«Proteggetemi dalla sapienza che non piange, dalla filosofia che non ride» scriveva Khalil Gibran nelle sue “Massime spirituali”. Quando domenica a pochi minuti dalla fine, ha messo di nuovo il piede oltre la linea bianca che delimita il terreno di gioco dell'Angelini, Andrea Iommetti ha pianto. E non ha alcuna difficoltà ad ammetterlo. È il 29 gennaio, si gioca Palombarese-Chieti Torre Alex (finita 2-3 con gol di Carosone, Bordoni e D'Addazio) nel campionato di Promozione e, a pochi minuti dalla fine del tempo regolamentare, il portiere di casa, Matteo Bucceroni, falcia letteralmente il centrocampista neroverde lanciato a rete causandogli la rottura del legamento crociato e del perone. È l’inizio di un calvario cominciato con un pianto di dolore e finito domenica con un pianto di gioia che ha il sorriso di un ragazzo del 1991 che in, un Chieti con 14 fuoriquota, è quasi un senatore. Un’anzianità resa ancora più forte da una sapienza e una filosofia che, maturata al sole del sacrificio, ha ancora voglia di ridere e giocare con questa maglia.

Andrea Iommetti, dopo oltre 8 mesi finalmente sei tornato! Ti sei addormentato su di un campo di terra e ti sei svegliato in uno stadio vero, con gente che urlava, ti applaudiva e incitava la tua squadra. È un sogno oppure la realtà?

«È la realtà! Sono stati 8 mesi semplicemente intensi, di crescita perché, se uno li sa prendere nel modo giusto, nel modo più positivo, ti aiutano a crescere grazie all’apporto di tutti. La squadra, i tifosi, il presidente, lo staff, la mia famiglia: tutti mi hanno aiutato! Se sono tornato è principalmente grazie a loro. Come dice una persona saggia che conosco: bisogna essere da bosco e da riviera, bisogna sapersi adattare a tutte le situazioni e prendere positivamente tutto ciò che ci succede e saper reagire. Io ho reagito e anche la squadra ha reagito alle difficoltà che abbiamo avuto ad inizio anno. Era una squadra nuova e non era facile, ma se abbiamo ottenuto questa striscia di risultati positivi, è perché abbiamo avuto una reazione importante, perché c’è un gruppo e perché c’è una squadra».

Molte si volte si pensa alla squadra che va in campo, ma non a chi rimane negli spogliatoi e prepara la partita insieme a tutti a livello mentale. Che apporto possono dare le persone come te, che hanno vissuto o stanno vivendo la tua stessa situazione come Daniele Fruci o Vito Marinelli? Che cosa possono dare alla squadra?

«Se tu vieni agli allenamenti e guardi in faccia le persone che hai nominato e anche me vedrai che non abbiamo perso il sorriso. Quella è il miglior modo per aiutare la squadra ad affrontare la settimana e le partite. È l’unico modo in cui puoi far sentire la tua presenza quando sei fuori, anche per lungo tempo come è successo a me o a Marinelli. La squadra ha il dovere di continuare a farti sentire parte integrante, ma anche tu devi mantenere il sorriso, essere positivo e aiutare i più giovani, soprattutto a livello intellettuale e psicologico. In una squadra siamo tanti e c’è sempre chi ne ha bisogno. Anche l’apporto dei magazzinieri fa tanto».

Hai lasciato un Chieti che vinceva e ritrovi un Chieti che vince anche se è profondamente diverso. Quali sono le differenze che tu vedi da spettatore?

«Il Chieti dell’anno scorso era una scommessa, da tutti i punti di vista: a livello societario, di staff e di squadra. Siamo stati bravi a calarci nella categoria, cosa non facile. L’anno scorso non era scontato vincere il campionato e abbiamo creato qualcosa di importante seguendo il nostro presidente. Quest’anno c’è una sfida ancora più importante: riprendere la fiducia della Città e io credo che ci stiamo riuscendo. Il presidente sta facendo le cose giuste e ha creato un progetto serio, con le persone giuste. Non so quante squadre in Italia possano vantare una società del genere. Abbiamo mantenuto l’ossatura dell’anno scorso, qualcuno dei ragazzi ci ha lasciato prendendo strade diverse, ma anche i nuovi sono stati scelti con lo stesso criterio: il livello umano, perché la differenza la fa il gruppo. Non è facile mettere insieme 25 persone, farle andare d’accordo e creare armonia: ci devono essere le persone giuste. Oltre i tatticismi e le individualità calcistiche, sarà questo che farà la differenza».

Il tuo è stato un infortunio grave, tra l’altro con aggravanti ulteriori e impreviste. Da tempo ti stai allenando duramente e tutti, conoscendo il suo valore, si chiedono: ma Iommetti quando rientrerà? Quando credi, in coscienza, che potrai tornare a dare il tuo contributo alla squadra?

«Ci sono stati imprevisti importanti perché non ho riportato solo la rottura del legamento crociato, ma anche quella del perone che all’inizio non era stata vista ed è stato scoperta  4 mesi dopo. Ancora non ho risolto i mie problemi al 100%, ma lavoro duro tutti i giorni e vengo seguito costantemente dallo staff tecnico. Io dico che adesso sto bene e ho bisogno solo di minutaggio. Ovviamente, per il mister non sarà facile perché siamo tanti e si stanno creando dei meccanismi, ma oggi (domenica scorsa, ndr) mi ha mandato in campo e dunque l’intenzione è rientrare il prima possibile a regime».

Per un giocatore, e ancora di più per un centrocampista, è importante non solo l’aspetto fisico ma anche quello psicologico che consente di andare a contrasto e lottare sui palloni. È la condizione fisica che crea quella mentale o invece è il contrario?

«Io credo che valga principalmente la testa. Anche quando fai gli allenamenti più duri durante la settimana, non servono a niente se non hai la testa. Se non ti applichi con la testa giusta, non ottieni i risultati. Per questo ti dico che questi 8 mesi sono stati di crescita, perché la riabilitazione che devi fare ti impone prima di tutto un grande impegno mentale. Io, per fortuna, sono stato seguito da un bravissimo riabilitatore. Anche per sopportare la sofferenza, non serve tanto essere pronto fisicamente, ma mentalmente. Io credo che questo fa la differenza».

Che cosa vuoi dire agli altri infortunati?

«Agli infortunati voglio dire di non mollare mai e che fanno parte della squadra, che ne faranno parte fino al loro rientro e che gli saremo vicini. Io so quello che stanno provando e io stesso ho accompagnato Vito (Marinelli, ndr) al centro di riabilitazione che pure io ho frequentato: ci tenevo che andasse lì perché sono veramente molto bravi. Non abbiamo mai fatto mancare il nostro supporto anche a Daniele Fruci e a Giacomo Calderaro. Anche loro devono continuare a sorridere e a prendere positivamente tutto quello che devono affrontare. Sono esperienze di vita e ti assicuro che le stanno affrontando, con il loro modo di essere e con l’aiuto degli altri».

E che cosa vuoi dire invece ai tifosi?

«Ai tifosi dico di continuare a seguirci e di aver pazienza perché questo è un campionato difficile, dove anche spendendo cifre astronomiche e facendo una squadra di categoria nettamente superiore, non saresti sicuro di vincere. Devono avere pazienza devono credere nel progetto perché già il fatto che ci sono una società così ed un progetto è importante. E poi perché ci sono le persone giuste. Devono avere pazienza e continuare a seguirci. Non sarà facile, ma chiedo loro di supportarci perché i momenti difficili ci saranno e ci devono essere per crescere davvero. Anche a loro dico di non mollare mai!»

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