità.

Aprile-Maggio-Giugno  1944.  

Arriva la “Nembo”.

In quel periodo ci fu un movimento di molti mezzi corazzati che transitavano da Via Valignani, era molto intenso e rumoroso e faceva pensare che qualcosa stesse succedendo. I bombardamenti di artiglieria e aerei si erano intensificati sia nella nostra zona periferica sia quella industriale di Chieti scalo anche riferendoci a ciò che dicevo prima. Molto movimento logistico militare. Si comincia a vociferare che molti stabilimenti di Chieti Scalo sono minati, poi che i tedeschi avevano sistemato delle mine lungo un tratto di strada che portava dalla Pietragrossa al Tricalle e che era a ridosso d’alcune caverne che erano usate da noi per rifugio antiaereo, per una lunghezza di circa quattrocento metri. Si vociferava che non avremmo avuto acqua ed elettricità nell’imminenza della ritirata delle truppe tedesche e l’arrivo degli alleati. Insomma c’era un gran fermento e contemporaneamente un’aria diversa in giro perché si era nell’attesa di qualcosa che probabilmente avrebbe cambiato la nostra vita e noi eravamo molto fiduciosi di questo.

Nell’Italia del Nord mentre noi eravamo quasi alla liberazione, loro avevano problemi abbastanza gravi di guerra alla porta e di problemi di governabilità del territorio, ma la situazione stava per evolversi in altro modo e finì solamente ad aprile dell’anno dopo.

In fondo la caserma Vittorio Emanuele. La strada a destra conduce al Tricalle e Madonna delle Piane- Chieti Scalo e nella Valle del fiume Pescara. La valle fu sottoposta a bombardamento aereo perché erano sedi di Fabbriche e stabilimenti.

In fondo la caserma Vittorio Emanuele. Sulla destra, al posto del fabbricato con balconi, la caserma dei Vigili del Fuoco.

Le notizie che ci erano fornite erano strabilianti per l’importanza storica. Gli alleati stavano per sbarcare in Francia e si pensava subito al nostro destino, il fronte di Cassino era crollato e la “Linea Gustav” tirrenica era arretrata su un’altra linea difensiva che chiamarono “Hitler” ed era distante pochi chilometri dalla capitale.

Per la cronaca prima dell’arrivo del VIII^armata inglese, le mine di cui aveva accennato nella zona Pietragrossa, furono parzialmente rimosse perché non tutte scoppiarono. Non sappiamo se l’azione di rimozione era stata eseguita da alcuni elementi partigiani o dalle prime avanguardie della “Nembo” che sono entrate a Chieti.

Nel pomeriggio si era sparso per la città l’imminente arrivo degli alleati in città, noi eravamo in un certo senso preoccupati e felici nello stesso tempo.

Erano circa le 17 e stavamo sul balcone di casa che dava sulla Via Valignani e potevamo vedere oltre la strada sottostante che conduceva a S.Anna, quindi da lì dovevano venire i soldati alleati.

Potevamo vedere anche l’altra strada che si diramava e conduceva a Via G. D’Aragona, insomma era un punto d’osservazione. La gente era quasi sparita e noi eravamo in ansia per quello che stava per succedere. 

In fondo ancora la caserma” Vittorio Emanuele”. A destra la strada Est periferica esterna che porta alla Villa Comunale.

Qualcuno era in strada e mentre si aspettava qualcosa che doveva succedere, ecco, dopo varie decine di minuti, che alcuni uomini armati-partigiani fecero la loro apparizione cercando di allontanare con decisione e fermezza, pistole in pugno, le pochissime persone nella zona, in previsione forse di qualche scontro armato con alcuni militari tedeschi che ancora si aggiravano per il rione.

Riconoscemmo uno o due ed erano del nostro rione e la cosa ci meravigliò moltissimo e capimmo che nella nostra città si erano formate anche delle piccole formazioni partigiane. Allontanarono il papà di un nostro vicino perché era sceso in strada e si attardava sulla piazzola antistante al tabaccaio di Via Valignani. Dopo di una certa confusione, diverse voci annunciavano che una pattuglia di militari era in vista all’altezza della chiesa dei frati del Sacro Cuore.

All’incirca erano le 18 ed ecco che dal nostro balcone vedemmo due o tre paracadutisti armati che venivano avanti con fare circospetto lungo la Via Valignani verso Piazza  Garibaldi.

Le loro uniformi erano da paracadutisti: fucile mitragliatore in mano, casco e pantaloni allacciati alle caviglie, mi sembra che uno era scamiciato e un altro con giubba grigio verde. Erano paracadutisti italiani della divisione “Nembo”!

Nel punto dov’è la macchina bianca che sta per girare, una pattuglia della “Nembo” proveniente dalla direttiva Ripa Teatina –Tollo-Miglianico si fermò prima di proseguire…. erano paracadutisti della 38°Compagnia del tenente Cavallero…dopo aver parlottato con alcuni partigiani usciti allo scoperto….proseguirono verso il centro…..>>.

Intanto si sentiva dal balcone un gran vocio di gente che inneggiava e qualche secco comando e non si sapeva da dove provenissero. Sullo spiazzo tra Via Valignani e rione D’Aragona apparvero questi partigiani che si incontrarono con i militari della Nembo e parlottarono fra loro sempre circospetti. Poi si seppe che stavano dando notizie d’alcune retroguardie tedesche che erano rimaste in città, insomma di piccole sacche che non avevano fatto in tempo a ricongiungersi con i compagni che si stavano ritirando verso il Nord.

Noi non sapevamo affatto che truppe italiane operassero sul versante adriatico con la VIII^armata inglese. Invece era così e la nostra gioia fu centuplicata per l’avvenimento. Come si fa descrivere questi avvenimenti?Sembrava quasi tutto irreale. La notte fu d’attesa e quasi insonne per la mattina seguente con l’arrivo imminente del grosso delle truppe.

 I tedeschi intanto si erano ritirati e qualche sparo in città indicava che sporadiche retroguardie tedesche erano impegnati da diversi partigiani che erano usciti allo scoperto. La mattina seguente in una giornata di sole e di gioia soldati italiani della divisione “Legnano” fecero il loro ingresso proveniente dalla zona di S.Anna, successivamente avanzarono i carri armati alleati con truppe neozelandesi e indiane.

Insieme con altri amici ragazzi, eravamo sul ciglio di Via Valignani all’altezza dello spiazzo e si aspettava che arrivassero dal fondo della strada. Intanto nessuno di noi s’immaginava che truppe italiane fossero sul fronte Adriatico.

Era la giornata della nostra liberazione!

(Continua)

Scritta in riedizione il 9 maggio 2018

La locandina rappresenta il corso Marrucino. 

 



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