I calciatori passano, il Chieti resta. Quante volte è stata utilizzata (direi abusata) questa frase, ma davanti a nomi come quello di Alessio Rosa l’assoluta verità racchiusa in queste sei parole vacilla vigorosamente. Vacilla sì, perché Alessio fa parte di quella stretta schiera di uomini che una volta spogliatisi della maglietta da calcio hanno il neroverde tatuato sul petto e sulla schiena, uno di quei calciatori che noi tifosi ricorderemo sempre con addosso due soli colori.
Le sue 83 presenze e 33 reti sono solo il sunto di tutta la determinazione, la grinta, l’impegno e l’orgoglio con i quali Alessio ha indossato la maglia e la fascia da capitano.
Rosa nasce il 28.10.1984 nella città della Quintana e per tener fede alla rievocazione storica, passateci la battuta, i suoi primi anni da calciatore sono una “giostra” di trasferimenti. Il giovanotto, prima di giungere a Chieti, si fa le ossa tra Marche ed Abruzzo in C2 e serie D.
E’ il quarto acquisto di Nucifora dopo Raimondo Catalano, Simone Marini e Davide Favaro, ma mentre i primi tre “carneadi” non lasceranno traccia del loro passaggio sotto la basilica di San Giustino, il ragazzo di Ascoli Piceno scriverà pagine di storia.


Se sono arrivato a Chieti - ci dice mentre si prepara per andare a cena - devo ringraziare in primis Enzo Nucifora. Nella stagione 2007- 08 giocavo per il secondo anno a Recanati e a fine stagione dovetti subire un intervento alla caviglia. La riabilitazione non fu semplice, ripresi l’attività agonistica ad agosto, poi arrivò l’inaspettata telefonata dell’avvocato che mi trasmise la sua forte volontà di portarmi a Chieti. Davanti ad una proposta del genere non potevo dire di no.

 

La firma arriva il 20 novembre 2008, Alessio trova un Chieti disastrato e disastroso: mister Cifaldi esonerato dopo quattro partite e un solo punto in classifica, l’arrivo in panchina di Giuseppe Giusto, la rivoluzione di mercato guidata dal sopracitato Nucifora, un caos!
Arrivato a Chieti compresi subito che si respirava un’aria molto pesante. La rivoluzione sul mercato aveva destabilizzato lo spogliatoio, con gli “over” che erano quasi tutti sul piede di partenza e non vedevano di buon occhio i nuovi arrivati, come il sottoscritto.
Una situazione surreale, aggravata dalla latenza di risultati: tutti i “vecchi” furono venduti, restò solo Gianluca Cherubini, una rivoluzione in piena regola.


Una squadra tutta da ricostruire comincia a macinare risultati e dalle 15° di andata mette insieme tredici vittorie su venti partite che la portano al 4° posto.  Cosa è scattato nella vostra mente e nelle vostre gambe?
Sono intervenuti tanti fattori, in primis il grande lavoro fatto dal duo Battisti-Di Giampaolo con i quali ancora oggi mi lega una profonda amicizia. Oltre ad andare a scovare molti bravi under riuscirono, con l’aiuto della società, a creare un ambiente finalmente più tranquillo. Mi sintonizzai pian piano con le idee di gioco di mister Giusto: per problemi di tesseramento cominciai a giocare da dicembre ed il feeling con il mio compagno di reparto Giuseppe Genchi cresceva partita dopo partita, basti pensare che a fine campionato in due realizzammo se non erro 18 reti. Anche la tifoseria capì che tutto il pregresso non contava: si era ripartiti con un allenatore nuovo, giocatori diversi e il sostegno fu sempre massimo. Così disputammo un girone di ritorno grandioso, dimostrando con i fatti che eravamo una buona squadra: il Chieti non poteva occupare posizioni di classifica così basse!

 

Il 27.05.2009 arriva però la sconfitta a Casoli 2-1 nel primo match del playoff promozione. I gialloblù erano realmente superiori al Chieti?
Il Casoli era una squadra solida: partiti a spron battuto in campionato ebbero una flessione verso la fase finale del torneo, sicuri ormai di aver raggiunto i playoff. Flessione che fu propedeutica a staccare la spina e ricaricare energie fisiche e mentali per arrivare al meglio alla fase ad eliminazione diretta. Noi, dopo la grande rimonta in classifica, eravamo mentalmente cotti: eppure quella partita ce la siamo giocata alla pari, su un campo scomodo, piccolo e sintetico. Ricordo il gol di Genchi, io colpii una traversa, ci provammo fino alla fine ma il risultato ci vide soccombere. Gettammo però le basi per la vittoria del campionato successivo.

Anno nuovo, allenatore nuovo, stesso obiettivo, vincere! Con Vincenzo Vivarini in panca il Chieti vive una prima parte di stagione da inferno dantesco, fortuna che alla fine “uscimmo a riveder le stelle”. Partiamo dalla sconfitta in casa contro la Civitanovese del 15.11.2009: il Sig. Panacci di Gubbio commina tre espulsioni ai neroverdi  (Mucciante, Ferretti e Romano). A fine match la sua condotta di gara fece imbufalire il pubblico teatino, rese felice il suo carrozziere di fiducia, ma costò tre giornate a porte chiuse.
Una partita molto strana in cui sicuramente la condotta di gara dell’arbitro ci penalizzó. Parlo spesso di quel match e di quel campionato in generale con Fabio Leopardi, attuale mio compagno di squadra al Porto D’Ascoli in Eccellenza e all’epoca difensore della Civitanovese: ci lega una profonda amicizia, tanto che è stato anche mio testimone di nozze, e mi diverto a prenderlo in giro ricordandogli che alla fine quel campionato l’abbiamo vinto noi! Al ritorno però ci siamo sportivamente vendicati andando a sbancare il Comunale di Civitanova per 1-0 con il gol di Vitone, quella vittoria ci diede una grande consapevolezza dei nostri mezzi.

Ma il peggio doveva ancora arrivare. Mercoledì 13 gennaio si disputa Canistro-Chieti, rinviata a fine anno per neve. Il Chieti arriva dallo scialbo pareggio casalingo contro il Montecchio e perde malamente in Valle Roveto per 3-1. A fine partita quello che farà più rumore non sono i sette punti di distacco in classifica dalla prima posizione, ma l’irruzione nello spogliatoio di alcuni ultras neroverdi.
Cosa posso dirti? Furono momenti molto concitati, ricordo bene che volò un lettino, peccato che sopra c’era Michael Cardinali! Diciamo che quell’episodio ci diede la sveglia!

Dopo quell’episodio in effetti il Chieti si accende come fuoco al vento giocando un girone di ritorno strepitoso. Quanto ha pesato quella “sveglia” in questo “incendio”?
Nei matrimoni ci sono sempre momenti felici e momenti burrascosi: quando indossi la maglia del Chieti devi accettare onori ed oneri. Il Chieti non meritava quella categoria e quella posizione di classifica e la tifoseria ce lo fece capire con un atto forte, forse fuori dalle righe, ma che testimoniava il loro amore verso i colori che noi rappresentavamo. A mente fredda l’ho letta come una dimostrazione d’amore, abbiamo capito che loro, abituati a portare il nome di Chieti in tutta Italia, non ci stavano a mollare. Nel calcio moderno un episodio del genere sarebbe impensabile: dopo l’accaduto siamo stati bravi come gruppo a fare quadrato e a mettere a fuoco il nostro unico obiettivo, vincere il campionato!

Dopo i fatti di Canistro il rapporto con la curva non era dei migliori. I calciatori a fine gara decidono di non tributare più il loro saluto alla Curva Volpi. Almeno fino alla vittoria a Centobuchi 2-1 del 02.05.2010 quando tutta la squadra, tenendosi per mano, va a festeggiare sotto il settore ospiti. Il vento è cambiato ed il fuoco arde vivo.
Dopo Canistro come ti dicevo abbiamo pensato soltanto a giocare e vincere, evitando distrazioni ed inutili polemiche, volevamo dimostrare con i fatti che meritavamo quella casacca. Non fu una decisione presa a tavolino, la vittoria di Centobuchi rese quella domenica speciale e i risultati favorevoli dagli altri campi con la sconfitta di Aquila ed Atessa ci schiusero quasi definitivamente le porte della LegaPro. Fu un gesto naturale condividere la nostra gioia con la curva.

Domenica 9 maggio 2010 il calendario regala il match-point ai neroverdi nello scontro casalingo con (guarda un po’…) il Canistro. Finisce 1-1, festa promozione rimandata alla domenica successiva. Il 16 maggio lo stadio Spadoni di Montecchio vede l’invasione di oltre 1300 tifosi neroverdi vogliosi di festeggiare il ritorno tra i professionisti. Il 2-1 finale con le reti di Rosa e Visciglia riportano il Chieti tra i professionisti dopo quattro anni.
Una gioia immensa, tutte quelle persone al nostro seguito, i festeggiamenti, il viaggio di ritorno a Chieti, la festa in piazza, ricordo ogni particolare. Ho ancora i brividi a parlarne, dopo la nascita delle mie due figlie e il giorno del matrimonio senza dubbio quello fu il giorno più bello della mia vita!

Stagione 2010-11: Alessio, tra le prime riconferme della vincente stagione di serie D, parte col botto realizzando sei reti in undici giornate. Poi i dolori alla schiena e la presenza di Buttazzoni e Miani offuscano la sua seconda parte di stagione.
Sono rimasto a Chieti molto volentieri, firmando praticamente in bianco sulla base del trattamento economico della stagione precedente. Ho rinunciato a diverse offerte, di cui una “monstre” del Campobasso, perché amavo ed amo quei colori e per me era un onore indossare la maglia. Nella mia vita me la sono sempre tirata poco e cercavo di conquistarmi sul campo il rispetto e il posto da titolare, mentre qualcuno pensava che il costo del cartellino fosse l’unica discriminante per ottenerli. Dal punto di vista fisico fu un anno molto travagliato, le protusioni alla schiena mi costrinsero a sottopormi a varie infiltrazioni, il mio stato di forma e il rendimento sul campo ne risentirono.

Il campionato del Chieti è leggermente sotto le aspettative: la vittoria di Noceto datata 20.04.2011 (splendida punizione di Vitone) lo lancia comunque nei playoff. I neroverdi però, nelle ultime due giornate di campionato, rimediano due scialbi 0-0 con il San Marino e a l’Aquila dove, al triplice fischio, esplode l’amarezza del popolo neroverde, complice anche il biscotto tra Carrarese e Prato. In quell’occasione la tifoseria vi accusava di aver affrontato in maniera blanda la prima ora di gara e di aver provato a vincere soltanto nell’ultima mezzora.
Mi spiace che qualcuno dall’esterno abbia avuto questa sensazione ma conoscendo il mister ed i compagni posso dirti che è assolutamente un’impressione errata. Fu una partita carica di tensioni, oltreché un derby: tutta la settimana fu mentalmente pesante e forse tutta quella pressione fu in parte controproducente. Credo comunque che abbiamo disputato nel complesso una buona stagione non dimentichiamo che eravamo una neopromossa: se a Montecchio mi avessero detto che l’anno successivo ci saremmo giocati fino all’ultima giornata un posto nei playoff promozione ci avrei messo la firma.

Giriamo pagine nell’album dei ricordi e arriviamo alla stagione 2011-12. Il Chieti è in pieno “cost containment”: pochi soldi ma tante buone idee di mercato che porteranno la squadra alla finale playoff. Alessio, tentato dalle sirene delle tante offerte ricevute, decide di ridursi l’ingaggio e rimanere comunque a Chieti, ereditando la fascia da capitano da Tiziano Mucciante. Perché?
Era da poco nata la mia prima figlia e praticamente tutti i giorni facevo la spola tra Chieti ed Ascoli. A Chieti stavo bene, anche se c’era qualche piccolo sentore di problemi economici a livello societario, non mi pento della scelta fatta.

Eri il più “anziano” del gruppo, ma la maturità dimostrata dall’uomo Rosa nella sua decisione di lasciare il calcio professionistico a soli 27 anni va ben oltre la sua età anagrafica. Parlaci della genesi della scelta che ha cambiato per sempre la tua vita.
Quando sei padre cambiano le prospettive, hai una grande responsabilità verso la tua famiglia e la creatura che hai messo al mondo. Davanti all’offerta di un posto fisso di lavoro e alla possibilità di poter continuare a giocare a calcio, anche se in Eccellenza,  ho deciso di cambiare vita e voltare pagina. Avevo tante offerte da altre squadre di serie D, molto più forti economicamente, ma mi sarebbe sembrato un tradimento andare da un’altra parte solo per soldi. Ho preferito così, e forse questa mia decisione ha rinsaldato ancor più il legame con il popolo neroverde.

 

Il 6 novembre Alessio gioca la sua ultima partita tra i professionisti a Pagani: il Chieti vince per 2-1 ma è una vittoria triste.
Sono uscito dal campo in lacrime, i miei compagni cercavano di rincuorarmi. Loro erano all’oscuro di tutto, non mi sembrava giusto investirli di questa decisione perché lo spogliatoio doveva rimanere tranquillo. Il martedì successivo feci un incontro con tutto il gruppo per spiegare le ragioni di quella decisione.

Un tuo parere su Vincenzo Vivarini
Ho sempre creduto che il mister potesse arrivare in alto, merita senza ombra di dubbio tutti i successi che sta ottenendo. Ha dimostrato di essere un allenatore innovativo: personalmente mi ha insegnato tanto ed ha affinato le mie qualità, allo stesso tempo ha fatto un lavoro importante e meticoloso con la squadra, principalmente dal punto di vista tattico. Studiava in maniera maniacale lo schieramento tattico  degli avversari, veramente una persona molto preparata ed i risultati di oggi ad Empoli parlano da soli. Colgo l’occasione per fare a lui ed al suo fantastico staff un grandissimo in bocca al lupo.

E di Silvio Paolucci cosa ci dici?
Tra noi si creò un legame molto forte, è una brava persona che si mise subito a disposizione del gruppo. Umile, preparato, dall’alto del suo passato da attaccante mi dispensava sempre buoni consigli. Anche di lui ho un ottimo ricordo.

Il tuo giudizio sulla gestione Bellia, alla luce della tua esperienza diretta.
Se il Chieti ha rivisto il professionismo lo deve a lui. Nel mio ultimo anno c’era qualche avvisaglia dei problemi economici che poi sono scoppiati negli anni a venire: il presidente non ha mai ricevuto aiuti esterni e ha dovuto sempre cavarsela da solo. A volte magari fai il passo più lungo della gamba, o per il troppo amore non cedi la società al momento giusto, ma per me è stato come un padre, non posso che parlarne bene. Ricordo che dopo i fatti di Canistro mi era balenata l’idea di andare subito via: la sera stessa lui e sua moglie mi invitarono a mangiare arrosticini, parlammo dell’accaduto e la cosa mi aiutò a riflettere. Conoscendolo avrà sofferto da matti a vedere il Chieti escluso dal campionato.


Hai giocato con tanti giocatori tecnicamente forti come Fiore e Vitone e tanti hanno fatto strada come Sabbatini, Migliorini, Del Pinto. Su chi avresti scommesso all’epoca?
Senza dubbio Jonathan Sabbatini: aveva un altro passo, una tecnica sopraffina e faceva gesti tecnici complicati con una naturalezza disarmante.

Chieti ti manca?
Mi manca sì, mi manca tutto il contesto. E’ stata una seconda famiglia, ogni tanto mi cullo nel ricordo di quei momenti indimenticabili e so che, anche se non torneranno, è stato bello viverli. Ancora oggi mi chiedo se la scelta di lasciare tutto a 27 anni sia stata quella giusta: prima ti alzavi dal letto alle dieci del mattino, già in settimana ti saliva la tensione per la partita e la vivevi in maniera viscerale, per strada la gente ti fermava per darti una pacca sulla spalla ed incoraggiarti. Ora le sveglia suona alle sette, il lavoro, la famiglia, i figli ed il calcio che è soltanto uno sfogo. Sono tornato a Chieti per la festa organizzata dagli ’89 l’anno scorso, mi è venuto il magone una volta arrivato allo stadio Angelini: ho ripercorso con la mente tanti ricordi, ho rivisto tanti amici e alle quattro del mattino ero ancora lì a chiacchierare. Sono stati quattro anni indimenticabili!

Ho l’ardire di definirti un “contro eroe” moderno in un mondo dove apparire è tutto hai preferito essere. Cosa consiglieresti ad un ragazzo che oggi si affaccia nella giungla del calcio?
Direi di non guardare la tv e spegnere la playstation! Vedo tanti giovani ipnotizzati più che dalle giocate dei grandi campioni come Messi e Cristiano Ronaldo dal loro mondo dorato: le auto sportive, le donne, la pelle abbronzata, senza pensare a quanto lavoro e sudore ci vuole per arrivare in alto. Per me che ho sempre concepito il calcio come lotta, sangue e guerra sportiva sono esempi malsani.

Un saluto ai tifosi neroverdi
Cosa dire? Chieti è un pezzo del mio cuore, dopo la mia partita domenicale il primo pensiero è vedere il risultato del Chieti. L’ho amato, lo amo e lo amerò sempre! Faccio un grande in bocca al lupo al presidente Trevisan e spero possa riportare il Chieti il più in alto possibile.

Lasciamo Alessio alla cena romantica con sua moglie, gli abbiamo rubato già troppo tempo. Spero vi sia arrivata forte da queste righe l’emozione con la quale Alessio ha parlato di noi, della nostra squadra, della sua squadra…Grazie Alessio, ci manchi tanto anche tu!

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