Appuntamento alle 9:30 al campo di allenamento. Arriva alle 9:29, esce dalla macchina e viene verso di me: “Piacere, Gabriele Aielli”. Il nostro incontro avviene di fronte al centro sportivo di Cepagatti, davanti alla porta d’ingresso. Sopra c’è un foglio di carta plastificata dove campeggia un simbolo che non ammette ambiguità d’interpretazione: Chieti FC Torre Alex, scudetto con sfondo neroverde e  l’Achille a cavallo che ha in mano lo scudo con le 4 chiavi, che corrispondono alle 4 porte storiche della Città.

«Sono molto contento del lavoro che stiamo portando avanti – mi dice subito, invitandomi a sedere all’interno – e abbiamo rivisto tutto guardando quello che poteva essere mantenuto, ma vogliamo rivedere profondamente anche il settore giovanile con professionisti. Oggi per lavorare per i giovani non basta chi lo fa come dopolavoro, anche se con passione ed esperienza, perché con i giovani devi essere più preparato di quello che lavora alla prima squadra. Lì basta fare parte atletica, tecnica e tattica. C’è chi la fa meglio, chi meno, ma danni non se ne fanno. Con i ragazzi invece sì, e per questo occorre una grande preparazione in ogni ambito, anche in psicologia per analizzare il comportamento del ragazzo: come si comporta con i compagni? Come si comporta con gli avversari? Come si comporta con l’arbitro? E con il pubblico? E con l’allenatore? Da queste cose già vedi così se si tratta di un giocatore di prospettiva, ma per farlo occorre essere professionisti».

Come è nato l’incontro con Giulio Trevisan?

«Un giorno mi ha telefonato, ci siamo incontrati e subito ho avvertito una sensazione forte. Ho avuto parecchie chiamate, come tutti gli anni, da molte società professionistiche titolate e dilettantistiche, ma come in altre occasioni ho detto di no perché non c’erano programma né organizzazione. Penso che Giulio Trevisan sia una persona eccezionale: un esperto di tutto, con il quale puoi parlare di tutto, che ha fatto sport a livello agonistico e sa la differenza tra quello amatoriale e quello in cui si deve vincere. Sa anche che uno sport di squadra ha bisogno di molte cose per essere vincente e che non è detto che fare la quadra più forte sulla carta significhi vincere sul campo. Appena mi sono seduto, mi ha fatto tre domande e ho capito di aver trovato la mia situazione ideale, poi ci siamo visti altre volte per discutere di tutto il resto, ma in realtà mi aveva già convinto prima»

Quali sono queste tre domande?

«La prima cosa che mi ha chiesto è come vedevo il calcio. Ho risposto che per me il calcio è organizzazione, dunque è un’azienda, se lo vuoi fare come si deve. Mi ha poi chiesto che ambizioni ho e come volevo programmare un lavoro che mirasse alla crescita di questa organizzazione. Per questo abbiamo deciso di fare una D in Promozione dunque tutti ragazzi giovani, forti, che possono fare anche due categorie superiori, ambiziosi o che devono prendersi delle rivincite e poi li ho scelti anche con un altro criterio che mi ha chiesto il presidente: spendere qualcosa in più per costruire una squadra di prospettiva, che ci permetta di non rifarla daccapo il prossimo anno, sperando ovviamente che le cose vadano bene. Quest’anno abbiamo fatto un grande lavoro: è vero che è Chieti e la piazza attira, ma è anche vero che abbiamo preso giocatori di due categorie superiori che potevano scegliersi dove andare. Il presidente poi mi ha chiesto di occuparmi di tutta l’area tecnica, non ha voluto altre figure o mediatori: “Tu conosci i giocatori – mi ha detto – e tu devi rapportarti con loro, senza ulteriori passaggi”. Nel calcio funziona solitamente in altro modo e spesso l’allenatore subisce le scelte del DS e spesso ti prende giocatori che non conosci».

Capisco il suo ragionamento, ma una figura che coordini il lavoro tecnico, capace di prendere e piazzare i giocatori e che conosca il valore dei giocatori in entrata e in uscita ci vorrebbe…

«Questo sicuramente e lo faremo. Per crescere sarà indispensabile avere un direttore sportivo e io lo immagino come un allenatore che vuole diventare DS, che ragiona come me. Per chiarire il concetto: non prenderei un direttore sportivo da Lega Pro, ma un allenatore a fine carriera che sa fare il manager e conosce l’idea dell’allenatore e la sua proiezione; perché può prendermi anche il giocatore più forte, ma oltre a questo, dobbiamo prendere anche il giocatore di prospettiva. È vero che la piazza è esigente, è vero che si deve vincere, è vero che ci vogliamo provare subito, ma è vero pure che dobbiamo rischiare anche qualcosa nel costruire una prospettiva altrimenti ti ritrovi ogni anno a smantellare la squadra e a ricostruirla».

Ci presenta un po’ qualcuno dei giocatori che avete preso?

La mia idea è che l’asse centrale deve essere importante e di categoria superiore. Per questo siamo partiti da un attaccante forte come Lalli, da un centrale come D’Addazio che ha fatto la Serie D e poi dal portiere Salvatore Falso. Non so come abbia fatto a convincerlo, perché lui era in attesa di avere notizie sul ripescaggio del Fondi ed è di Gaeta, ma ce l’ho fatta. Poi ho voluto portare dentro Pergiorgio Perfetti, perché è di Chieti, vive la Città, sente la responsabilità e può responsabilizzare gli altri e credo anche che sia uno di quei giocatori che si voglia prendere le sue rivincite. Poi ho voluto Emanuele Bordoni, un altro che con queste categorie non c’entra nulla. Con lui ho avuto altri colloqui, perché volevo conoscerlo di più umanamente, ma con tutti i giocatori che non conoscevo di persona ho voluto fare almeno 2-3 incontri. Gli altri li conoscevo. E poi avevo questo pallino di Iommetti, che giudico una delle mezzale più forti in Eccellenza. All’inizio costava troppo, allora ho continuato a cercare, ma nella mia idea di squadra c’era lui e alla fine il presidente me lo ha regalato.

Ci parli dei fuoriquota

«I nostri fuoriquota sono i più bravi tra Eccellenza e Promozione, senza alcun dubbio. Antonio Valerio per me può fare la D senza problemi, e non come fuoriquota. Lui tra l’altro studia a Chieti e aveva una decina di chiamate. Lui sì che mi ha fatto sudare! Federico Sablone l’ho avuto nella rappresentativa Juniores ed è un altro che vuole rilanciarsi. Quando è venuto da me si è seduto e mi ha detto: “Mister, voglio riprendermi le mie rivincite. Capisco che giocherò in Promozione, ma lo farò a Chieti e con te”. Molti altri hanno fatto altrettanto, sia per affetto sia per come mi comporto sul campo. Io sono un martello e curo ogni particolare. Per questo ho 3-4 collaboratori, non voglio tempi morti, pretendo organizzazione e un tempo di lavoro utilizzato appieno. Andrea Giannini invece è l’affare dell’anno, una scoperta incredibile. Lui viene da Controguerra, ma dopo anni di settore giovanile professionistico tra Ascoli e San Benedetto del Tronto. Quando facevo il selezionatore, ha fatto un giorno un raduno a Ponte Vomano e, quando ho visto per la prima volta questo ragazzo ho pensato “Ma da dove è venuto questo? Da dove è uscito?”  Da allora è stato titolare inamovibile nel torneo delle regioni, uno dei migliori. Non pensavo di prenderlo e per di più a parametro zero perché i fuoriquota o non te li danno o te li fanno pagare più dei titolari. Infatti sto facendo una fatica enorme per completare la rosa con un terzino sinistro ’98. Il mio obiettivo è avere un’alternativa per tutti e tre i reparti. Voglio avere la possibilità di giocare con 6 senior davanti e una linea difensiva giovanissima. Con me il posto non ce l’ha garantito nessuno e non conta se giovane: se sei bravo giochi anche se sei un ’97, anche in ruoli delicati come quello del centrale difensivo».

Quale sarà il sistema di gioco del Chieti FC Torre Alex?

«La mia idea è di partire con il 4-3-3, come ho fatto negli ultimi anni, ma per me non è una regola assoluta. Ho preso il mio patentino di base da allenatore insieme a Vivarini e Giampaolo a 25 anni e avevo cominciato a fare scuola calcio a 21 anni, età nelle quali si fa il giocatore, ma a me piaceva fare l’allenatore. Ne ho 44, dunque sono 23 anni che lo faccio. Il primo anno che ho allenato ho vinto in prima categoria con 15 punti di vantaggio con il 3-5-2, l’anno successivo ho fatto il 4-4-2 perché non avevo i giocatori adatti per fare quell’altro sistema. Poi negli ultimi anni, con le varie rappresentative, ho giocato con il 4-3-3 o con il 4-2-3-1. Ho avuto la fortuna di avere a che fare con personaggi come Cetteo Di Mascio e Peppe Donatelli che hanno il master da 15-20 anni e mangiano pane e tattica. Anche io sono un patito della tattica, mi piace tantissimo e credo che l’organizzazione in campo valga il 50% della squadra, inoltre nei settori giovanili ho avuto la possibilità di sperimentarli molto. E non è vero che l’allenatore non conta nulla: incide moltissimo, soprattutto in queste categorie dove il giocatore è più duttile e pronto ad ascoltare. Penso che, in Serie A così come in prima categoria, il calcio è fatto di persone: la differenza la fanno la qualità tecnica e quella mentale».

Chi sono e che cosa fanno i suoi collaboratori?

«Simone Di Martino è l’analista tattico, una figura nuova. Lui è anche allenatore e ha fatto la specializzazione a Coverciano come match analyst. Avevo voluto questa figura fortemente dentro la rappresentativa, tra lo scetticismo generale, ora sono dispiaciuti che l’ho portato via e collabora con me sul campo. Inoltre abbiamo montato alcune telecamere intorno al campo per far rivedere gli allenamenti ai calciatori: sono convinto che fargli rivedere due minuti di riprese con gli errori commessi valga più di mezz’ora di colloquio individuale. Ora è di moda, ma già lo facevo 10 anni fa. Il vice-allenatore Andrea Periotto ha avuto un passato come giocatore professionista, l’ho voluto con me perché è una persona eccezionale, l’elemento di equilibrio nello staff, sia sul campo sia nella gestione. Poi c’è allenatore dei portieri, Luca Di Toro, un altro che vuole emergere e studia moltissimo. Ha già esperienze in queste categorie. È uno staff senza grandi nomi, come me, che vuole lavorare sul campo».

Questi ragazzi che cosa vogliono?

«Questi ragazzi hanno grande motivazione e hanno sposato il progetto. Questa è una parola oggi molto abusata, troppo facile da dire, ma loro hanno capito quello che devono fare e quali sono gli obiettivi di questa società e l’hanno sposati in pieno. Molti sono venuti proprio per il progetto».

Che cosa rende davvero credibile questo progetto? Come lo venderebbe a qualcuno?

«Prima di tutto c’è il capo, che è una persona estremamente seria ed affidabile, non un avventuriero. Per farti capire, lui ha voluto conoscere di persona tutti i giocatori, non al livello tecnico perché gli importava relativamente, ma come persone, dal ‘98 all’81: ha parlato con tutti. Per questo, la prima cosa che direi è: parlate con lui, guardate che persona è. È da là che parte tutto. Lui non ha voluto interferenze nella costruzione di questo progetto e ha le idee chiare: noi dobbiamo essere come il Chievo ed il Sassuolo. Lavorare ed investire nei professionisti, ma rimanendo snelli. Il presidente si occupa delle risorse umane, Filippo Di Giovanni si occupa di comunicazione e io dell’area tecnica».

A vedere la rosa, i programmi e l’organizzazione sembra che il Chieti Torre Alex non abbia avversari, ma così non è. Chi sono?

«Lo Spoltore sicuramente, perché ha 4-5 giocatori di livello superiore con un allenatore che conoscete meglio di me (Donato Ronci, ndr), poi vedo il Sulmona, che ha giocatori forti e – mi dicono – anche il Fossacesia. Temevo anche River e Sambuceto che però sono state ripescate e poi non si sa dove andrà a finire il Lanciano. Insomma, non è che abbiamo la strada libera: abbiamo una bella squadra, ma le partite vanno giocate, una per volta».

Farete amichevoli?

«Sì certo, e voglio farle tutte con squadre di categoria superiore. Ci sono allenatori che iniziano con sparring partner, ma io credo che sia una perdita di tempo e questa è una squadra sicura dei propri mezzi. Sabato prossimo faremo la prima amichevole con il Sambuceto, poi con l’Angolana e speriamo di farla anche con il Teramo e l’Amiternina».

Volete essere la prima squadra della Città. Questa cosa vi spaventa, responsabilizza o non ha importanza?

«Conta eccome! Io voglio che questa diventi la prima squadra della Città di Chieti! L’obiettivo della Società è questo. Noi partiamo dalla Promozione e non sappiamo cosa succederà dall’altra parte, ma sinceramente non mi interessa: io sono concentrato su mio lavoro e voglio che la mia squadra arrivi a raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati, in una Città e in una piazza importanti, che ha masticato calcio importante. So che la Promozione va stretta, ma questo abbiamo e da qui vogliamo partire per riportare il Chieti almeno nel semiprofessionismo e da lì ricostruire le basi per fare calcio in un certo modo, soprattutto con i settori giovanili. Oggi non si può pensare di fare calcio senza. Saranno pure frasi scontate, ma non è così perché se devi spendere per ogni fuoriquota 10mila euro a fondo perduto, è meglio investirli al proprio interno».

Che cosa si attende dalla piazza e cosa chiede ai tifosi?

«Non vogliamo che ci sia concesso nulla e la piazza non ci deve regalare nulla: noi vogliamo dimostrare prima il nostro valore, con il lavoro e i risultati sul campo. Il mio sogno è che lo stadio Angelini si riempia di nuovo, ma per riuscirci non vogliamo regali. Anche il presidente ci ha detto di guardare solo a noi stessi e alla nostra strada. Vogliamo essere la prima squadra della Città, ma lo vogliamo facendo le cose per bene e, di sicuro, senza augurare disgrazie agli altri».

Ultima domanda, da fantascienza. Se questa squadra si ritrovasse all’improvviso a fare la Serie D, che cosa succede?

«Terrei la rosa, ovviamente cambiano gli obiettivi, ma la società ha già previsto questa evenienza chiedendomi di individuare giocatori in grado di integrare il gruppo. Abbiamo già lavorato in questo senso: occorrerebbe rafforzare l’asse centrale e il parco under ma, nel caso, sapremmo già come muoverci. Ci sono molti ragazzi pronti a venire a Chieti per fare la Serie D con noi».

Due minuti prima era entrato un collaboratore che, con voce chiara aveva detto: «Mister, solo per ricordarle che sono le 10:20 e dobbiamo iniziare». «Falli cominciare, sto arrivando». Prima di lasciarci, la foto di rito, una stretta di mano e un in bocca al lupo. Sta andando verso gli spogliatoi a cambiarsi e lo chiamo: «Forza Chieti!» gli dico. Lui si gira, mi sorride e risponde: «Sempre!»

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