Ciao, sono Campanilista Teatino.

Questa settimana l’approfondimento sul calcio giovanile riguarderà una nuova realtà, un progetto didattico ed educativo che qualche scuola calcio ha deciso di realizzare (ci sono due esempi anche in città).

Ne parlerò in modo abbastanza tecnico e, nonostante non sia un tema del tutto “Teatino”, vorrei lo diventasse.

Si tratta del così detto “modello brasiliano”: lavorare e formare i bambini sia sul calcio a 5 che sul calcio a 11 fino al termine del percorso Scuola Calcio, indicativamente fino ai 12 anni, per poi scegliere su quale strada proseguire.

L’obiettivo è quello di tirare fuori il meglio da ogni giocatore, sfruttando le potenzialità che potranno esprimersi meglio in una o nell’altra pratica sportiva, o addirittura usarne una per potenziare i lati deboli dell’altra.

 

Le differenze sostanziali tra i due sport sono:

-la grandezza del campo (20x40 metri calcio a 5, 45x90 calcio a 11);

-il terreno di gioco (parquet calcio a 5, erba calcio a 11);

-lo stile di gioco ed il tipo di giocatori.

Partendo dal presupposto che fino ad una certa età (10 anni circa) la grandezza dei campi usati per le partite sono i medesimi per ambo le pratiche, ciò da cui è importante partire è la possibilità di allenarsi in settimana una volta fuori all’aperto (stile calcio a 11) e una volta al coperto (sul classico parquet calcio a 5). Utilizzare campi differenti permette di sviluppare abilità differenti.

È chiaro come sia difficile per una società sportiva poter occupare o essere in possesso di due strutture, ed è forse per questo che molte non hanno e non avranno la possibilità di realizzare questo progetto.

 

Analizziamo ora quali sarebbero i vantaggi di questo modello, descrivendo gli aspetti maggiormente sviluppabili facendo allenare i bambini sul parquet e sul campo d’erba esterno.

 

-Campo coperto, parquet:

Il classico palazzetto è per definizione un ambiente stabile, dove condizioni metereologiche e ambientali non mutano l’allenamento del bambino. I punti di riferimento spaziali sono fissi così come anche le traiettorie del pallone.

Proprio per questi primi motivi, si presta bene all’ambientamento del bambino piccolo.

Altro fattore importante è lo spazio limitato. Mentre fuori si può ingrandire o gestire in modo diverso il campo, nel palazzetto lo spazio è fisso e piuttosto ridotto. Questo abitua i bambini a dover pensare ed agire velocemente per evitare il pressing avversario, oltre a sviluppare un controllo di palla più preciso di quello che può essere utilizzato su spazi più ampi.

Si sviluppa un’intensità di gioco maggiore in cui il pallone torna sui piedi dello stesso bambino più volte, inducendo anche ad una sorta di “responsabilizzazione”: in spazi piccoli l’errore diventa più evidente.

È utilissimo per migliorare la tecnica di base e la gestione del pallone.

 

 

-Campo aperto, erba:

Il campo “grande”, quello che i bambini guardano in tv e sognano di calcare da calciatori, rappresenta l’opposto di ciò che ho descritto in precedenza.

Innanzitutto sono diverse le condizioni ambientali e climatiche, il bambino nei limiti del possibile sperimenta il freddo ed il caldo, il vento e la pioggia, cercando di adattare il gesto tecnico alla situazione di gioco. È richiesta grande capacità plastica e di adattamento motorio.

Questo porta inevitabilmente ad un aumento della forza fisica, del vigore e della potenza, al contrario dell’agilità da calcio a 5.

Non a caso è evidente la differente forza fisica a contrasto e la forza di tiro durante le partite dei bambini tra una squadra di calcio a 5 e una di calcio a 11.

C’è la possibilità di ingrandire il campo portando i bambini a sperimentare un gioco su spazi ancora maggiori, un calcio più lungo e una maggiore corsa.

I punti di riferimento spaziali sono sicuramente minori e variabili, per cui l’adattamento del bambini al nuovo contesto sarà sicuramente più lento all’inizio.

 

 

Allenandosi su entrambi i terreni e mantenendo questa costante per diversi anni il bambino può crescere formando a pieno tutte quelle abilità calcistiche e motorie che sono oggi proprie dei calciatori brasiliani (che crescono quasi tutti tra Ca5 e Ca11): tecnica di base elevata indipendentemente dal ruolo, capacità di dribling, agilità, gestione del pallone, resistenza fisica.

Il calcio italiano oggi non ha più (e forse non ha nemmeno mai troppo avuto) giocatori bravi nell’uno contro uno e capaci di risolvere le partite da soli.

Perché non provarci?

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