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Categoria: Le interviste
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Il rispetto s’inspira e non si comanda. Così scrisse Arturo Graf e questa sembra essere la missione del Chieti FC Torre Alex, la società che ambisce ad essere  la prima realtà calcistica cittadina e che ha in Cristian Pollio uno dei quattro soci fondatori insieme a Giulio Trevisan (presidente), Filippo Di Giovanni (vice presidente) e Walter Serpellini. Pollio è anche il responsabile per l’area sanitaria, sia per il settore giovanile sia per la prima squadra, e per l’area marketing della nuova compagine neroverde.

Come nasce questa collaborazione con il Chieti FC Torre Alex?

«Tutto è iniziato a marzo, al bar Ariston con Filippo di Giovanni, mio vecchio compagno di scuola elementare dove ci siamo visti la prima volta e, tra un caffè e una chiacchiera, è nata l’idea di far rinascere il calcio cittadino rilevando il titolo sportivo di una società limitrofa per far nascere poi una società che non avesse nulla a che fare con la situazione debitoria della Chieti Calcio attuale. Quindi ci siamo incontrati al ristorante Caruso con Filippo Falconio e abbiano cominciato a fare le prime valutazioni economiche».

Giulio Trevisan e Filippo di Giovanni non hanno mai avuto a che fare con il calcio, Walter Serpellini se n’è sempre interessato, in vario modo e a vario titolo. Qual è invece il rapporto tra lei e il calcio?

«Il mio personale è nato lo scorso anno, grazie ad una collaborazione di natura lavorativa con la lega di serie B e il progetto Soccer vision, il primo studio di protocollo tra visione e precisione di lancio, del quale hanno anche parlato Rai Sport, Gazzetta dello Sport e Corriere dello Sport. Per ragioni logistiche, la società cui è stata appoggiato questo studio, che ha impegnato un nutrito gruppo di ricercatori, è il Pescara. Durante quest’anno mi sono sempre di più innamorato dell’ambito sportivo ma, vedendo la situazione sempre più triste della realtà calcistica della Città dove vivo, ho pensato insieme a Filippo che quelli della nostra generazione, quella dei quarantenni con figli e prole, avessero il dovere di dare continuità al calcio in una Città che merita sia fatto in maniera seria, a cominciare dai settori giovanili, e ben altri palcoscenici della Promozione o della Serie D».

Invece nella vita lei che cosa fa?

«Io sono responsabile vitreo-retina a Campobasso presso una struttura convenzionata con il sistema sanitario nazionale e ho un centro oculistico privato a Chieti dunque le mie attività professionali gravano sulla mia Città, mia moglie ha un negozio di ottica sempre a Chieti, i miei figli – uno dei quali ha 6 anni e comincerà presto a tirare i primi calci neroverdi al pallone – vanno a scuola a Chieti e qui ho tutta la mia famiglia, dunque è opportuno che gente che abbia questa carta di identità restituisca alla Città qualcosa del successo che ha avuto nella vita».

Andiamo al dunque: il main sponsor del Chieti FC Torre Alex è La Romagnola. Chi sono e qual è l’apporto che questa azienda può portare?

«La Romagnola è un’azienda importante che è in netta crescita sul nostro territorio ed è già impegnata in corsi di bellezza, nel ciclismo e nel calcio, anche in campionati professionistici. Inoltre sono amici e miei pazienti, per quello ha pensato subito a loro che hanno accolto subito con piacere questo invito. Il nostro progetto gli è subito piaciuto e vogliono legare il loro nome alla Chieti FC anche negli anni a venire. Per  la prossima stagione saranno main sponsor e il loro logo sarà sulla parte anteriore della maglia mentre in quella posteriore ci sarà quello della Esa Energie.

Il presidente Trevisan dice di non volere un progetto basato sul marketing, non perché non conti, ma perché questo progetto deve essere più ampio e avere al centro il “prodotto” calcio vero e proprio. Secondo lei c’è comunque nel marketing un potenziale inespresso che può mettere in moto un circolo virtuoso tra calcio e imprenditorialità cittadina?

«Secondo me sì. Una società sportiva non può avere continuità se non è legata a doppio filo con la realtà imprenditoriale della città. Questo non si vede solo dai loghi presenti nella sala per le conferenze stampa o dai cartelloni allo stadio, ma senza dubbio occorre che i risultati sportivi ed amministrativi vadano di pari passo, altrimenti la società ha breve vita. E questo vale per tutte le società, non solo per il Chieti. Tutte le società professionistiche hanno dimostrato di non resistere se il territorio non sposa il progetto di una dirigenza e di una società che porta avanti idee chiare e precise, con situazioni economiche e fiscali chiare, trasparenti e che possono essere controllate in qualsiasi momento».

Quali sono le idee di marketing che avete per il Chieti FC?

«Puntiamo a raccogliere piccoli investimenti da parte delle molte realtà medio-piccole che gravitano intorno al nostro territorio, da Scafa tutta la valle fino ad arrivare a Francavilla. Le grandi realtà industriali sono oramai pochissime e dunque il nostro obiettivo è coinvolgere il maggio numero di aziende medio-piccole e renderle parte integrante di un progetto molto più grande. Da loro non mi aspetto solo un appoggio economico, ma anche personale ad un’iniziativa che è finalmente un’iniziativa teatina».

Avete fonti di ispirazione per il vostro modello di business e di marketing?

«Attualmente in un mercato globalizzato, ci sono invece realtà ben più piccole e vicine che hanno dato risultati molto più importanti. Un esempio è la Maceratese, una società che è partita dall’Eccellenza con un nucleo di imprenditori locali in un territorio molto fiorente fino a 7-8 anni e che, nonostante la crisi, hanno fatto quadrato intorno alla presidentessa Maria Francesca Tardella. Il loro è un progetto che sta funzionando molto bene: la Maceratese controlla le spese, ma facendo campionati eccezionali tanto che, partendo dai dilettanti, è arrivata a giocarsi i playoff per la Serie B. Quindi non è assolutamente necessario prendere modelli di esportazione per fare calcio, almeno fino alla Lega Pro e anche alla Serie B».

Qual è invece la specificità che differenzia il Chieti FC Torre Alex?

«Una programmazione di professionismo puro. Il professionismo deve essere prima nelle categorie giovanili, con preparatori atletici che hanno la missione di creare generazioni di persone serie e sane. Se vengono poi anche giocatori, è meglio. I bambini hanno bisogno anche in mezzo al campo di un educatore che dunque deve essere adeguatamente formato e preparato. Anche l’aspetto sanitario sarà portato a livelli superiori rispetto a quelli che si ritrovano nelle società dilettantistiche: non sarà sufficiente dire semplicemente che il ragazzo è idoneo per attività sportive, inoltre sarà controllato a livello metabolico e nutrizionale, cutaneo, dermatologico, di visione… Possono sembrare piccolezze, invece sono l’essenza nelle categorie giovanili. A questo si aggiunge una programmazione chiara dal punto di vista economico e societario: non ci devono essere situazioni di scoperto o contenziosi con i fornitori proprio perché la società sportiva deve vivere con il tessuto sociale e imprenditoriale e dunque deve essere seria prima nel pagare e poi nel chiedere».

Marketing non è soltanto ricerca delle risorse presso le imprese, ma anche promozione verso il bacino delle tifoseria. Uno dei problemi da sempre a Chieti è l’attaccamento del pubblico alla squadra. Che cosa pensate di fare su questo argomento?

«Abbiamo pensato innanzitutto a momenti di presentazione ufficiale. A breve il presidente deciderà come e dove si svolgeranno i primi momenti di avvicinamento tra tifosi e squadra. Poi ci saranno dei gadget affinché possano diventare di uso comune per tutte le fasce d’età come maglie, zaini e altro e poi momenti conviviali che non abbiano per forza a vedere con la partita della domenica. Questo non è per fare una captatio benevolantiae, ma perché il tifoso possa vivere durante la settimana la società e nel viverla possa fare domande, farsi l’idea sulla situazione tecnica e contabile e non debba per forza farlo in modo virtuale su siti o attraverso notizie di seconda mano, a volte distorte».

Parliamo poi del tifo. Che cosa si sente di dire alla Curva Volpi, soprattutto dopo che ha espresso fedeltà al Chieti “tradizionale” che vive una situazione difficile?

«Quando c’è stata la decisione da parte degli “89 Mai Domi” che nell’anno in corso sarebbero rimasti fedeli al Chieti che giocherà il campionato di Serie D, parlando con alcuni capi ultras dissi che la decisione non mi stupiva e che molto probabilmente avrei fatto anche io lo stesso. È una situazione di coerenza. Ovviamente la mia speranza è un’altra: è che a un certo punto possano capire che una società che ha l’onere e l’onore di portare di nuovo il nome del Chieti Calcio, che si chiami FC o 1922, ma abbia i colori neroverdi e appartenga alla Città, possa far nascere di nuovo un connubio. Se questo connubio non c’è, non ci possono essere neppure i risultati. La Curva ha dimostrato sicuramente di non esserci ostile ed è alla finestra. Se un giorno dovesse reputare noi seri e degni, non credo che quella Curva rimarrà vuota anche perché è vero che loro sono il vanto della Città di Chieti, ma spero che possa esserlo anche la buona amministrazione della società di calcio. I risultati sportivi non sono l’unica cosa necessaria per far sì che una squadra voli. Gli esempi sono tanti: il Pisa ha conquistato la Serie B, ma non aveva una programmazione seria e tutto si è sfasciato; anche la Sambenedettese ha più volte conquistato la Serie C per poi rifallire e disputare di nuovo campionati dilettantistici. Questa è la dimostrazione di come i risultati sportivi possano essere messi KO da risultati “allegri” dal punto di vista amministrativo».

Quale può essere allora l’obiettivo di lungo termine?

«Io credo che rivedere la curva di Chieti-Paganese, con quello spettacolo numerico e coreografico, debba essere il nostro obiettivo, ma quello mio personale non è solo una finale: voglio la coesione che ci fu tra tutti i settori dello stadio negli anni in cui Braglia fu allenatore. Allora c’era Antonio Buccilli che reputo una persona eccezionale che è stata male interpretata, ma che al posto del midollo osseo aveva il calcio e ha dato il triplo o il quadruplo di quello che avrebbe potuto in termini di passione e di forza economica. E se vediamo la lista dei giocatori che abbiamo visto a Chieti in quegli anni, viene la pelle d’oca: i vari De Simone, Petitto, Zattarin, Cherubini, Quagliarella, Lafuenti…»

Torniamo al marketing. State trovando il riscontro che vi aspettavate o, come in passato, trovate porte chiuse o lentezza nelle risposte?

«Molto ha pesato la questione relativo alla questione del Chieti SSD, ma non abbiamo mai ricevuto un laconico “no grazie”. Si sono succedute fasi di entusiasmo, depressione e attesa, ma a questo punto abbiamo deciso di mettere la barra dritta e che forse è giusto così: dobbiamo dare qualche dimostrazione noi per primi per meritarci la fiducia del pubblico, ma anche del tessuto sociale e imprenditoriale della città. C’è curiosità per una nuova compagine teatina fino al midollo, però non è sufficiente. Non è sufficiente essere teatini per essere attrattivi. A questo punto occorre essere teatini, vincenti e trasparenti. E queste doti, tutte insieme, a Chieti negli ultimi anni non ci sono state. E questo ha portato disamore da parte di tutti: dello sportivo che vuol vedere giocare bene e vincere, dello sportivo-tifoso che vuole vedere vincere e accetta qualche compromesso. L’unico che ha mantenuto la barra dritta è il tifoso “vero”, che si è fatto tutte le trasferte anche con neve e pioggia per una società che non sempre l’ha ripagato. Noi dobbiamo riconquistare tutti i tipi di tifoso».

Avete un obiettivo di raccolta di risorse?

«Diciamo che contiamo di raggiungere il 25-30% di esercizio di bilancio da sponsorizzazioni perché questo vorrebbe dire che tutto il progetto è condiviso dalla Città. Quando questo non avviene, la società deve comunque mantenere la stabilità e porsi tale obiettivo per l’anno successivo. Fare a meno del pubblico o degli sponsor, non porta da nessuna parte a meno che non si giochi in Serie A: a Verona, con contributi della Lega e di Sky, anche con 4-5mila spettatori in uno stadio da 60mila posti c’è la possibilità di fare un campionato di Serie A indipendentemente da dagli sponsor e dal pubblico. Quest’ultimo invece dà un contributo fondamentale alle società dilettantistiche: piccolo per i bilanci, ma grandissimo dal punto di vista spirituale perché è la linfa della squadra».

Vedete altri ingressi in società?

«Assolutamente sì! Mi piacerebbe che alcuni di noi che siamo impegnati in questa società fossero perenni, ma qualora ci fossero altre forze economiche progressivamente più forti, nessuno deve sentirsi ridimensionato. Anche io e Filippo Di Giovanni all’inizio avevamo un’idea, poi è intervenuto un imprenditore con la “i” maiuscola come Giulio Trevisan e immediatamente le intenzioni mie e di Filippo sono state immediatamente rivalutate».