Buongiorno Dottor Mancaniello e grazie per aver accettato il nostro invito. Inizio col chiederle, soprattutto a vantaggio dei lettori con meno primavere alle spalle, chi era l’imprenditore Mario Mancaniello a metà degli anni ‘80 e quali erano le sue attività professionali.

Arriva in Abruzzo nel 1969. Dal 1969 al 1971 Tenente della Guardia di Finanza Comanda la Tenenza di Giulianova. Dal 1971 agli inizi del 1974 promosso capitano comanda la compagnia di Taranto. Nel febbraio 1974 viene trasferito a Pescara al comando del NUCLEO DI POLIZIA TRIBUTARIA.

Nel 1979 abbandona la Guardia di Finanza. Durante lo stesso anno accoglie con entusiasmo l’invito dei Signori Benetton tramite il compianto Gino Pilota ed accetta l’incarico di Amministratore della CONFEZIONI RADAR Srl azienda industriale del settore abbigliamento.

In tempi brevi l’imprenditore Mario Mancaniello vede le aziende del suo gruppo migliorare notevolmente in senso economico, grazie alla organizzazione BENETTON e al periodo economico FAVOREVOLE. La sede della società principale, la CONFEZIONI RADAR era in Ortona, provincia di Chieti  Tra le aziende facenti parte del mio gruppo c’era la DUCHI di CASTELLUCCIO di Scafa, con la quale sponsorizzai il PESCARA nella stagione 1983-84. Non fui soddisfatto di tale sponsorizzazione per la diversa visione di cultura aziendale con i vertici  del Pescara Calcio.

Dialogando con i vertici della Società espressi la mia idea che una squadra di calcio andava condotta come un’azienda, ma nel rispetto della realtà sociale di cui portava il nome… Mi fu risposto che ero un visionario e che non avrei mai potuto gestire una società calcistica come un’azienda.

Qualche settimana dopo in un albergo di Pescara mi fu presentato il proprietario del CHIETI.

 

Lei si avvicinò alla Chieti Calcio dell’allora presidente Barbiero , mai troppo rimpianto, nel 1985. Come è nato il primo contatto? Che impressione ebbe del suo predecessore?
Barbiero mi prospettò le sue problematiche economiche.

Ritenni che fosse un segno del destino… La Società calcistica del capoluogo di Provincia dove io avevo le mie attività. La possibilità di gestire una società di calcio secondo i miei principi e quindi dimostrare che era possibile gestirla con principi organizzativi ed economici aziendali nel pieno rispetto della Città in tutte le sue componenti.

Richiesi un po’ di notizie sull’organizzazione della Società e sugli organici. Con assoluta rapidità verificai tutto ciò che era possibile verificare e decisi di entrare nel mondo del calcio da imprenditore (anche se ero stato da giovane calciatore a Firenze).

Direttore Sportivo del Chieti di Barbiero era un giovane laureato in scienze politiche, molto educato e ottimo conoscitore di Calcio, in quanto aveva fatto il portiere fino alla Serie A. Il suo nome CLAUDIO GARZELLI.

 

Se non erro ci fu un periodo di “interregno” tra lei e Barbiero prima del definitivo passaggio di mano. Cosa ricorda di quel periodo di transizione?
Barbiero mi apparve subito come Buon Comunicatore con cui bisognava fare affari con attenzione.

Misi subito le cose in chiaro dicendogli che una società di calcio non poteva essere gestita con superficialità e pressapochismo soprattutto perché coinvolgeva sentimenti di tante persone, appassionati e tifosi, di cui bisognava avere immenso rispetto.

Costituimmo una nuova società, di cui la mia organizzazione aveva la maggioranza e Barbiero la minoranza. Durante la stagione Barbiero abbandonò.

 

Stagione 1985-86; dopo aver preso saldamente in mano le redini della società, lei inizia la “rivoluzione” portando negli anni a trasformare la Calcio Chieti in SPA. Arrivarono al suo fianco Mario Gaini presidente, Antonio Gorgoretti dirigente accompagnatore e soprattutto Claudio Garzelli come amministratore delegato. Quali rapporti professionali ed umani l’hanno condotta a scegliere i suoi collaboratori?

Nel 1985 la società vedeva come Presidente mio cognato Mario Gaini, una bellissima persona, caratterizzata in particolare dalle sue notevoli doti umane.

Amministratore delegato Casimiro Volpe, che era già Amministratore di una mia società industriale, con rapporto di fiducia nei miei confronti e nei confronti dell’organizzazione.

Direttore Sportivo prima e Generale poi Claudio Garzelli. Alla fine della stagione Garzelli fu insignito del titolo di miglior Direttore Sportivo della Lega Dilettanti.
Nel contempo mettemmo mano a una profonda ristrutturazione organizzativa e culturale.

Per fare un esempio ricordo Cittadino e Roma, due giocatori importanti dell’organico, cui tra l’altro sono personalmente rimasto affezionato, che cominciarono a fare qualche distinguo circa gli ingaggi e presero la decisione di abbandonare il ritiro.

Furono immediatamente messi fuori organico e fu loro spiegato che non era assolutamente accettabile un comportamento del genere da chicchessia, men che meno da parte di calciatori importanti. Inoltre decisi la soppressione dei PREMI PARTITA sostituendoli con il PREMIO PROMOZIONE.

 

Lei e il suo staff creaste una organizzazione modello. Qualche giorno fa abbiamo avuto il piacere di intervistare Massimo Di Carlo che ha definito quel Chieti “la seria A della quarta serie” a livello societario. Quanto la sua esperienza da imprenditore è stata importante per raggiungere quell’obiettivo? Quanto la “chimica” crescente con l’ambiente teatino ha facilitato la cosa?
Personalmente ho sempre ritenuto che per creare un’ottima organizzazione è importante selezionare innanzitutto ai vertici, le persone giuste per il posto giusto.

Ecco il Presidente nella persona di Mario Gaini, ecco l’Amministratore Delegato in Casimiro Volpe che conosceva già molto bene quel ruolo, ecco Claudio Garzelli che conosceva già benissimo il mondo calcio in tutte le sue componenti, soprattutto organizzative e sportive. Ognuno di loro, tra l’altro aveva compiti ben precisi e non poteva esistere conflitto di interessi, ma soprattutto eravamo tutti persone perbene con fiducia reciproca. Tramite loro non fu difficile creare un’organizzazione ben strutturata ed efficiente.

Anche nelle mie aziende ho introdotte i concetti di ordine e disciplina che ho imparato nella Guardia di Finanza: hanno sempre funzionato.

 

Stagione fantastica fino a marzo, poi finita male. Ma l’anno successivo con qualche piccolo ritocco il Chieti vola e centra la promozione in C2 scippatale l’anno prima. Ci parli di un ricordo particolare legato a quella fantastica cavalcata.

Non è proprio corretto dire che fu una stagione fantastica fino a marzo, poi finita male. Fino all’ultima giornata di campionato potevamo vincere. Purtroppo andammo a Canosa a pareggiare mentre il Lanciano vinse a Penne.

Lo spareggio di LATINA a livello sportivo e sociale fu un avvenimento STUPENDO. Tutta la città si strinse intorno alla squadra e scattò in me un sentimento di vera ammirazione verso la passione che la stessa città tutta dimostrò di avere. Altro che camomilla… Ecco quella che tu definisci chimica.

Avevamo peraltro uno squadrone per cui con tre ritocchi l’anno successivo vincemmo con notevole vantaggio. Poiché ritenevo che la responsabilità della mancata vittoria il primo anno fosse di Orazi, lo confermai tra lo stupore di tutti, lui compreso, dicendogli che avrebbe dovuto vincere con 10 punti di vantaggio e non gli avrei dato il premio promozione a parziale risarcimento danni nei confronti della società. Ahahah: fui un buon profeta .

 

Il Chieti torna tra i professionisti dopo cinque anni, ma la società decide di non confermare in panca Mister Orazi, artefice della promozione, e di affidarsi alla “volpe grigia” Tony Giammarinaro.
Ci spiega i motivi di quella scelta?

La scelta di Tony Giammarinaro fu dovuta alla sua carriera da Allenatore. Lo ritenni in grado di poter vincere, ma nelle more affidai la guida tecnica a Bruno Pinna, giovane allenatore emergente, con la supervisione di Tony Giammarinaro. Aveva allenato Pescara,Maceratese,Anconitana,Pro Vasto, Avellino, Chieti, Benevento, Salernitana, Paganese, Taranto, Pistoiese, e Francavilla

A distanza di tempo e senza le naturali tensioni dell’eccitazione sportiva bisogna riconoscere che non fu una scelta errata.

 

Dopo una buona stagione d’esordio in C2, i neroverdi tornano a correre per il salto di categoria, sfumato nella stagione 1988-89 “grazie” alla nascita della classifica avulsa e allo spareggio con la Ternana. Nuova stagione e nuova promozione mancata all’ultima giornata contro il Fano.
Cosa ha permesso a lei e al suo staff di non mollare dopo quelle due cocenti delusioni?

Dopo un naturale anno di assestamento in cui ci qualificammo quinti, le stagioni successive facemmo lo spareggio a Cesena con scippo finale dell’Andria a Chieti ed un terzo posto con scippo finale da parte del Baracca Lugo a Castel di Sangro.

 

Una curiosità: ricordiamo il comportamento poco “ortodosso” di Giammarinaro nell’ultima giornata casalinga della stagione 1989-90 appunto contro il Fano quando abbandonò la panchina a partita in corso. In che percentuale quel comportamento influì sulla decisione di cambiare guida tecnica? O si trattava di una scelta già valutata dalla società?

Con riferimento al comportamento poco “ortodosso” di Giammarinaro nell’ultima giornata casalinga della stagione 1989-90, appunto contro il Fano, quando abbandonò la panchina a partita in corso, personalmente lo condivisi e fui stupito dal comportamento del pubblico teatino, che nella circostanza si comportò in maniera antisportiva. Per me fu una sorpresa perché ho sempre considerato e considero ancora tifosi e sportivi teatini dotati di senso sportivo.

Una cosa è contestare anche violentemente, un’altra è FISCHIARE PER TUTTA LA PARTITA UN UOMO SOLO, che aveva avuto il torto di non AVERE VINTO il CAMPIONATO, dopo uno spareggio per la promozione a CESENA ed un terzo posto, ripeto con scippo del Baracca Lugo a Castel di Sangro.

Ma comunque anche un allenatore ritenuto non bravo non può essere fischiato per una partita intera, anzi non intera, per il suo abbandono. Qualcuno mi parlò delle responsabilità che erano state attribuite a Tony Giammarinaro in epoca precedente cioè nelle stagioni 1976-78.

Ad onore del vero e per quello che può valere oggi, posso garantire a tutti gli sportivi intellettualmente onesti che le responsabilità attribuite a Giammarinaro in quei campionati furono tutt’altro che sue. Chiaramente con tale frattura sarebbe stato assurdo confermare Giammarinaro alla guida tecnica del CHIETI.

 

Stagione 1990-91, la gioia più grande della sua gestione. A Chieti arrivano tanti volti nuovi e finalmente l’obiettivo non sfugge, si torna in C1! Se riavvolge il nastro, qual è la prima cosa che le salta in mente della genesi di quella stagione e della partita promozione contro il Martina?

Basta dare però un’occhiata all’organico del CHIETI di mister VOLPI, per verificare che aldilà di PICCONI E CAVEZZI , tra l’altro sostituto di DE MASSIS, giocatore del CHIETI che si stava comportando egregiamente, l’ossatura della squadra era quella di Giammarinaro.

Il mister VOLPI era un OTTIMO INSEGNANTE di CALCIO oltreché una persona intelligente, per cui dialogando con Garzelli e col sottoscritto, condivise che una squadra che aveva fatto ottimi risultati non andava smantellata ma eventualmente rinforzata con giudizio.

La difesa fu rinforzata con MARIGO, il centrocampo con PICCONI prima e CAVEZZI (poi personalmente avrei preferito dare fiducia a DE MASSIS che era un giovane giocatore del CHIETI, che si stava comportando benissimo) ma ritenni opportuno soddisfare il desiderio di mister VOLPI. Infine l’attacco vide il ritorno di SGHERRI.

I risultati parlarono chiaro.

 

Quel Chieti era veramente uno squadrone; grandi calciatori e grandi uomini guidati da un Signore in panchina come Ezio Volpi. Un suo personale ricordo dell’uomo a cui oggi è intitolata la nostra curva.

Il ricordo particolare che ho di VOLPI è un avvenimento che poteva essere tragico, ma si risolse bene.

Festeggiamo la promozione in C1 a casa mia e mister VOLPI era seduto a un tavolo sotto un ulivo.

VOLPI era allergico ai fiori di Ulivo, ma era talmente SIGNORE e TIMIDO che non disse niente.

Dopo un  po’ cominciò a stare male. Per fortuna ci accorgemmo tempestivamente del suo malore e lo salvammo da un sicuro shock anafilattico.

 

Dopo un paio di buone stagioni in C1 con il conseguimento della salvezza le cose cominciarono a cambiare. Arrivarono due retrocessioni di fila ed altrettanti ripescaggi, il Dott. Garzelli lasciò nel 1994 per spiccare il volo verso altri lidi, arrivarono guide tecniche e giocatori che convinsero poco e l’ambiente cominciò a non avere più molta fiducia della società.
Quali erano le sue sensazioni in quegli anni? Furono motivi economici, personali o di mancanza di stimoli a farle ridurre o modificare le energie dedicate alla squadra di calcio?

Nel 1991 fu emanata la famosa legge ’91 che prevedeva una seria ristrutturazione dei bilanci delle società di calcio, con l’inserimento della famosa COVISOC. Compresi per tempo che la priorità doveva essere quella dei bilanci,per cui iniziammo a fare politica di bilancio, purtroppo facendo soffrire quella sportiva.

I due ripescaggi non furono né un gradito omaggio né fortuna ma semplicemente una corretta e previdente politica di bilancio posta in essere dalla società. Scherzando dico che in otto stagioni abbiamo vinto 6 campionati con solo 2 promozioni, in quanto annovero tra le vittorie di campionato anche i ripescaggi.

La partenza di Garzelli fu il miglior riconoscimento del suo valore. In quegli anni fu contattato anche da NAPOLI E INTER. Chiaramente me ne ha sempre parlato ed io gli ho consigliato quello che ritenevo il meglio per la sua carriera, che una piazza come quella di CHIETI non avrebbe mai potuto offrirgli, a livello professionale ed economico.

Claudio GARZELLI ha costituito per me la più grande soddisfazione educativa ed umana.

Ricordo che mi chiese di insegnargli a fare il manager. Gli risposi che dipendeva tutto da lui, io avrei potuto insegnargli le cose che a mia volta avevo imparato ma lui doveva metterci l’anima.

Considerati i successi che ha ottenuto sia in seno alla FEDERAZIONE diventando PRESIDENTE dei DIRETTORI SPORTIVI e CONSIGLIERE del FONDO GARANZIA dei calciatori, sia in seno alle società del SIENA da DIRETTORE GENERALE del LIVORNO e per finire AMMINISTRATORE DELEGATO del BARI, posso concludere che io gli ho insegnato qualcosa e lui ci ha messo tutta l’anima.



Arriviamo così al 1998 e al passaggio di consegna con Pino Albergo. Come si è sviluppata la trattativa? Qual è stata la sua prima sensazione dopo aver apposto le firme sul contratto di cessione?

Con la partenza di Claudio GARZELLI, la crisi economico-finanziaria dovuta all’uscita dell’ITALIA dallo SME ed una mia condizione fisica molto grave, non mi consentirono più di dedicarmi alla squadra.

Nella speranza di poter recuperare presto sia a livello fisico che economico non abbandonai la nave ma cercai di farla pilotare nel modo meno negativo possibile. La Chieti sportiva non poteva conoscere la vera situazione ma intuì che c’era qualcosa che non andava e aldilà di qualche isolato scalmanato rispettò la mia persona. Nel frattempo ritenni che era giunto il momento che mi facessi aiutare da uno SPONSOR di alto livello: ecco la DAYCO del DR. Giuliano ZUCCO .

Nel 1997 subii un’operazione devastante, per cui decisi di abbandonare definitivamente quella che considero la mia più bella avventura SPORTIVO-SOCIALE in una città che ritengo di aver rispettato ed amato ma dalla quale sono stato ancor più rispettato ed amato…..e il rispetto e l’amore reciproco continuano e continueranno per sempre. Il rispetto significa anche il passaggio di consegne a qualcuno che ti dia un minimo di affidabilità per il futuro della società.

Albergo appariva persona con tali requisiti, anche se onestamente non ero nella forma migliore anche a livello mentale per appurarlo personalmente. Mi feci affiancare da consulenti professionalmente molto validi, ma che probabilmente non avevano la conoscenza ovvero la sensibilità del mondo sportivo-calcistico.

L’unica sensazione certa che ancora rammento viva, fu l’enorme dispiacere di non poter più occuparmi di una realtà che avevo gestito con attenzione e col massimo rispetto per il mondo calcio e per la CITTÀ che mi aveva ospitato con tanto affetto, al punto tale da farmi diventare un cittadino spiritualmente e sportivamente TEATINO. Riuscivo però a comprendere l’evoluzione che il calcio aveva nel frattempo subito Da fatto SPORTIVO-SOCIALE-ECONOMICO era diventato fatto ECONOMICO-SOCIALE-SPORTIVO.

 

Il cordone ombelicale che la lega al Chieti però non si è però mai tranciato definitivamente. Testimonianza ne è la scorsa stagione quando il suo ritorno in società ci aveva fatto ben sperare. Ci racconta come le è arrivata la proposta da Bellia?

Come sopra detto il cordone ombelicale con la città sportiva non poteva né potrà mai tranciarsi.

Sono stato convocato più volte dall’allora Sindaco Francesco RICCI per mettere a sua disposizione la mia esperienza in occasione della crisi del CHIETI di BUCCILLI. Successivamente più volte il Presidente BELLIA mi ha pregato di dargli una mano a livello gestionale e amministrativo.

 

In concreto, lei di cosa si sarebbe dovuto occupare? Cosa contemplava il suo ruolo da consulente?

Ritenevo,forse a torto, che avrei dovuto occuparmi della RISTRUTTURAZIONE della Società sia sotto il profilo AMMINISTRATIVO che sotto quello ORGANIZZATIVO. Accettai pertanto il suo reiterato invito. Invero probabilmente BELLIA non aveva bisogno della mia consulenza in quanto raramente mi ha chiesto consigli.Ho ritenuto pertanto di rendermi ugualmente utile cercando di stare vicino alla squadra, garantendo molto spesso la mia presenza ed il mio supporto psicologico nello spogliatoio, dialogando costantemente con il Vice Presidente Walter COSTA ed il DS Omar TROVARELLO, ambedue ottimi manager nel mondo calcistico dilettantistico.

 

La nuova proprietà capeggiata da Giorgio Pomponi ha salvato il Chieti da un fallimento sicuro; ha portato progetti ambiziosi, anche extrasportivi legati allo sfruttamento dello stadio per eventi e spettacoli, ma soprattutto sta ricreando entusiasmo intorno ai colori neroverdi. Quali sono le sue impressioni su Pomponi, la nuova società, la squadra e quale consigli darebbe all’ultimo dei suoi eredi?

Non sono assolutamente in grado di poter esprimere giudizi nei confronti di Giorgio POMPONI e della sua organizzazione. Culturalmente sono molto lontano da POMPONI in relazione alla gestione di un’organizzazione calcistica. Io assunsi la proprietà e la responsabilità del CHIETI per motivi SPORTIVO-SOCIALI. Ero convinto che un imprenditore che gestiva i propri interessi in una città o in una provincia avesse il dovere civico di occuparsi anche di cose socialmente rilevanti del territorio.

Avevo apprezzato l’inserimento dei Signori BENETTON nello sport Trevigiano attraverso le squadre di RUGBY e di BASKET. Io amante del CALCIO ho ritenuto di farlo, appena ne ho avuto occasione con la città di CHIETI Capoluogo di Provincia di ORTONA, in cui avevo il centro dei miei affari. In quasi 15 anni di gestione del CHIETI non ho mai chiesto nulla in cambio alla luce delle motivazioni del mio interesse per il CHIETI.

POMPONI di contro è un manager presente nel mondo dell’organizzazione di eventi, il quale, anche alla luce della notevole situazione debitoria della società da lui rilevata, ha interesse e necessità di tradurre in business la gestione soprattutto dello stadio. Come ho sopra detto il calcio oggi è un fatto ECONOMICO-SOCIALE-SPORTIVO, per cui POMPONI si ritrova ad operare in questo calcio.

Con riferimento alla squadra voi sapete benissimo che il campionato di serie D per aspirare alla vittoria è difficilissimo.

Io ero solito dire che per vincere con certezza dovevamo avere un rapporto di forza 3 a 1 nei confronti di tutte le altre società. Significava in termini pratici che il nostro organico complessivo doveva essere tre volte più bravo della media degli altri organici. Chiaramente era un’affermazione scherzosa per definire la difficoltà di vittoria in un campionato in cui c’è un’unica promozione.

Non mi permetto certo di dare consigli a nessuno.

 

Negli anni della sua presidenza ha visto correre e sudare sul terreno del Guido Angelini tantissimi calciatori: chi lo ha esaltato maggiormente dal punto di vista tecnico e/o caratteriale?

Abbiamo avuto il piacere di vedere calcare il nostro campo da parte di molti giocatori anche molto bravi. Tecnicamente non ho dubbio alcuno che il migliore che abbiamo visto è stato Enrico CHIESA.

Un ragazzino devastante per le difese avversarie. Ricordo che dopo una partita giocata all’Aquila lo redarguii perchè tutte le volte che lo toccava un avversario si buttava per terra urlando come un ferito grave. Gli dissi che i campioni non si comportano così. Mi guardò con sguardo interrogativo chiedendomi : lei pensa che io sia un campione? Gli dissi di sì! Da quel giorno urlò un po’ meno.

In occasione dell’amichevole con la ROMA BONIEK avvicinò GENOVASI e gli chiese? Ma tu che ci fai in interregionale? Soprattutto il tiro di Carmelo era devastante davvero, ma aveva anche una tecnica elegante e raffinata. Con una testa diversa sarebbe giunto in serie A. In serie B riuscì ad andarci cioè a TARANTO. Ce lo spedirono indietro perché la prima sua attività fu quella di litigare con l’allenatore VENERANDA, ahahah.

Infine un giocatore che aveva delle doti fuori del comune era FABIO FIASCHI. Gli mancava solo la giusta cattiveria per la categoria.

 

Latina, Cesena e quei maledetti rigori. Se ci ripensa oggi è più grande la soddisfazione per averle giocate quelle finali o la rabbia per le imprecisioni dagli undici metri?

Latina e Cesena calcisticamente ebbero in comune un fatto: perdemmo ai rigori per gli errori dei calciatori più bravi LA PALMA a LATINA e GENOVASI a CESENA. Di LATINA ho già detto.

Ciò fa parte dell’alea contenuta negli avvenimenti calcistici. In effetti a differenza di quasi tutti gli altri sport individuali e di squadra nel calcio NON SEMPRE VINCE IL MIGLIORE, ma talora il più fortunato. A CESENA fui invece entusiasmato dal vedere uno stadio di serie A quasi pieno in cui la MIA SQUADRA si stava giocando la promozione in serie C1 con una Società titolata come la TERNANA.

Se rammentate la mia frase da TOLLO A CESENA intendeva significare il cammino che avevamo fatto.

Qualche tollese se ne offese forse perché non ne comprese il senso, non certo offensivo per Tollo ma esclusivamente di esaltazione per la nostra organizzazione.

Da tifoso fu una DELUSIONE IMMENSA, cui peraltro reagii con la frase: VUOL DIRE CHE VINCEREMO CON DIECI PUNTI DI VANTAGGIO, cosa che accadde due anni dopo. Da MANAGER invece fui estremamente soddisfatto del risultato sociale e di spettacolo raggiunti. 

A CESENA c’erano circa quindicimila persone…

 

Cosa la giungla del mondo del calcio ha insegnato al Dott. Mancaniello dal punto di vista professionale e personale?

La giungla del calcio (ottima definizione) mi ha insegnato che nell’economia generale della vita la passione sportiva di miliardi di persone ricopre una parte importante. Volgari sono tutti coloro che non la rispettano, soprattutto in considerazione che tale passione coinvolge bambini, giovani , persone mature ed anziani, senza distinzione alcuna. Professionalmente, come ho già detto, mi ha confermato che anche a livelli piccoli si può gestire una società calcistica come un’azienda.

 

Di cosa si occupa oggi? Ha ancora tempo e voglia di seguire le sorti dei neroverdi?

Oggi nella mia qualità di ex imprenditore e di avvocato tributarista ancora tengo il cervello allenato attraverso consulenze qualificate ma non oppressive a livello psico-fisico. Seguo costantemente le sorti dei nostri colori esaltandomi o soffrendo come un tifoso… Banale ma vero.

Ho un’ammirazione particolare verso il CAPITANO (Federico Del Grosso, ndr) in cui vedo una BELLA PERSONA ed un GRANDE UOMO che si ispira ai VERI VALORI DELLO SPORT e della VITA.

Sono altresì ammirato da TUTTI VOI TIFOSI E SPORTIVI che in MILLE MODI E CON MILLE SFACCETTATURE esprimete forse le COSE MIGLIORI della NOSTRA SOCIETÀ dedicando molte delle vostre energie fisiche e mentali a coltivare principi di vita PULITI E DI CONVIVENZA CIVILE cui vorrei che molti giovani si ispirassero, invece che andare in giro a far danni a sé e agli altri.

 

Vorremmo chiudere la chiacchierata con un suo personale ricordo dell’avventura neroverde. Ci racconti, a sua scelta, un episodio o una delle cose che ricorda con più affetto di quegli anni indimenticabili.

Un episodio particolare che ricordo sorridendo riguarda la conferma di Orazi nel ruolo di allenatore.

Subito dopo lo spareggio di Latina, negli spogliatoi ci fu un violento diverbio tra Orazi e Marangi

Quando tornammo in sede MARANGI (lo ricordate?) chiese di parlarmi. Ci mettemmo a camminare per il piazzale antistante lo stadio e lui cominciò a parlarmi negativamente un po’ di tutti, allenatore compreso. Io lo ascoltai con molto interesse ed attenzione. Al termine del colloquio fui ancor più convinto di fare a meno di un giocatore come Marangi chiaramente uomo che aveva dimostrato poca generosità e senso di gruppo e di rinnovare il contratto di ORAZI.

Dopo la lunga chiacchierata convocai negli uffici dell’Angelini ORAZI, che ci aveva osservato con attenzione. Alla luce del principio che quasi sempre sono gli allenatori a pagare gli insuccessi, mentre vengono confermati i giocatori bravi, e MARANGI lo era, ORAZI mi disse subito che aveva capito che lo avrei esonerato. Raramente ho visto un’espressione di STUPORE simile a quella del volto di ORAZI quando gli comunicai invece che lo confermavo e lo obbligavo a vincere il campionato, rinforzandogli la squadra ma togliendogli il premio promozione.

Tutta la redazione di TifoChieti la ringrazia di cuore per la signorilità e la gentilezza che la contraddistinguono da sempre. Lei sarà sempre una pietra miliare nella storia della nostra amata squadra di calcio.

Vi ringrazio anche delle bellissime parole che mi avete rivolto, sicuramente non del tutto meritate ma che mi hanno fatto un immenso piacere. Buona fortuna a tutti!

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