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Categoria: Le interviste
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Ciao Ezequiel e grazie per la tua disponibilità. 

Partiamo dalle tua esperienza argentina. La tua crescita professionale nel Ferro Carril Oeste e gli anni della Primera B Nacional (Seconda Divisione argentina).
Ho cominciato nel Ferro Carril entrando a contatto già da ragazzo con una realtà molto professionale. Eri stimolato e guidato in modo da crescere già nell’ottica di una squadra professionistica, in cui devi misurarti ad alti livelli, pensando e respirando calcio tutti i giorni. Tutto ciò mi ha dato modo di acquisire sin dall’adolescenza una mentalità da professionista.
A 17 anni sono andato in seconda divisione (la serie B italiana) nel Sarmiento e dopo due anni con la primavera ho cominciato a calcare i campi di serie B. Fu un grande salto; gente allo stadio, televisioni, tifosi, tanta attenzione all’alimentazione e tanta educazione antidoping. Ho subìto un grave infortunio con la rottura del legamento crociato del ginocchio; il mio contratto era in scadenza e il Sarmiento non solo non voleva rinnovarlo perché non era sicuro che io tornassi fisicamente al 100%, ma non mi pagava nemmeno gli emolumenti. Ho dovuto adire le vie legali e grazie al mio avvocato sono riuscito a riavere indietro il mio cartellino; poi con grande sacrificio e la preziosa collaborazione di un fisioterapista sono riuscito a sistemare il problema fisico e tornare a posto.

Nelle suddette esperienze hai avuto modo di incrociare in campo futuri campioni del calibro di Riquelme e Cambiasso. Ricordi di essere rimasto impressionato da qualcuno di loro già ai tempi?Durante la mia trafila nelle giovanili mi capitò di incrociare Riquelme e Cambiasso in una partita contro l’Argentinos Juniors. Loro giocavano nella stessa categoria anche se Cambiasso, anno di nascita 1980, ha due anni in meno di Riquelme. Devo dire che tra i due mi impressionò molto quest’ultimo, si vedeva già che aveva la stoffa del campione. Mi capitò inoltre di giocare contro Walter Samuel che all’epoca militava nel Newell’s Old Boys. Lui è classe 1978 e, anche se era poco più che ragazzino, il soprannome “the wall” che gli fu affibbiato in futuro gli calzava già a pennello per via di un fisico eccezionale!

 
Hai avuto modo di incrociare anche Claudio Lopez?
Con lui ho fatto un provino al Racing Club de Avellaneda nel 1995; ricordo che aveva i capelli lunghi ed era velocissimo. Facemmo un paio di allenamenti insieme agli ordini di Diego Armando Maradona come direttore tecnico e del suo collaboratore Carlos Fren.

  

Cosa ti ha portato a lasciare la tua terra di origine e trasferirti in Italia?
Dopo la fine del rapporto col Sarmiento si era aperta l’ipotesi di andare a giocare in serie A a Panama; tramite una mia conoscenza italiana si aprì anche la possibilità di arrivare in Italia. Non ho avuto dubbi nella scelta anche se non sapevo in quale categoria avrei giocato. Oltretutto per me era tornare un po’ alle origini visto che tutti e quattro i miei nonni hanno origini italiane; quelli paterni sono piemontesi mentre mia nonna materna è romana e mio nonno materno siciliano.

  

Tra le prime esperienze nel vecchio continente ricordiamo anche un piccolo cameo nel Chieti di Piero Braglia nella stagione 2001-02, non andato a buon fine per problemi di tesseramento da extracomunitario.Che impressione ricordi di aver avuto di società ed ambiente in quei tre mesi? Dopo la prima esperienza in Italia, ad Arezzo, arrivai a Chieti. Trovai un ambiente fantastico, il presidente Buccilli persona molto corretta con me e mister Braglia, una persona molto preparata. Era una grande squadra con i vari D’Anna, De Simone, un giovane Domenico Di Cecco, Rajcic, Biancolino e Cherubini. Gianluca era un giocatore imponente, elegante e cattivo dal punto di vista calcistico, di gran lunga l’atleta che mi ha maggiormente impressionato in tutta la mia carriera. Purtroppo avevo problemi per il tesseramento in quanto non mi era ancora arrivata la cittadinanza e il posto da extracomunitario era già stato occupato da Ivan (Rajcic), e così non riuscii ad entrare a far parte di quel gruppo.
 

Da un possibile impiego in una formazione di C1 ti sei ritrovato a girovagare nel mondo dei campionati dilettantistici passando, tra gli altri, da Sangiorgiese, Guardiagrele, e Tortolì. Possiamo definire quel mancato tesseramento lo “sliding doors” della tua carriera?
Me la sono fatta tante volte io questa domanda…Dopo i tre mesi a Chieti andai alla Sangiorgiese per giocare sei mesi; l’idea era di attendere il tempo necessario all’arrivo della documentazione completa per la cittadinanza e poi tornare a Chieti. Una domenica venne la Fermana a visionarmi che allora militava in C1 ma dopo pochi minuti mi ruppi l’altro crociato e così la mia carriera prese una piega diversa. Mi misi l’anima in pace ma non mollai un attimo per cercare di tornare al più presto un calciatore sano; nella mia carriera ho dovuto affrontare ben tre interventi ma non ho mai mollato sempre spinto dall’idea di dare il meglio di me in ogni situazione.
 

Nell’estate 2006 torni a Chieti in un momento storico completamente differente da quello di cinque anni prima. I neroverdi sprofondati per problemi economici in Promozione ed una piazza che vuole subito riprendersi quello che la battaglia di carte bollate gli aveva ingiustamente tolto. Raccontaci com’è nata la tua scelta di sposare la causa teatina.
Ero reduce da due anni in Sardegna a Tortolì nel nuorese. Ero stato contattato dal Porto Pescara e sarei dovuto andare a giocare in riva all’Adriatico. Poi mi contattò il grande Maurizio Lerario che mi conosceva e mi disse “Io ti voglio con me a Chieti”. Scelsi senza nessun dubbio, anche perché la mia fidanzata ed ora attuale moglie è di Chieti; ringraziai la società del Porto che mi aveva cercato e mi tuffai nella nuova avventura neroverde.

  

Trovi un presidente ed un D.S. neofiti nei loro incarichi ma con un amore incondizionato per la maglia. Hai percepito chiara la loro voglia di ripartire e vincere?
Trovai innanzitutto uomini di calcio, gente che aveva vissuto e fatto la storia a Chieti. Avevano una grande voglia di fare e la trasmettevano a tutti. Siamo partiti con il primo allenamento al campo di baseball di fianco l’Angelini in dodici calciatori, pian piano siamo arrivati a diciotto e abbiamo acquisito la fisionomia di una squadra vera.
Ricordo il giorno della presentazione alla camera di commercio lungo corso Marrucino. Io e gli altri ragazzi arrivavamo a piedi e da lontano sentivamo tanto vociare; avvicinandoci ci rendemmo conto che erano i cori dei tifosi! In piazza trovammo una bolgia incredibile, non volevo crederci!!! Restai esterrefatto, non avrei mai pensato ad un entusiasmo del genere in Promozione! In quel momento tutta la squadra capì che dovevamo solo vincere!!

 
17.09.2006 una data ahimè entrata nella storia della Chieti Calcio. Parliamo dell’esordio nel campionato di Promozione e della prima partita in casa di quella stagione. Le tue sensazioni prima dell’esordio all’Angelini.
Una sensazione unica! Erano anni che non vivevo certe emozioni, certi brividi…entrare in campo e sentire i cori dei tifosi mi dava una carica unica, la gente ti spinge in maniera incredibile. L’unico nostro obiettivo era fare bene e dare tutto per la gente di Chieti. Anche quando le cose non andavano alla grande la gente ci è sempre stata vicina; ricordo un pareggio a Casalincontrada abbastanza deludente. Incontrammo i tifosi all’uscita dal campo, erano abbastanza arrabbiati; quando ci videro in faccia e si resero conto che noi eravamo arrabbiati quanto loro ci incoraggiarono tanto. Ancora oggi mi capita spesso di incontrare alcuni tifosi, con loro ho mantenuto un ottimo rapporto e ricordiamo sempre molto volentieri quei tempi.

  

Il Chieti vince 2-1 ma la vittoria sarà tramutata in una sconfitta a tavolino 0-3 per un errore di tesseramento di Campagna. Considerando che alla seconda giornata il calendario presentava subito il riposo per i teatini, ti chiedo come avete vissuto quella partenza “a rilento”.
Non ce ne siamo curati più di tanto. L’ambiente ci aveva trasmesso una carica incredibile, e poi avevamo un fenomeno come allenatore: Assetta era bravissimo a darci sempre la carica giusta e a trasmetterci la voglia di fare in campo. C’era una mentalità vincente e una grandissima voglia di non deludere mai nessuno.

  

Dalla terza giornata però il Chieti parte e non si ferma più. La pressione di dover vincere per forza era più uno stimolo a migliorarsi giorno dopo giorno o un fardello da dover sopportare? Certamente una forza! Per me era uno stimolo per migliorarsi, sempre. Forse i compagni più giovani del gruppo percepivano un po’ di pressione, ma per me ribadisco che si trattava di una ulteriore spinta.

 

Eravate senza dubbio la “fuoriserie” della categoria, con le squadre avversarie che centuplicavano le energie affrontando il blasone del capoluogo teatino. Quale percezione avevate di tutto questo in campo? Ricordi qualche episodio particolare in merito?
Tutti quelli che ci incontravano davano il mille per mille. Giocavamo contro squadre mai sentite prima e l’arrivo del Chieti portava sempre tanto pubblico al campo. Ricordo trasferte abbastanza tese come a Pianella e Moscufo, ma anche a Ripa Teatina trovammo un pubblico ostico. Aggiungo che in alcune trasferte, dopo aver subito un gol, notavo che alcuni tifosi della squadra di casa sventolavano la maglia del Pescara. Ancora oggi mi chiedo cosa diavolo c’entrasse!!!

  

Grande stagione della squadra e grande stagione per te con 32 presenze e 4 reti. Quale ricordi con maggior piacere?
Non ricordo bene ma forse quell’anno feci cinque o sei gol. Quello che ricordo con più affetto è certamente il gol in casa contro il Passo Cordone. Pioveva tanto, ricordo che feci uno scatto incredibile, poi rientrai sul destro; Di Mauro mi chiamò la palla ma io decisi di fare da me. Tirai in porta, un fendente teso e rasoterra che si infilò sul primo palo tra palo e portiere. Fu una grandissima gioia essere riuscito a segnare un gol importante per la vittoria nonostante fisicamente fossi molto provato. Vincemmo 3-1…

  

La passione ed il calore del pubblico di Chieti. Che spinta vi dava andare a giocare sul campetto di provincia con 5-600 tifosi al seguito?
Enorme! Stupendo vedere tutta quella gente veicolare un entusiasmo fuori dal normale giocando su campi minori di provincia. Quei tifosi erano abituati a vedere il Chieti in serie C con grandi giocatori in campo, come nella mia prima esperienza in neroverde del 2001. Sentirli incitare con la stessa voglia e la stessa grinta ragazzi comuni come noi era commovente, e straordinario era percepire l’amore che dimostravano per la maglia che indossavamo. Noi dal nostro canto ci siamo sempre comportati come dei professionisti: doppio allenamento al mercoledì e rifinitura al sabato mattina; lo facevamo volentieri perché non potevamo deludere quell’affetto.

  

La vittoria per 2-0 del 06.05.2007 a Penne contro il Vestina sancì la matematica promozione in Eccellenza. Come hai vissuto quella domenica? Secondo te la squadra percepiva che quella vittoria non poteva essere solo un punto di arrivo ma doveva essere un punto di partenza per provare a salire ancora?
C’era un acquazzone impressionante; i nostri tifosi sulla collina adiacente il campo, tutta infangata e scivolosa. Mi sono mangiato un gol incredibile;  ricordo un traversone di Beniamino, io ero sul secondo palo ma ho visto il pallone all’ultimo secondo e non  sono riuscito ad arrivarci. I miei compagni mi hanno preso in giro per tutta la giornata per quell’errore.
Fu una festa stupenda, grande gioia per aver vinto ma eravamo consci e vogliosi di ripartire subito per vincere ancora.

  

La stagione si chiuse con la vittoria della Coppa Mancini all’Angelini il 20.05.2007, 2-1 in rimonta contro il Castel di Sangro. Il modo migliore per congedarsi dal pubblico neroverde dopo un’annata vincente. Le immagini a te più care di quel match.
Una giornata molto calda; volevamo chiudere in bellezza una stagione fantastica ed eravamo sicuri di vincerla quella partita. Alla fine grandi festeggiamenti, portammo Giustino Angeloni in trionfo e le sue lacrime di gioia furono la moneta migliore con cui essere ripagati.
Mi capita ogni tanto di incontrarlo ed ogni volta ci salutiamo e ci abbracciamo calorosamente.

 

Nuova stagione, nuovi compagni di squadra, nuovo allenatore (da Assetta a Cifaldi), stessi obiettivi. Come hai vissuto quel parziale stravolgimento?
Effettivamente l’anno successivo cambiarono moltissime cose. Arrivò Di Giampaolo ad affiancare Alessandro Battisti, Cifaldi al posto di Amedeo Assetta e tanti giocatori nuovi, alcuni di grande caratura per la categoria come Roberto Contini. Della precedente e vincente stagione rimanemmo soltanto in 7-8 elementi; ero rammaricato della cosa perché quel gruppo meritava di andare avanti unito, ma nel calcio è così. Ho avuto però modo di stringere un grande rapporto umano e professionale con il professor Maurizio Villanzola che mi ha aiutato moltissimo durante il periodo in cui sono stato ai box per problemi fisici.

  

Il Chieti domina anche il campionato di Eccellenza ed approda in serie D. Parlaci dei ricordi più belli di quella stagione e del tuo divorzio a fine anno col sodalizio di Viale Abruzzo.
Ricordo che mi ero procurato una distorsione al legamento interno del ginocchio e stavo cercando di fare il possibile per rientrare nella partita contro il Miglianico. Mister Cifaldi però sembrava non vedesse tutti gli sforzi in cui giornalmente mi prodigavo insieme a Maurizio per cercare di recuperare al meglio. Al mio posto giocava Battista; quando le cose non andavano al meglio mi è capitato di sentire dalla tribuna tifosi che urlavano “Stella entra, mettiti dentro da solo!”. Quelle frasi mi facevano molto piacere ma evidentemente avevano infastidito il mister che continuava ad ignorarmi. Un giorno Cifaldi rilasciò un’intervista asserendo che io non giocavo perché non avevo il ritmo partita. Quando venni a sapere della cosa andai da lui e gli chiesi “mister, come faccio ad avere il ritmo partita se non mi fai mai giocare?”. Lui disse che aveva sentito dal prof che io non ero pronto, allora davanti a Cifaldi chiamai il prof e chiesi a lui… e quest’ultimo “Stella sta bene può giocare!”
Rientrai contro l’Atessa in casa; al primo minuto ci fu una punizione da lontano per noi. Calciò Di Camillo, io misi il piede per deviare e sfortunatamente mi si girò il ginocchio! Cominciai a zoppicare mentre il mister mi guardava in cagnesco. Non mollai di un centimetro ed andai avanti con un dolore pazzesco. A fine primo tempo il prof mi disse “se esci ti ammazzo” per fortuna stringendo i denti ho resistito e da allora ho giocato tutte le partite fino alla fine! Per me fu motivo di grande orgoglio!
Per quanto concerne il mio divorzio dal Chieti a fine anno ci fu una storia un po’ strana. Prima di tornare in Argentina per le vacanze estive avevo chiesto a Battisti di farmi sapere qualcosa sulle intenzioni della società nei miei riguardi. Alessandro parlò col mister e mi disse di star tranquillo perché tutti volevano la mia permanenza a Chieti. Fui altresì contattato dal Casoli, ma io ero troppo contento di rimanere a Chieti e non accettai la proposta. Arrivato in Argentina appresi dai giornali che non facevo più parte dl programma tecnico della società, allora chiamai Alessandro per farmi spiegare la situazione e lui mi disse che Cifaldi ci aveva ripensato!! A quel punto richiamai il Casoli ma anche loro mi dissero di aver trovato già un’alternativa. E così tornato in Italia mi accasai insieme a Fidanza al Ripa Teatina  grazie ad Omar Trovarello.

 

Il giocatore più forte tecnicamente con cui hai giocato a Chieti.
Emanuele D’Anna era di un’altra categoria, si vedeva che aveva fatto la scuola calcio Milan. Ma ce ne erano tanti da Raffaele Biancolino a Rajcic, Romito, tutta gente che poi è salita di categoria. Ma se devo farti un nome dal punto di vista non solo tecnico ma complessivo ti dico Gianluca Cherubini! Ricordo il derby con il Pescara in casa terminato 1-1; io ero in tribuna, quella domenica ci fu parecchia maretta a causa del fatto che il presidente Buccilli diede una fetta di tribuna ai tifosi ospiti. A fine partita ero fuori dagli spogliatoi e ricordo i tifosi del Chieti fuori dai cancelli che inveivano contro i giocatori, insomma un clima caldissimo. Tanti miei colleghi andarono via alla chetichella, Gianluca rimase lì seduto sul muretto guardando in faccia tutti quelli che urlavano e contestavano come a dire “io sono qua, mi prendo le mie responsabilità,se avete qualcosa da dire…”. Da quel giorno nessuno ha più detto una parola a Gianluca. Era un giocatore duro ma che ti incuteva rispetto, anche da avversario. Mi era capitato di incrociarlo in un Arezzo-Reggiana, quando ci ritrovammo nello spogliatoio a Chieti ci riconoscemmo subito! Lui mi chiamava Renegade, ci ha sempre legato una stima reciproca che dura nel tempo. Ci siamo ritrovati in  Sardegna durante la mia esperienza sull’isola e poi a Notaresco facemmo la preparazione insieme, dopo lo sfortunato e grave problema di salute che gli accadde a Giulianova. Un grandissimo atleta, peccato per la testa un po’ pazza altrimenti avrebbe fatto molta strada.

 

Sei sempre stato un calciatore tutta grinta e carattere. Ritieni che il biennio in neroverde ti abbia migliorato dal punto di vista professionale ed umano?
Tantissimo, in entrambi gli aspetti! Mi sono innamorato dei colori neroverdi per tutto l’affetto che i tifosi e la città ci hanno trasmesso in quei due anni. Ho tanti colleghi di lavoro ed amici che tifano per il Pescara e con loro gli sfottò non mancano mai. Non riescono a capacitarsi di come un argentino possa essere così legato ai colori neroverdi ed io non perdo mai occasione per ribadire loro che io tifo Chieti! Per impegni di lavoro e familiari mi spiace non riuscire più a seguire assiduamente dal vivo le sorti del Chieti ma mi sono ripromesso di tornare il prima possibile allo stadio, ovviamente in curva Volpi. Spero di riuscirci quanto prima…

Sempre che la società di Viale Abruzzo vada avanti…
Non ci voglio nemmeno pensare, sarebbe un colpo al cuore se il Chieti dovesse scomparire nuovamente. Quello che abbiamo fatto noi nel biennio 2006-08 non lo fanno molte compagini, siamo morti e risorti alla grande e per me questo è motivo di grande orgoglio.

  

A quasi otto anni di distanza se ripensi al biennio in neroverde qual è la prima cosa che ti salta in mente?
Il primo giorno di allenamento! Come ti accennavo prima eravamo in dodici in campo; c’erano Giustino, Assetta, il prof. Maurizio e mio suocero che aveva voluto accompagnarmi.
Ricordo il discorso del mister che ci disse che con il tipo di preparazione che aveva in mente di fare saremmo partiti forte per poi avere un calo nei mesi di dicembre e gennaio per ripartire ed arrivare al top a fine campionato. Ha avuto perfettamente ragione!

 

Giochi ancora a calcio oggi?
Si. Quando i dolori alle ginocchia me lo permettono gioco in seconda categoria con il Villanova Sambuceto.

 

Qual è la tua squadra del cuore in Argentina?
Il San Lorenzo de Almagro, la squadra del papa! L’ultima volta che sono tornato in Argentina i miei hanno fatto trovare per i miei figli Manuel e Martina le magliette del San Lorenzo con i loro nomi stampati, bellissima sorpresa.

  

Parlaci del derby con l’Huracan e di come si vive il calcio in Argentina.
Il derby è una cosa indescrivibile! Cominci a sentire la tensione due o tre settimane prima. Il tifo da noi è molto caldo, molto più che in Italia; tutte le tifoserie si preparano a puntino per cercano di stupire gli avversari con le loro coreografie.
Poi all’ingresso in campo sembra carnevale, tra tamburi, rotoli di carta, trombe…sono emozioni che non puoi descrivere ma devi esserci e viverle in prima persona. Nel giorno del derby si paralizza tutto; durante la partita non vedi girare un’auto per strada, sono tutti incollati davanti alle tv a soffrire per i propri colori.
In Argentina le tifoserie si sfidano a colpi di coreografie e cori; pensa che c’è addirittura un programma televisivo che settimanalmente visita diverse curve delle squadre di Primera Division e Primera B per registrarne i cori, in modo da creare una classifica musicale mettendo in fila i più belli. Questo stimola ancor più la fantasia delle curve e le sprona ad inventare sempre motivi nuovi da cantare allo stadio.
Purtroppo spesso la rivalità accesa sfocia in violenza, un male che per ora non si è ancora riusciti ad estirpare; è un peccato che uno spettacolo così emozionante venga talvolta sporcato da pseudo tifosi che nulla hanno a che vedere col calcio.

 

Ti ringrazio di cuore Ezequiel per la bella chiacchierata. E’ stato veramente emozionante sentire trapelare dalle tue parole l’affetto che ti lega ancora ai nostri colori.
Un grande abbraccio da tutta la redazione di TifoChieti.com!
Grazie a voi ragazzi, un saluto a tutti i tifosi neroverdi.