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Categoria: Ritratto d'autore
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Un primo piano di Paolo Monico nella stagione 1972-73

 

(di Franco Zappacosta)

Negli Anni 70 (l’inizio del decennio) il Chieti ebbe la possibilità di contare su un nucleo di calciatori inossidabili, atleti di solida tempra e di grande forza fisica. Erano anche esempi di professionalità. Fu per queste qualità che saltarono pochissime partite in ogni stagione, in taluni casi riuscirono a collezionare la totalità delle presenze in campionato. Parliamo di Riccardo Giovanardi e Romeo Campagnola, Antonio Lancioni e Arturo De Pedri, di Giovanni Zanotti e Fulvio Fellet. Al gruppo appartiene anche Paolo Monico, difensore centrale e all’occorrenza utilizzabile anche in altri ruoli del reparto arretrato.

Nato a San Martino in Strada (fa parte dell’odierna provincia di Lodi, da non confondere con la medesima località in provincia di Forlì-Cesena come riportano vari profili internet) il 14 aprile ha compiuto 69 anni. E’ stato neroverde nel 1972-73 e poi dal 1974 al 1977 per un totale di quattro stagioni: 136 le presenze, un gol. Cresciuto nel settore giovanile dell’Inter, le tappe della sua carriera sono state sempre decise (anche) dai desideri di illustri nomi della storia nerazzurra, nel senso che <nella Pro Patria giocava Bruno Bolchi, sulla panchina del Chieti c’era Angelillo, al Piacenza mi volle Giancarlo Cella> spiega Paolo.

Con l’Abruzzo ha conservato un legame specialissimo. Ha stretto amicizia con tanti tra Chieti e Pescara e i rapporti dopo tutti questi anni restano intatti, se non più solidi. Sono così le sintonie, le affinità vere e profonde. Il vino? Ogni primavera si rifornisce presso una tenuta teatina (infatti l’abbiamo incontrato all’inizio di aprile) e in autunno sarà a Bucchianico dove un amico conduce una proprietà con 300 alberi di ulivo. <Lo aiuterò nella raccolta. Di solito vengo a Chieti parecchie volte nell’arco dell’anno. Mi sento cittadino onorario di Chieti, una sorta di ambasciatore d’Abruzzo. Spesso su al nord c’è chi mi si rivolge così “Paolo, tu che sei abruzzese, dimmi…”. Mi confondono quasi per uno nato proprio in questa regione della quale mi piace tutto, è una delle terre più belle e ospitali d’Italia>.

Dicevamo che la sua formazione calcistica è stata interista. Dopo il servizio militare il primo trasferimento alla Pro Patria, operazione sollecitata da “Maciste” Bolchi, anziano tigrotto che stava per chiudere con il calcio giocato nella squadra di Busto Arsizio. Al primo campionato “vero” 34 presenze e 2 gol. L’anno dopo l’arrivo a Chieti, fortemente voluto da Antonio Valentin Angelillo, il nuovo allenatore ingaggiato da Guido Angelini. <In quella sessione di mercato si era parlato di un mio probabile passaggio in serie B al Bari o al Brindisi. Avevo anche l’alternativa di giocare nel Viareggio perché ero amico di famiglia di Bobo Gori. Ma Angelillo conosceva bene Italo Allodi e godeva sempre di enorme carisma nell’ambiente nerazzurro. Così il mio destino professionale cambiò e dalla Primavera dell’Inter venimmo in tre: il portiere Fontana, il terzino Bisiol ed io>. Stato di servizio eccellente per il terzetto a fine stagione: Gianpietro Fontana 29 presenze, 32 per Gianfranco Bisiol, 30 per Paolo Monico. Fontana condivise la responsabilità del ruolo con un ragazzo allora ai primi passi, Gino Rulli, quercia di Torrevecchia Teatina, a nostro giudizio bravo e troppo modesto perché arrivasse a più alti livelli.


Il Chieti 1972-73. In piedi da sinistra: Bisiol, Azzoni, Fellet, Monico, Rossetto, l’allenatore Angelillo, Vriz, Zanotti, Cavicchia. In basso da sinistra: Berardi, Anelli, De Pedri, Fontana, Omizzolo, il massaggiatore Apolloni

 

 

<Gran bella squadra e allenatore in rampa di lancio. Le cose purtroppo non andarono secondo le previsioni, il risultato finale fu infatti inferiore alle attese per diverse ragioni, non ultima il sorprendente allontanamento di Angelillo>. Dopo la prima esperienza in maglia neroverde andai a giocare con il Piacenza allenato da Giancarlo Cella altro ex importante interista.

Il Chieti, diventato proprietario del cartellino, lo riprese nell’estate del ’74. Nella stagione 1974-75 (Leo Zavatti-Adelmo Capelli) 37 le partite disputate. <Fui assente solo in una delle ultime trasferte, quella in Sardegna contro la Torres, ero fisicamente provato e chiesi un turno di riposo>. Nel 1975-76 (Adelmo Capelli-Omero Tognon) sempre presente e infine l’anno della serie D con Toni Giammarinaro, 31 gettoni e un gol <contro il Nola>.

Non dimentica altre due reti perché realizzate in circostanze speciali indossando cioè la maglia dell’Inter. Entrambe in amichevoli: <La prima a San Siro contro lo Zurigo e un’altra quando vincemmo 4-1 a Pescara>.

Nell’estate del 1977 la svolta inattesa. <Il presidente Angelini non stava bene e aveva ceduto la società al nuovo gruppo di imprenditori. Giammarinaro faceva e disfaceva a proprio piacimento. Mi giocarono un brutto scherzo. Mi dissero che mi avrebbero dato al Brescia nell’ambito della trattativa che prevedeva il passaggio al Chieti di Berlanda e Colzato. Dal punto di vista professionale si trattava per me di una prospettiva interessante e me ne andai tranquillamente in vacanza. Al ritorno la sgradita sorpresa. Lessi sui giornali che il Chieti aveva raggiunto l’accordo per cedermi al Cosenza. Mi arrabbiai, andai dai dirigenti e dissi “al Cosenza non ci vado”. Accadde proprio questo: la mia attività di calciatore si concluse in quel momento, a 27 anni. Presi il posto in banca>.


Il Chieti 1976-77. In piedi da sinistra: Monico, Guasti, Capponi, Cantarelli, Diodati, Parolini. In basso da sinistra: Bertuolo, Fruggeri, Lo Vecchio, Anelli, Cerasani

 

 

Incredibile epilogo. Smettere al top, mai pentito? <E’ una domanda che mi sono posto spesso e la risposta è stata sempre una: mai, nessun pentimento. In quell’epoca a 24-25anni passavi già per un giocatore maturo, i calciatori del futuro erano altri, più giovani. E poi se consideri i guadagni… Perciò ho sempre ritenuto una decisione giusta quella che presi>. Stessa storia di Stefano Anelli, anche lui smise nel ’77 e passò in banca. <Sì, mai io giocai d’anticipo entrando nella sede dell’allora Credito Italiano il primo settembre, Stefano che ho rivisto con piacere in questi giorni, mi seguì ad ottobre. Ho detto di non essermi mai pentito perché in banca ho svolto un lavoro gratificante, mi appassionava già prima di calarmi nella parte. Sono stato responsabile dell’ufficio titoli ed essere a contatto ogni giorno con il mondo della borsa, delle quotazioni azionarie, degli investimenti è un impegno pieno di fascino. Ho conosciuto tanti importanti personaggi dell’economia, dell’industria, della finanza. L’unico aspetto negativo è l’obbligo di essere sempre in giacca e cravatta…>.

Ma nel calcio è rimasto per un certo periodo visto che è stato allenatore a livello di settore giovanile e di prime squadre <fino alla prima categoria. Poi tre anni fa ho dovuto smettere per essere più vicino a mia madre che ha 91 anni>.

Altra sua passione sportiva è il basket. A Chieti era un fan della Rodrigo, sempre presente alle partite (quando gli era possibile). <Sono ancora amico di ragazzi come Giacomo Rossi e Filippo D’Ottavio>. Amici anche a Pescara, specie uno della prima ora, tifoso neroverde (anche se cittadino pescarese) professor Alberico Del Rosario, quello che presentò a Fulvio Fellet la ragazza, Anna, che sarebbe diventata sua moglie.

Anche tu hai sposato una donna abruzzese? <No, mia moglie Mara è di Feltre> sorride Paolo <e per piacere non sbagliare il nome perché quest’errore capita spesso e la fa arrabbiare moltissimo…>. La famiglia comprende inoltre la figlia Marzia che lavora presso la Deloitte, tra le prime società al mondo di consulenza e revisione finanziaria. In fondo ha seguito le orme del papà, beninteso non quelle lasciate sui campi di calcio.

I ricordi legati “al” Chieti. <Bellissimo quello che conservo di Angelillo e del gruppo da lui allenato, la mia prima squadra neroverde. Ma era un orto con una bella rosa al centro. Mancava il resto, perciòBrutta cosa fu invece la retrocessione, ma tornammo subito in serie C. A Chieti, inutile dirlo, sono stato benissimo, ne parlo tanto bene che per qualcuno passo per abruzzese, lassù al Nord>.


Il Chieti 1976-77. In piedi da sinistra: Monico, Modonese, Guasti, Beltramini, Capponi, Parolini. Accosciati da sinistra: Bertuolo, Fruggeri, Greco, Lo Vecchio, Musiello

 

Vive a Milano, porta ancora i baffi <ma i capelli sono bianchissimi>. In una stanza, in casa, c’è qualcosa di speciale. <La mia maglia neroverde numero 5, rigorosamente non lavata. Ne ho indossate altre, la 2 e la 3, ma è la 5 è quella che sento più mia perchè io ero lo stopper, secondo la definizione tecnica di allora>.

Una roccia, marcatore implacabile. E con Fulvio Fellet alle spalle, in regia difensiva (diciamo pure “libero”) quel Chieti aveva un “pacchetto arretrato” formidabile.

Paolo il Chieti è tornato in serie D. Finalmente.

<Sono sempre aggiornato sulle vicende e i risultati della squadra. Questa promozione mi ha fatto veramente piacere, il mio augurio è che il Chieti possa presto arrivare anche più su. Non voglio piazzare l’asticella delle aspettative troppo in alto, ma almeno la serie C dovrebbe essere il campionato abituale del Chieti. Adesso il ricordo sarà piuttosto lontano per molti tifosi, ma la squadra ha quasi sempre giocato in C. Io mi sento particolarmente affezionato ai colori neroverdi e alla città, ci vengo mediamente ogni 40 giorni, e tutti i lunedì su Internet vado a vedere cosa hanno fatto le mie ex. Comincio dalla Pro Patria, poi passo al Piacenza, quindi al Chieti: seguo l’ordine. Però confesso di essere tifoso soltanto di due formazioni: il Feltre, che è in D, è la squadra della città di mia moglie e il direttore sportivo è il mio amico Antonio Tormen con il quale ho condiviso una stagione in maglia neroverde, nel 1975-76. L’altra mia squadra del cuore è il Chieti. Il guaio è che finora quando mi hanno chiesto “tu che hai giocato nel Chieti, sai adesso dove è finito?” mi è stato sempre difficile dare una spiegazione. Per fortuna si torna su, lo stadio Angelini non dovrà più ospitare partite di categorie inferiori alla serie D>.

A patto che abbia un terreno diverso da quello disastroso visto negli ultimi mesi. Ma questa è un’altra storia.