Ciao Alec e grazie mille per aver accettato il nostro invito!

 

Per rompere il ghiaccio parlaci della tua trafila giovanile e degli anni trascorsi a Parma.
Dopo aver fatto i primi anni nel settore giovanile del Como, a 17 anni feci un provino con la Solbiatese dove trovai Ivano Bordon nello staff tecnico e Gabriele Oriali come direttore generale, con il quale è poi nata una amicizia che ci lega ancora.
Passai poi a Parma dove trascorsi tre anni terminando la scalata delle giovanili fino alla primavera. Nell'estate 1995 fui aggregato in prima squadra e feci il ritiro precampionato con i “grandi”; ero a fianco di campioni del calibro di Faustino Asprilla, Hristo Stoichov e Benarrivo per citarne alcuni, tutti grandi protagonisti del mondiale 1994 in USA. Nella stagione successiva andai prima a Fiorenzuola, poi a dicembre mi trasferii alla Fermana e così cominciò la mia storia di calciatore professionista.


Dopo alcune stagioni tra C1 e C2 arriva la grande occasione, la serie B con una maglia pesante, quella della squadra più antica d’Italia.
Raccontaci le emozioni in quei pochi minuti del tuo esordio nella vittoriosa trasferta di Monza del 20.09.1998.
Credo di poter dire che giocare in una società gloriosa e ricca di storia come il Genoa è il sogno di tanti calciatori, sopratutto se ad inizio carriera. Ero giovane e mi ritrovai in una piazza complicata dal punto di vista ambientale, della tifoseria, con uno stadio “importante” e tanta voglia di tornare in serie A ma in un momento storico difficile. Probabilmente tornando indietro non rifarei le stesse scelte, è un po’ quello che dico sempre ai ragazzi che oggi ho in squadra a Pontedera.
Mi spiego meglio; prima di andare a Parma mi aveva cercato l’Udinese, ma io scelsi i gialloblù perché all’epoca Parma era uno dei top club italiani. Feci la stessa considerazione prediligendo il Genoa ad altre piazze che mi avevano cercato; col senno di poi dico che sarebbe stato meglio fare un passo più corto ed andare in realtà forse meno blasonate ma dove probabilmente avrei avuto più tempo e spazio per crescere ai giusti ritmi. Decisi di sposare sempre il progetto più importante, non avrei dovuto fare  salti così “lunghi”.



Quell’esordio però fu solo un cameo, dato che qualche mese dopo tornasti di nuovo al Fiorenzuola. Cosa non funzionò all’ombra della Lanterna?
E’ un po’ quello che ti dicevo, non mi sono mai ambientato alla grande; a novembre ci fu la possibilità di tornare a Fiorenzuola, un ambiente che conoscevo benissimo, e la presi al volo.

 

Se non erro avevi trovato in squadra Stefano Pioli…
Esatto! Stefano fu mio compagno in quell’esperienza, mentre nella precedente stagione a Fiorenzuola ebbi la fortuna di condividere la casa con un certo Luca Toni.  Poi luì andò a Roma con la Lodigiani ed esplose come bomber.


Varcate le soglie del nuovo millennio, la strada di Alec Bolla incrociò quella del Chieti. Come si sviluppò la trattativa? Chi devi “ringraziare” per essere approdato in maglia neroverde?
Venivo da un momento complicato. Avevo appena trascorso un’annata a Battipaglia discreta dal punto di vista del rendimento personale ma assolutamente negativa sotto tutti gli altri punti di vista. Ero senza squadra e con un contratto abbastanza oneroso dal punto di vista economico (sui livelli di quello con cui mi ero legato al grifone) appena scaduto.
Dopo aver fatto un percorso tipo il mio era difficile rientrare nel grande giro. Tramite il mio procuratore Pastorello venne fuori l’opportunità di Chieti, ma più che un vero e proprio contratto mi aveva paventato una sorta di “prova” per un paio di giorni. Arrivai il giorno della prima partita di campionato contro il Castel S.Pietro e vidi la partita dalla tribuna.
In primis parlai con mister Morganti e dopo una amabile chiacchierata per me la scelta dal punto di vista tecnico era fatta! Ovviamente dipendeva anche dalla società; parlai con il presidente Buccilli dal quale ricevetti una proposta economica di quelle che non ti fanno certo sobbalzare dalla sedia.
All’inizio rimasi un po’ scettico, poi mi passò davanti la mia carriera, pensai alla mia voglia di rilanciarmi e soprattutto alle parole del mister Morganti che mi avevano dato sensazioni molto positive e mi fecero pensare che quell’anno si poteva costruire qualcosa di importante e magico…non mi sbagliavo!


Raccontaci il primo impatto con la nuova realtà teatina; cosa ti colpì positivamente e cosa negativamente.
Le cose che mi sorpresero in senso positivo sono fondamentalmente due. Innanzitutto la sensazione di essere in un grande gruppo; ricordo che mi allenavo con i ragazzi e anche se non avevo ancora ufficialmente firmato il contratto mi sentivo già uno di loro. Grandissima unione, un legame vero tra grandi calciatori ma soprattutto veri uomini, fu una bellissima sorpresa.
La seconda fu la curva, i tifosi. Venivo da un ambiente abbastanza tranquillo come Fiorenzuola e non conoscevo per nulla le dinamiche di Chieti. Certo, conoscevo le piazze storiche vicino come Ascoli e San Benedetto ma non avevo idea di cosa mi aspettasse calandomi nell’ambiente Chieti.
Ricordo che alla prima di campionato vidi la curva piena, un gran tifo e mi chiesi “da dove arriva tutta questa gente??” Era imbarazzante vedere un tifo così per una partita di serie C2, capii di essere arrivato in una piazza dove c’era una grande passione e dissi a me stesso “questo è calcio vero!”. Dopo un impatto simile, con un ambiente così, faccio fatica a trovare aspetti negativi nella mia scelta.

 

Fin da subito presi saldamente in mano le chiavi del centrocampo dimostrandoti subito un punto fermo nella costruzione della manovra.
Quali erano i movimenti e i dettami tattici che il mister ti chiedeva di seguire come vertice basso del suo 3-5-2 molto “elastico”?
Posso affermare che il mister era proiettato in un calcio moderno, diverso da tutti quelli che avevo giocato finora. A centrocampo avevamo un meccanismo pazzesco; agivamo in tre con io vertice basso, Danilo Coppola mezzala destra e Fabio Grosso mezzala sinistra. In fase di possesso palla io e Danilo ci schieravamo uno di fianco all’altro come doppio mediano e Fabio passava a fare il trequartista inserendosi tra le linee avversarie. Questo meccanismo metteva in difficoltà gli avversari ed esaltava le doti tecniche di Fabio che faceva la differenza dietro le punte ed era veramente difficile da prendere.
In fase difensiva non avevamo problemi; alle nostre spalle avevamo delle “bestie” come Alessandro, Maurizio, Massimo, Emanuele…era una difesa molto tosta, ci dava grande affidamento, era semplice giocare con loro alle spalle!

 

Quanto erano importanti i polmoni di Danilo Coppola per la tua lucidità? Sbaglio se dico simpaticamente che lui era il braccio e tu la mente?
Confermo! Danilo di testa non ne aveva tanta (scrivilo pure è la verità) era tutto istinto. Ricordo ancora il coro “Picchia duro, picchia forte, picchia come noi ultrà” che la curva gli dedicava. Avevamo un mix di squadra micidiale; la fame, la voglia di rivalsa che ognuno di noi si portava dentro, la voglia di far parlare di noi e la grandissima unità e fratellanza che ci univano erano elementi unici. Tengo però a sottolineare che grande merito è da attribuire al mister che ci faceva stare da Dio ed era capace di far sentire fondamentale per il gruppo non solo i titolari ma anche le riserve. Un gruppo senza gelosie, in cui chi stava in panchina era contento quanto i titolari e si sentiva parte del progetto.

  

Il Chieti senza i favori del pronostico comincia a mostrare i muscoli in campionato e a far capire che sarà un osso duro per tutti.
Quanto fu importante la vittoria di Teramo alla quarta giornata di andata per la vostra consapevolezza? 
Sinceramente ci curavamo poco dell’avversario che avevamo di fronte, pensavamo solo a giocare e divertirci. Certo,eravamo consapevoli di essere tecnicamente inferiori ad altre squadre, tipo Rimini e Teramo, però non ce ne fregava nulla. Volevamo solo stare bene tra di noi, sorridere e divertirci. Ricordo partite complicatissime come Forlì o Russi, con undici giocatori avversari che si difendevano. E’ stato uno dei miei anni da calciatore, se non forse l’unico, in cui il martedì sera, dopo il primo allenamento settimanale, avrei giocato subito una partita di campionato!
Non vedevamo l'ora di scendere in campo e dimostrare il nostro valore.

 

I risultati arrivano, la tifoseria e tutto l’ambiente comincia a crederci. Sentivate la passione crescente intorno a voi?
Avevo subito capito che con un tifo così bisognava correre altrimenti le avremmo prese (…risata). Abbiamo iniziato ad ingranare, le vittorie arrivavano e ovviamente qualche presenza in più allo stadio si faceva notare. Ricordo che abitavamo quasi tutti a Francavilla e sentivamo crescere intorno a noi l’entusiasmo. Il proprietario dello stabilimento balneare, il ristoratore dove andavamo spesso a mangiare o il barista si erano fatti conquistare dal nostro modo di vivere il calcio; cominciavano ad informarsi sulle nostre gesta sportive e ogni tanto qualcuno cedeva dicendo “domenica vengo a vedervi!” anche se a pochi chilometri c’era una squadra che giocava in serie B...Eravamo contagiosi e questo ci ha molto inorgoglito.
Camminando per le vie del centro a Chieti con qualche compagno di squadra vedevamo i ragazzini che ci riconoscevano, parlavano di noi e alcuni venivano addirittura a chiedere autografi! In quei momenti mi sentivo spiazzato da tanto affetto, mi chiedevo “io non sono nessuno, un semplice giocatore di C2,come può essere che accada tutto questo??”
Aggiungo ovviamente la curva che ci ha sempre sostenuto e ci è sempre stata vicina. Una piazza come Chieti, come ce ne sono altre nel nostro panorama calcistico di provincia, meriterebbe uno spazio diverso. Ricordo il presidente Buccilli era praticamente solo dal punto di vista economico; in piazze come queste o trovi la persone tifosa passionale che mette corpo, anima e soldi nella sua squadra di calcio altrimenti è difficile riuscire a calamitare aiuti dall'esterno. Oggi vivo la realtà di Pontedera e ti dico che tolti quei 7-8 soci che appoggiano il presidente e che fanno parte del tessuto economico della città, dall’esterno non arriva praticamente nulla.  Chieti è stata sfortunata, con un ambiente così meriterebbe di sognare e di raggiungere qualcosa di importante. Per il mio lavoro vedo tante piazze nel girone B e devo ammettere che il Chieti ci starebbe alla grande in Legapro. Ti racconto un piccolo aneddoto: in quella fantastica stagione avevamo come sponsor la Dayco. Bene, quando sono stato ad Ivrea il mio presidente era Giuliano Zucco, amministratore delegato della Dayco appunto, che nonostante avesse il sito produttivo a Chieti venne ad investire ad Ivrea.


Il dott. Zucco si era già avvicinato alla Chieti Calcio a metà degli anni 90 come sponsor, sotto la presidenza del dott. Mancaniello.
In quel periodo in squadra giocava suo figlio Andrea, buona tecnica ma certamente non un giocatore capace di fare la differenza e di caricarsi sulle spalle la squadra.
Ci ho giocato anch’io ad Ivrea, lo conosco bene e confermo le tue impressioni su di lui.

 

Ricordi il tuo unico gol di quella stagione?  Raccontaci l’azione e le tue sensazioni subito dopo la marcatura.
Fammi pensare…certo, il gol ad Imola! Perdevamo 1-0 per una “cappellata” di Santoni e con la mia rete riequilibrammo il risultato. Non mi capitava tutti i giorni di segnare e soprattutto di dedicare la rete ad un compagno di squadra. Ricordo bene che dopo il gol andai da Nicola per rincuorarlo dell’errore fatto come per dirgli “tranquillo, ho messo io le cose a posto”.
Questo ti fa capire che tipo di legame c’era in quello spogliatoio.


A testimonianza di quel legame ricordo te e Maurizio Lauro di fianco ai ragazzi della Volpi nella vittoriosa trasferta di San Marino. Seguiste il primo tempo nel settore ospiti (tu eri squalificato e Maurizio infortunato se non vado errato) facendo il tifo per i vostri compagni, a testimonianza di una unità di intenti fortissima e di un gruppo meraviglioso. Esagero se lo definisco fraterno?
Assolutamente no! Pensa che abbiamo un gruppo su whatsapp che si chiama “banda teatina 2000-2001 i fratelli” e ci teniamo in contatto giornalmente. Ci sono un po’ tutti da Barni, Battisti, Sanguinetti, Grosso, lo stesso Morganti…e per dirti, solo ieri avevo 99 messaggi!
Eravamo veramente 23-24 fratelli e non esagero se dico che consideravamo fratelli anche i nostri tifosi.  E’ vero, quando le cose vanno bene è tutto più facile, ma loro non ci hanno mai fatto mancare il loro appoggio nemmeno nei momenti meno positivi.
Sapevano che qualsiasi fosse stato il risultato, qualsiasi cosa fosse accaduta in campo noi avremmo dato tutto per la maglia che amavamo, quella maglia che per noi era il nostro Real Madrid.

 

Dopo aver visto sfumare la promozione diretta, avete mai avuto paura di non farcela a vincere i playoff ?
Ricordo che a due o tre giornate dalla fine il Lanciano giocò una partita di sabato; in classifica eravamo a pari punti ma per via degli scontri diretti, se fossimo arrivati appaiati in graduatoria come poi è successo, loro sarebbero arrivati primi. Noi eravamo in ritiro e venimmo a conoscenza della loro vittoria; fu allora che ci dicemmo “arriveremo primi insieme, vinceranno loro, ma noi questo campionato lo vinciamo lo stesso ai playoff!”
Eravamo molto consapevoli della nostra forza; certo dopo aver affrontato il Prato bisognava andare a Teramo e sapevamo che sarebbe stata una partita dura, in un ambiente ostile, in un catino così piccolo ed infuocato ma non abbiamo mai avuto pensieri negativi perché la nostra convinzione di vincere era più forte di tutto e tutti.
Ti dirò di più; un giorno Alessandro Battisti negli spogliatoi, al termine della regular season, ci disse che giocare i playoff  significava trascorrere un altro mese insieme e giocare ancora quattro partite l’uno di fianco all’altro, una chiave di lettura che trovò tutti d’accordo.

  

Quali sono le immagini a te più care degli spareggi promozione contro il Teramo e dei relativi festeggiamenti?
La coreografia col Teramo nella finale playoff fu fantastica. Rimasi colpito dal settore distinti, stracolmo all’inverosimile. La curva era quasi sempre piena e non era una novità, ma all’ingresso in campo vedere tutta quella gente ai distinti mi impressionò. Ho ancora i brividi se ripenso a quella partita, per fortuna di tutti entrata nella storia!
Alla fine fui preso in braccio da tanti tifosi che mi portarono in trionfo, poi i festeggiamenti in piazza la sera, indimenticabile!
Una gioia, un’emozione così non ha prezzo, non la baratterei nemmeno per tutto l’oro del mondo!Auguro a tutti quelli che giocano a calcio di provare delle sensazioni così!

 

 

Ringraziamo nuovamente Alec per la sua disponibilità. Purtroppo i suoi numerosi impegni di lavoro non ci hanno permesso di completare l’intervista con altre curiosità. Speriamo di poterlo fare quanto prima per dare a tutti voi un quadro più completo di uno dei protagonisti della prima indimenticabile stagione del nuovo millennio.

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