Salve sig. Bedendo e grazie per aver accettato il nostro invito!

Lei nacque a Legnago (VR) nel 1948, in un’Italia che stava provando a rialzarsi dopo il secondo conflitto mondiale. Cosa ricorda della sua vita da bambino e del suo avvicinamento al mondo del calcio?
Come potrai immaginare all’epoca non c’erano strutture adeguate per poter giocare a calcio, l’unico luogo di incontro era l’oratorio. Ho mosso i primi calci all’oratorio di Santa Lucia, un quartiere di Verona.
Da giovanissimo feci un paio di provini al Toro e alla Spal prima di andare a Vicenza a 15 anni e fare tutta la trafila giovanile nella società biancorossa.
A 18 anni fui venduto al Bolzano e da lì è cominciata la mia avventura nel mondo del calcio.


In quale partita fece il suo esordio in maglia biancorossa nella stagione 1967-68? Ci racconti le sue emozioni.
Esordii a soli 19 anni in un Bolzano-Entella. All’epoca il secondo portiere non giocava praticamente mai, al contrario di oggi. Ricordo che il titolare si infortunò ed ebbi così la possibilità di difendere i pali per la prima volta in serie C. Quell’anno feci 23 presenze, era un campionato “tosto” con grandi squadre; ricordo l’Udinese in cui militavano Osvaldo Bagnoli, Adriano Fedele e Giovanni Galeone, la Triestina, il Legnano in cui giocava Pippo Marchioro ed il Como che vinse il campionato con Antonio Lonardi in porta. Lo stesso Lonardi fu il preparatore dei portieri del Verona dello scudetto 1985, lavorando spalla a spalla col “mago della Bovisa” Osvaldo Bagnoli.
In quel Verona, oltre al titolarissimo Claudio Garella, giocava anche Sergio Spuri, vecchia conoscenza dei tifosi neroverdi.

 

Dal punto di vista prettamente tecnico, voi portieri avevate qualche accorgimento per cercare di evitare infortuni alle mani? Parare senza guanti un pallone con cuciture non molto ortodosse non doveva essere scevro da rischi.
Purtroppo non avevamo nessun accorgimento. Giocavamo sempre a mani nude ad eccezione di quando pioveva quando ci venivano forniti dei guanti che io definivo di cartone, questo ti fa capire la loro utilità…L’unico modo per tenere le mani idratate e per farsi male il meno possibile era sputarci sopra!

 

Ci parli del suo approdo a Chieti nell’estate del 1969.
Il primo impatto con la città; cosa ricorda dell’ambiente e dei tifosi neroverdi.
Eravamo in luglio; ricordo che il presidente del Bolzano mi chiamò e mi disse che mi avevano venduto al Chieti, oltretutto per una cifra abbastanza importante per l’epoca (circa 40 milioni di vecchie lire).
Stavo finendo il militare, era la prima volta che mi allontanavo così tanto da casa andando verso sud. Quando arrivai mi sembrava di essere fuori dal mondo, poi pian piano mi sono adattato alla grande. Conobbi tra i primi Giuseppe Visini (segretario ndr), Angelo Piccioli (allenatore insieme a Collesi ndr), una società seria e una città bella ed elegante.

Dove viveva in Città? Si ricorda chi erano i suoi compagni di stanza o di appartamento? Allora come viveva un giovane calciatore lontano da casa?
Il Presidente Angelini era proprietario di un grande appartamento vicino la chiesa della SS. Trinità e noi calciatori giovani e non sposati vivevamo lì. Andavamo a mangiare sempre tutti insieme al ristorante Bellavista dal martedì al sabato, mentre spesso il lunedì andavamo da Nino. Angelini ci pagava bene ed era sempre molto puntuale con gli emolumenti, stavamo benissimo! Tutti noi avevamo la macchina ma non la usavamo quasi mai; la nostra vita si divideva tra gli allenamenti alla Civitella e lo “struscio” lungo il meraviglioso Corso Marrucino.
Quando potevo scappavo a Bolzano a trovare la mia fidanzata dell’epoca. Ricordo una sincera amicizia con Mons. Capovilla (vescovo di Chieti ed ex segretario particolare di Papa Giovanni) il quale, quando rientravo dal mio viaggio, mi chiedeva sempre come fossero andate le cose.

 

Quanto furono importanti  gli insegnamenti di mister Aroldo Collesi (ex calciatore, di ruolo portiere) per la sua crescita nel ruolo?
Tantissimo! All’epoca non c’era il preparatore dei portieri; la sua esperienza mi ha aiutato a maturare ed a crescere nel ruolo tanto che fui anche convocato dalla nazionale di serie C, una bellissima esperienza.

  

La Civitella: un terreno di gioco leggendario che tanti tifosi del Chieti datati e meno datati rimpiangono.  Le chiedo di spiegare e me e tanti come me che non hanno mai avuto la gioia di assistere ad una gara in città alta cosa significava difendere i pali sentendo il respiro dei tifosi stipati a pochi passi dietro di lei.
Per noi era una base di partenza fondamentale; all’epoca non c’erano gli ultras, non esisteva tifo organizzato, ma la gradinata non ci faceva mai mancare il proprio apporto e il loro grande calore.
Ricordo il derby col Pescara in cui il radiocronista della sfida, non essendoci una tribuna stampa, era in una piccola nicchia sotto la gradinata a raccontare la sfida, oppure le nostre divise stese al sole d’estate o messe sui termosifoni degli spogliatoi in inverno ad asciugare…

 

A proposito di derby; nella sua esperienza biennale a Chieti, è stato protagonista di due vittorie casalinghe, entrambe per 2-0, datate 26.10.1969 e 14.02.1971. A quale delle due è più legato?
Grandi ricordi! Il primo lo giocammo alla Civitella e vincemmo grazie al gol di Lancioni e ad una autorete. Ricordo anche tanti tifosi del Pescara, fu una partita combattuta e molto accesa dal punto di vista agonistico, com’erano sempre anche le sfide giocate al vecchio stadio del Pescara.
Il secondo lo giocammo al Santa Filomena (il Guido Angelini di oggi ndr), ricordo all’ingresso in campo lo stadio vestito a festa con tantissime bandiere neroverdi tutto intorno alla pista di atletica. Fu Cavicchia con una doppietta a regalarci la gioia della vittoria.


Come si viveva nello spogliatoio la settimana di attesa verso il derby? Si percepiva un’aria diversa in città?
Assolutamente si! Il presidente Angelini viveva a Pescara e quindi sentiva particolarmente la sfida. Dal martedì cominciava a catechizzarci raccomandandosi per la partita della domenica: “Ragazzi mi raccomando dobbiamo vincere” era un refrain continuo.
Oltretutto ci prometteva sempre dei bei premi in denaro in caso di vittoria, che puntualmente arrivavano.

  

Ritiene che il decimo posto conseguito al termine della stagione 1969-70 fosse in linea con le vostre aspettative?
Direi di si, avevamo un bellissimo gruppo e ci salvammo senza nessun patema.

 

Non posso non chiederle dell’evento che cambiò il modo di vivere il calcio a Chieti, l’inaugurazione del nuovo impianto di S.Filomena.
28.05.1970; circa diecimila spettatori assistettero alla partita con il Milan arbitrata da Concetto Lo Bello.
Ci racconti le sue emozioni all’ingresso in campo nel trovarsi di fronte i vari Cudicini, Sormani, Combin e Trapattoni.
Ero un ragazzo incosciente, e sicuramente la mia giovane età mi aiutò a non sentire la pressione. Lo stadio era stracolmo, se ci ripenso mi vengono i brividi ancora oggi. Era incredibile pensare ad un entusiasmo del genere a Chieti; i tifosi ci lasciavano sempre molto tranquilli durante la settimana ma in quella sfida vennero addirittura a chiederci autografi all’uscita dal campo. Si percepiva un grande attaccamento alla squadra che credo ci sia ancora oggi.


La partita per la cronaca terminò 1-6 per i rossoneri ma il Chieti si tolse la soddisfazione di passare in vantaggio con Gazzaniga e di reggere l’impatto almeno per il primo tempo chiuso sul 1-2. Si ricorda qualche fase saliente dell’incontro?
Qualche giorno fa ho riletto il ritaglio di giornale con l’articolo dell'epoca dedicato alla partita. Sono ormai passati quasi 50 anni e non ricordo tutto perfettamente, ma da quanto ho letto devo aver fatto proprio un’ottima prestazione! Giocai solo il primo tempo, nel secondo fui sostituito da Rama; a fine partita Nereo Rocco venne da me e mi disse “Fai il bravo che ti tengo d'occhio!”  Fu una bella soddisfazione ma anche un grande rammarico personale il fatto che quelle buone impressioni non si tramutarono mai in possibilità concrete di fare il salto di qualità.
Pensa che anni dopo incontrai Fogli, mediano di quel Milan, che mi salutò calorosamente chiedendomi “ma tu dove diavolo sei andato a finire??”, memore anche lui della mia prestazione in quella partita.

 

E’ vero che nell’estate successiva lei era stato richiesto dall’Atalanta ma il presidente Angelini non la volle cedere?
Esatto! Il presidente aveva in mente di mettere su una squadra per provare a puntare in alto, ma le cose non andarono così…

 

 Effettivamente la stagione 1970-71, sotto la guida del nuovo mister Alberto Eliani, non fu esaltante. Tredicesimo posto, salvezza sudata e il suo ruolo da titolare messo in discussione da quel Claudio Garzelli che qualche lustro dopo scrisse la storia della società neroverde come dirigente. Quali motivi la portarono al divorzio a fine anno?
In primis non avevo un grandissimo rapporto con il nuovo mister. Ti dico chiaramente fuori dai denti che quell’anno non ci siamo praticamente mai allenati! Tutto quello che davo in campo era frutto della preparazione e degli insegnamenti dell’anno precedente.
Eravamo a terra sotto il profilo fisico, tanto che nella trasferta di Enna il dottor Valentini si procurò e portò con sé delle bombole di ossigeno per paura che qualcuno di noi incappasse in problemi di respirazione, visto che la città siciliana sorge a quasi mille metri di altitudine.
La partità terminò 0-0 con una incredibile invasione di campo del pubblico di casa che costò la squalifica di sei giornate al terreno di gioco. Fu un pareggio fondamentale per la nostra permanenza in serie C.
Effettivamente Garzelli giocò da titolare diverse partite, ma verso la fine del campionato fui di nuovo impiegato io come titolare, tanto da meritarmi anche i pubblici ringraziamenti del presidente per le mie prestazioni, in particolare nell’ultima giornata con l’Internapoli.
Cominciavo a non avere più stimoli; alcuni dei ragazzi con cui avevo legato molto l’anno prima come Scarpa e Giovanardi furono ceduti. Io avevo anche un negozio a Bolzano con mio suocero e per tutti questi motivi decisi di lasciare Chieti. Andai a Jesi e poi all’ Audace Verona in serie D, società dalla quale venne fuori il grande Mario Corso.
Concludo col dirti che ogni qual volta ho il piacere di salutare Giampiero Ventura (attuale tecnico del Toro ndr) nelle trasferte a Verona con le sue squadre gli parlo sempre dell’episodio di Enna e lo ricordiamo insieme. Giampiero in quella stagione giocava nei siciliani.

 

Quanto si avvertiva in campo la differenza tra il disputare le partite nel catino della Civitella e nel farlo nel nuovo impianto di Santa Filomena, sicuramente più sicuro e funzionale ma molto dispersivo?
Nel mio primo anno a Chieti giocavamo ancora alla Civitella. La vicinanza del pubblico era certamente un’arma in più; soprattutto nei momenti di difficoltà la gradinata ci spingeva e ci dava coraggio.
Al Santa Filomena il pubblico era molto lontano dal terreno di gioco, facevi quasi fatica a sentire gli incoraggiamenti. Confermo che la differenza in campo si sentiva eccome!

 

Tracci un suo personale profilo del compianto presidente Angelini.
Il presidente era un uomo di una umanità incredibile. Sapeva bene quando era il momento di darti addosso e quando bisognava starti vicino e spronarti. Per me è stato un secondo padre.

 

Lei è sempre rimasto legato a Chieti, tanto che l’abbiamo ritrovata sul palco della Villa Comunale nella festa dei 90 anni dalla fondazione.
Cosa le ha lasciato nel cuore l’esperienza teatina?
La nascita di mio figlio! O meglio; mio figlio non è teatino di nascita ma mia moglie ha passato quasi tutto il periodo di gestazione a Chieti. Mi ritrovavo spesso a parlare con i miei compagni De Petri e Lancioni di quello che mi stava per accadere. Con loro è nata una profonda amicizia che dura tuttora; mia moglie e la moglie di Lancioni sono amiche, appena posso torno a Chieti e probabilmente tornerò anche questa estate.
Ti confesso che quando sono tornato a Chieti per i novant’anni della società al sentire scandire il mio nome alla Civitella mi sono scese le lacrime, è stata una gioia immensa. Per tutte queste cose sono rimasto legatissimo a Chieti; le amicizie che sono nate con i compagni di squadra sono state spontanee e per quello ancora più belle e durature.

 

Quale altro compagno di squadra ricorda con maggiore affetto?
Qualche tempo fa ho rivisto casualmente Mario Scarpa e da allora ci teniamo in contatto. Sento spesso anche Giovanardi che mi parla ancora nel suo simpatico dialetto modenese.
Purtroppo alcuni compagni di squadra di allora non ci sono più; Tarquini, Cassin, Peressin e Gramoglia. Ho anche scritto una lettera all’attuale presidente Pomponi per chiedergli di ricordare in qualche modo quei giocatori che hanno dato tanto alla causa neroverde e che ora non sono più tra noi.
Purtroppo nella società moderna si tende sempre a correre e dimenticare, ma una società che non ricorda la sua storia non ha futuro!

 

Una curiosità; nella stagione d’esordio a Bolzano lei aveva come compagni di squadra Angelo e Bruno Bertuolo, fratelli di quel Ivan che molti tifosi neroverdi ricordano per le cinque stagioni trascorse con la nostra casacca alla fine degli anni 70. Le è mai capitato di conoscerlo e magari scambiarsi opinioni sulle vostre esperienze a Chieti?
Certo che lo conosco, quando salgo su a Bolzano vado sempre a salutarlo. Noi simpaticamente lo chiamiamo “Caribù” perché  picchiava sempre dal ginocchio in giù (risata…) Anche lui è stato molto bene a Chieti e ricorda con affetto la sua militanza in neroverde.

 

Il ruolo del portiere è profondamente cambiato: partecipa di più al gioco, deve usare meglio e di più i piedi, ma riceve anche maggiori attenzioni in fase di preparazione. Che cosa hanno in più i portieri di oggi e cosa invece secondo lei hanno perso?
Non credo ci siano delle cose in più o in meno, ogni estremo difensore ha le sue caratteristiche. Io ad esempio, grazie agli insegnamenti di Collesi, ero già abituato a giocare fuori dai pali e ad accorciare la squadra, come si tende a fare oggi.
All’epoca non avevamo un allenamento specifico, al massimo ero in porta e cercavo di neutralizzare i tiri dei miei compagni, ma Collesi era capace di farmi tirare fuori tutte la qualità a mia disposizione.
Oggi con preparatori specifici ed allenamenti mirati, i portieri hanno tutte le possibilità per crescere al meglio.

 

Qual è il portiere più promettente che le sia capitato di vedere ultimamente?
L’anno scorso avrei scommesso su Scuffet che però si è un po’ perso. Dico Donnarumma, se non si monta la testa e rimane umile con le doti fisiche ed atletiche che ha potrà diventare il nuovo Buffon.

 

Quali sono i progetti calcistici più interessanti del momento e quali sono le squadre e le scuole dove è possibile diventare bravi portieri?
Oramai oggi tutte le società a livello professionistico hanno dei preparatori molto bravi. Sono molto legato al Verona e quindi conosco le capacità dello staff dell’Hellas, ma mi sta a cuore anche il Chievo. Ogni tanto vado a seguirne gli allenamenti e scambio quattro chiacchiere con il vostro concittadino Marco Pacione, che da anni è general manager dei clivensi.

  

Chiudo col chiederle del presente; la sua esperienza in radio RCS a Verona, la onlus “Associazione ex calciatori Hellas Verona”.Ci racconti un po’ dell’ Alfredo Bedendo di oggi.
Il Bedendo di oggi è innanzitutto felicemente nonno.
La radio è sempre stata una mia passione, la nostra è diventata la trasmissione di riferimento per il calcio dilettantistico veronese con un grande seguito di ascolti di cui siamo fieri.
Dopo aver smesso di giocare ho fatto l’allenatore per diversi anni in serie D, poi mi sono dedicato alla radio ed al sociale.Con al nostra onlus cerchiamo di aiutare ex calciatori gialloblù in difficoltà (e credimi ce ne sono più di uno) e cerchiamo di stare vicino ai bambini ed ai più deboli. Ogni anno, con il patrocinio dell’Hellas, invitiamo alcuni bambini palestinesi per un campus di una settimana; sotto la guida di ex scaligeri come Vittorio Pusceddu, Pietro Fanna e Osvaldo Bagnoli, i ragazzini hanno la possibilità di apprendere, divertirsi e vivere dei momenti sereni, lontani dalle atrocità del loro paese.

 

Ci sono molti calciatori che rimangono nel calcio senza averne le capacità per prendere ancora quello che si può e altri che, una volta appesi gli scarpini, si allontanano da questo mondo senza più voglia, quasi ne fossero stati strizzati o bruciati. Ci sono altri invece che rimangono nel calcio per dare ancora il proprio contributo di esperienza, di sportivo e di uomo, anche nel sociale. Sbagliamo se diciamo che lei è quest’ultimo tipo di uomo e di sportivo?
Direi proprio di si. L’associazione è nata negli anni settanta, io ne faccio parte dal 1982 e cerchiamo sempre di fare il nostro meglio.
L’anno scorso abbiamo raccolto con le nostre attività quasi 40 mila euro  devolute in beneficienza. Nell’attuale consiglio direttivo abbiamo il piacere di avere anche Damiano Tommasi; quella del sociale è una tematica che mi sta molto a cuore ed alla quale cerco di dedicare il maggior tempo possibile.

 

Grazie mille sig. Bedendo per la sua disponibilità che ci ha permesso di scoprire o riscoprire un uomo che ha indossato con orgoglio la nostra maglia.
Grazie a voi, è stato un piacere.

 

in copertina: la formazione che incontrò il Milan in amichevole il 28.05.1970

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