Buongiorno mister e grazie di cuore per aver accettato il nostro invito.

Capitolo I: Gabriele Morganti calciatore. Quando e come si è sviluppata la sua passione per il calcio?
L’ho sempre avuta dentro sin da bambino. La mia famiglia non era d’accordo sulla mia scelta di giocare a calcio e cercò di ostacolarmi, ma la passione e la forza che avevo dentro mi fecero andare avanti.
Poi vedendo che ero bravino a 12 anni feci un provino al “Nucleo Addestramento Giovani Calciatori” a Senigallia; mi presero e da lì cominciò la mia avventura.

Chi era il suo idolo da bambino?
Gigi Riva, anche se i nostri ruoli erano diversi l’ho sempre ammirato come calciatore e come uomo.


Gli esordi a Cesena in serie B; ci racconti del suo inserimento in uno spogliatoio di grandi nomi come Pierluigi Cera, Beppe Dossena o il compianto Carlo Petrini.
Arrivai a Cesena all’età di16 anni; giocavo in primavera e alle volte ci allenavamo con i giocatori della prima squadra.
Questo mi diede la possibilità di sbirciare e carpire i segreti dei grandi giocatori, cosa che fu fondamentale per la mia crescita sportiva.
Pierluigi Cera era un esempio per me ma con tutti si viveva un rapporto ricco di umanità: ci si confrontava e si aveva così modo di arricchirsi giorno per giorno.

 

Nel corso della sua carriera è riuscito ad assaporare i grandi palcoscenici della serie A; 44 presenze divise tra Catanzaro, Como e Cesena. Qual è stato il calciatore più difficile da fronteggiare?
Ho avuto il piacere e l’onore di confrontarmi con grandissimi calciatori, anche se, giocando da libero, non avevo compiti fissi di marcatura.
Il primo che mi viene in mente è un attaccante che non ebbe molto successo, sicuramente meno di quanto ne meritasse. Giocava nel Milan…

Non mi starà mica parlando di Egidio Calloni?
Ah no, con Calloni giocai insieme a Como. Parlavo di Joe Jordan, lo squalo; Jordan veniva da un calcio, quello anglosassone, completamente diverso dal nostro: grande forza e grande presenza fisica, un osso durissimo da fronteggiare sulle palle inattive.
Altro cliente non simpatico era Boninsegna; un attaccante duro, tosto, che picchiava molto.

 

Quale fu invece l’avversario più signorile e corretto in campo?
Te ne direi un paio; Scirea e Baresi, anche se il più signore è stato senza dubbio Gaetano, un signore fuori e dentro il campo.

 

Una curiosità: nel campionato 1980-81, stagione del suo esordio in A a Catanzaro, molti dei suoi compagni di squadra sono poi diventati allenatori come lei: Claudio Ranieri, Piero Braglia e Angelo Orazi (passati anche da Chieti) Leonardo Menichini. Puro caso o merito anche degli insegnamenti di mister Tarcisio Burgnich?
Effettivamente anch'io l'ho notato. Non credo dipenda dall’essere stati guidati da Burgnich ma piuttosto dalla passione che molti di noi ci portavamo e ci portiamo dentro per questo sport.
Anni fa, prima di arrivare ad allenare a buoni livelli, dovevi capire di calcio e soprattutto fare gavetta e studiare tantissimo; si emergeva per meriti e capacità conquistati “sul campo”, al contrario di oggi che spesso si bypassano queste fasi fondamentali di studio e ci sono persone che allenano perché portano sponsor alle società o sono in qualche modo raccomandati da faccendieri ed intermediari di mercato.
Aggiungi che dal punto di vista economico il trattamento da calciatore di serie A non era nemmeno paragonabile a quello odierno e quindi bisognava pensare anche al futuro.
Tuttora conservo un ottimo rapporto con quei compagni di squadra e quando ci si incontra per qualche motivo, cito in particolare Menichini e Claudio Ranieri, ci si confronta apertamente sulle nostre idee di calcio senza gelosie ed invidie verso quello che fanno gli altri.

 

Dopo varie esperienze in C1 e C2 (cito tra le altre Caserta e Salerno) nel 1989 approda alla corte del patron Mario Mancaniello. Quali furono i motivi che le fecero sposare il progetto Chieti?
Sicuramente la serietà e la forte motivazione verso la vittoria che dimostravano il dott.Garzelli e il patron Mancaniello, ma in generale di tutto l’entourage dell’epoca. Era una grande azienda, una società quadrata e si creò un gran gruppo che fece la storia in quei quattro anni.

 

Stagione 1989-90; l'obiettivo sfugge all'ultima giornata. In cosa difettò secondo lei quel Chieti? Quale fu il tassello mancante per completare il puzzle promozione?
All’Angelini eravamo un rullo compressore, ricordo benissimo che vincemmo 15 partite sulle 17 disputate in casa.
Fuori casa il rendimento non fu purtroppo lo stesso; secondo me si puntava troppo sulle qualità del singolo senza cercare di sviluppare un gioco di squadra. Il Baracca Lugo, guidato da Alberto Zaccheroni, era forse meno forte di noi dal punto di vista dell’organico ma aveva un gran gioco; se il Chieti non vinse quell’anno probabilmente a conti fatti non lo meritava.

 

La stagione seguente fu quella del riscatto, e che riscatto! Il Chieti dominò in lungo e largo il campionato facendo registrare sin dalle prime giornate un ruolino di marcia inesorabile nella sua regolarità. Quale fu la settimana più difficile da affrontare mentalmente e a quale partita faceva da preludio?
Dopo la promozione sfuggita all’ultimo istante l’anno prima, riconosco la grandezza di Mancaniello e Garzelli che decisero di tenere quel gruppo integrandolo con l’arrivo di alcuni elementi come Cavezzi e Picconi. Andò via Corrado Baglieri e tornò Sgherri, e poi come ricorderete arrivò Ezio Volpi. La domenica precedente l’inizio del campionato giocammo una partita di coppa Italia a Teramo perdendo non solo nel punteggio ma anche e soprattutto dal punto di vista del gioco.
La domenica successiva ci recammo nuovamente a Teramo per la prima di campionato. Volpi fu geniale perché studiò degli accorgimenti tattici che ci fecero vincere la partita; schierò Colazzilli al posto di Andrea Pallanch per meglio contenere la loro ala sinistra e cercò di lasciare più spazio dal punto di vista tattico a Vincenzo Feola che nemmeno a dirlo siglò un gol bellissimo con un bolide da fuori area.
Quel Teramo era una grande squadra con Enrico Chiesa in campo e Luigi Del Neri in panchina, ma noi riuscimmo in una settimana a cambiare completamente mentalità; loro si trovarono di fronte un Chieti totalmente diverso, vincemmo 2-0 con merito.

 

Lei era uno dei più esperti insieme a Giovanni Pagliari e Dario Marigo di quello spogliatoio, oltre ad esserne capitano; si sentiva un po' la chioccia, l'esempio per i più giovani?
Il gruppo fu il segreto di quei quattro anni fantastici, si faceva sempre tutto insieme. Pensa che quando avevamo doppia seduta di allenamento, dopo quella del mattino andavamo tutti a pranzo insieme e tornavamo allo stadio anche un’ora e mezza prima del dovuto per giocare a calcio tennis negli spogliatoi o semplicemente per parlare e stare uniti.
Mi sentivo veramente il capitano di quel gruppo e mister Volpi aveva un profondo rispetto verso tutti noi; quando c’era qualcosa che secondo me non andava chiedevo il permesso al mister di parlare io in prima persona alla squadra e lui me lo permetteva. Così se ritenevo necessario richiamare qualcuno o compattare lo spogliatoio lo facevo senza problemi o gelosie di sorta. Volpi aveva capito quanto era importante ed unito quel gruppo e ci lasciava fare, i risultati poi gli diedero ragione.

 

Chieti ritrova la C1 dopo undici anni, i tifosi sognano traguardi grandiosi. Tralasciando l'incredibile serie di infortuni che flagellò i neroverdi, quella formazione aveva secondo lei lo spessore umano, professionale e tecnico per ambire a categorie mai assaporate prima?
Dal punto di vista umano e professionale certamente sì ma ad essere sinceri dal punto di vista tecnico per me mancava qualcosa.
Senza tutti quegli infortuni avremmo fatto un grande campionato, sicuramente da parte sinistra della classifica e magari a ridosso delle prime ma non credo che avremmo avuto la continuità e la forza per arrivare a vincerlo.

Il suo mestiere non è mai stato quello di fare goal, ma se le dico 25.04.1993 cosa le torna in mente?
Ah Ah…Chieti-Catania 1-0, gol mio al 89° minuto. Ricordo verso la fine della partita che la curva cantava “Tutti a Ponsacco” pensando che l’anno successivo, vista la probabile retrocessione, il Chieti sarebbe andato a giocare in C2 in Toscana.
Poi arrivò quella vittoria insperata, la domenica successiva vincemmo ad Ischia 2-1 e poi in casa battemmo il Casarano. Ci tirammo così fuori dalla zona caldissima e nell’ultima giornata a Palermo (con i padroni di casa già promossi in serie B) grazie al gol di Labadini pareggiamo e ci salvammo.
Sapevamo che a fine stagione quel gruppo si sarebbe dissolto; purtroppo si sentivano i problemi economici della società ma noi come gruppo ci dicemmo <<Salviamo il Chieti, poi quello che sarà, sarà!...>> In quella partita feci di tutto; picchiare duro gli avversari, minacciarli, ed alla fine riuscimmo a strappare quel 1-1 che significò obiettivo raggiunto.
Era il 30 maggio 1993 e la soddisfazione più grande fu tenere fede alla promessa che quel gruppo si era reciprocamente fatto.

Un suo ricordo umano e professionale dei Signori Ezio Volpi e Gianni Balugani.
Ezio Volpi all’inizio aveva molte remore nei nostri confronti ma una volta capito di che pasta eravamo fatti si tranquillizzò. Una cosa però la ricordo: tutti i venerdì s'inventava un motivo per incazzarsi con noi, anche il più puerile partendo da una nostra piccola disattenzione o risata. Ovviamente lo faceva per stimolarci e per tenerci sempre sulla corda; quell’insegnamento mi è stato di grande aiuto sia come calciatore che nella mia successiva esperienza in panchina.
Balugani era un uomo tutto cuore, anima e spirito di gruppo; per lui era fondamentale aiutarsi e lottare tutti insieme.

 

Capitolo II: Gabriele Morganti direttore sportivo. Chi ebbe l'idea di mettere nelle sue mani il mercato della società neroverde nella stagione 1996-97? Quando le arrivò la proposta fu più stupito o più gratificato?
Per me fu una sorpresa! Mi chiamò Claudio Garzelli mi tenne un’ora e mezza al telefono per spiegarmi le sue ragioni. Disse che l’ambiente era un po’ sfaldato, c'era contestazione e pensò che io, per la mia serietà e per quello che avevo dato al Chieti, potessi essere l'unico in grado di metterci la faccia e riportare credibilità in una piazza scontenta. Accettai in maniera del tutto incosciente per via della fortissima riconoscenza che nutrivo nei suoi confronti e in quelli del patron Mancaniello; avevo trascorso con loro quattro anni fantastici dal punto di visto umano e calcistico e grazie a loro quei quattro anni furono stupendi dentro e fuori dal campo, non potevo dire di no!

 

Nonostante la ridotta disponibilità economica, lei riuscì a mettere a disposizione di mister Ettore Donati un gruppo che si fece rispettare: tanti giovani esordienti, per lo più sconosciuti, tra cui spiccava un giovane Juri Tamburini che ha calcato nel proseguo della sua carriera il palcoscenico della serie B. Quale fu la scommessa vincente che le diede maggior soddisfazione?
Effettivamente eravamo riusciti a creare un buon gruppo. Ricordo che contattai il responsabile del settore giovanile del Cesena chiedendogli qualche giocatore da far maturare in C2 e così arrivarono Arrigoni e Tamburini. Poi presi Gennari, grande e possente attaccante, che fece tante stagioni in C1 esordendo anche in B con la Triestina. Ma se devo fare un nome direi senza dubbio Alessandro Bellemo; per me era un grande giocatore, la sua presenza davanti alla difesa si sentiva. Mister Ettore Donati era un po’ scettico in quanto non lo conosceva ma quando lo vide giocare lo mise titolare e non lo tolse più. Fu veramente una bellissima annata.

Pochi ricordano che quel Chieti riuscì nell'impresa di conservare inespugnato il Guido Angelini per tutta la stagione, passando anche dal rocambolesco pareggio contro l'Altamura del 20 ottobre 1996. Cosa ricorda di quella rimonta per cuori forti che portò al 2-2 finale?
Devo dire che non ricordavo questo particolare e mi fa piacere che tu me lo faccia notare. Quella partita fu incredibile, la testimonianza che il calcio è uno sport senza regole; perdevamo meritatamente 2-0 praticamente al 90°, poi segnarono in due minuti Altomonte ed Arrigoni e pareggiamo sul filo di lana. Mi verrebbe da dire il bello e il brutto del calcio, veramente pazzesco.

Capitolo III: Gabriele Morganti allenatore. Intanto le chiedo se l'esperienza da DS le ha fatto capire che l'allenatore era la professione che le si addiceva maggiormente o se aveva già cominciato a pensare che sarebbe stato il suo lavoro “da grande”.
Quell’anno da direttore sportivo fu soltanto un episodio, una proposta che come dicevo poco fa accettati per dare una mano. Fare il DS non mi si addice; devi parlare con tanta gente, passare tanto tempo al telefono, un lavoro diciamo“politico”. Io invece amo i rapporti schietti e diretti senza troppi compromessi, mi piace stare in campo, allenare, creare gruppo e mentalità vincenti con i giocatori che ho a disposizione, insomma è il lavoro che preferisco e quello che avevo sempre pensato avrei fatto da grande.

 

Dopo le prime esperienze nella sua Senigallia nella stagione 2000-01 il filo conduttore che la lega indissolubilmente alla storia della Chieti Calcio la riporta nuovamente in viale Abruzzo. Da chi fu contattato e cosa la convinse ad accettare?
Avevo allenato un anno a Marotta vincendo il campionato di prima categoria, poi tre anni a Senigallia e poi arrivò la proposta del Chieti.Mi chiamò Sergio Zappalorto per avvisarmi che mi avrebbe chiamato il presidente Buccilli per propormi la panchina. Per me che sono un sentimentale sentire parlare di Chieti mi fece enormemente piacere.
Riconosco altresì che questo mio essere “romantico” mi ha portato a sbagliare tante scelte professionali in futuro, in quanto sono stato portato spesso a decidere con il cuore quando invece alle volte occorre essere più cinici ed equilibrati. Per farla breve ci incontrammo ad Ascoli col presidente, io gli spiegai quali erano i miei progetti e trovammo subito l’accordo.

 

Con un manipolo di giovani di belle speranze e qualche “senatore” il Chieti comincia il ritiro; onestamente con il materiale umano che aveva a disposizione al 30 agosto avrebbe mai immaginato di poter vincere il campionato?
Sinceramente direi proprio di no. Se non erro erano solo in tre i giocatori sotto contratto con il Chieti: Battisti, D’Amico e De Matteis, il resto era tutto da creare. Andammo a pescare giocatori che avevano bisogno di rivincite, reduci da brutte stagioni passate in cui nessuno credeva più e scommettemmo sulla nostra capacità di rivitalizzarli e motivarli. Arrivarono quindi Drago, Bolla, Coppola, D’Anna, Barni, Lauro,Gambadori e tanti altri. Trovai subito un gruppo pronto al sacrificio e molto disponibile. Te ne racconto una...Parlai con Fabio Grosso che avevo sempre visto giocare nel 4-4-2 largo a sinistra; gli spiegai che io lo vedevo più in mezzo al campo, viste le sue capacità tecniche indubbie, e che volevo provarlo in un 3-5-2 a supporto degli attaccanti. Mi disse subito di sì a parole e tradusse in campo quanto ci eravamo detti con grande abnegazione.
Un giorno dissi all’allora DS Traini e a Buccilli che vedevo crescere i ragazzi di settimana in settimana, che si era creato un grande gruppo e che ce la saremmo giocata con tutti fino alla fine…avevo visto giusto!

 

Riporto dalla sua tesi di master “Didattica difensiva nella difesa a 5” un passo che mi ha molto colpito: <<Io amo avere, se possibile, una squadra che mi rappresenti; che quando gioca dimostri di avere carattere, rabbia, fame e soprattutto uno spirito di gruppo eccezionale: in poche parole che abbia e si veda un’anima>> Non credo di essere capace di trovare una definizione migliore di quel Chieti!
Furono “solo” quelle le caratteristiche vincenti o c'è dell'altro?

Direi di no, questa estrapolazione che hai fatto è perfetta!! Pensa che negli anni a seguire quando le cose per il sottoscritto dal punto di vista professionale non andavano benissimo, ricevevo spesso messaggi dai ragazzi che avevano fatto parte di quel gruppo meraviglioso. Tutti mi incoraggiavano e mi dicevano che il problema non ero io ma il fatto che non avevo più trovato dopo quella stagione un gruppo di venti giocatori compatto e determinato come loro. Si creò un’alchimia irripetibile, un rapporto di stima e fiducia che tutt’oggi ci lega.

Se non erro lei ha conseguito il master nel 2003; le chiedo quindi se la frase appena riportata è frutto del suo credo da sempre e quanto l'esperienza della promozione in C1 a Chieti ha modificato, rafforzato o stravolto il suo credo tattico.
Faceva già parte del mio modo di essere stato giocatore capitano e poi allenatore. Per me è fondamentale che il gruppo si faccia rispettare e dimostri di essere forte anche e soprattutto contro chi lo sottovaluta. A proposito di questo ti racconto un aneddoto legato alla trasferta vittoriosa di Teramo; sul giornale venne pubblicata un’intervista a Camorani, ex giocatore del Teramo, che ci riteneva un fuoco di paglia. Io ritagliai l’articolo e lo tenni ben nascosto; il giorno della partita negli spogliatoi lo appesi alla lavagna e dissi ai ragazzi: <<Questo è quello che pensano di voi, facciamogli vedere che la paglia è dura da bruciare!!>> Ricordate tutti com’è andata…

 

Mi permetto di dirle che secondo me il suo più grande pregio fu quello di infondere alla squadra il senso di appartenenza ai colori neroverdi.
Identità e senso di appartenenza sono fondamentali, per me che amo quei colori e sono quasi una seconda pelle ancora di più! Probabilmente è vero, sono riuscito a far capire ai miei ragazzi cosa significa indossare quella maglia!


La sua squadra suonava come uno Stradivari; la sua difesa a 5, o come la definisce lei stesso a 3+2, un centrocampo di piedi buoni e di combattenti, un cecchino infallibile in attacco, il tutto condito dalla tecnica di un n.10 di altra categoria. Quale partita le fece dire “Yes we can!” ci siamo anche noi per la promozione?
La prima che mi viene in mente è la partita di Viareggio. Vincemmo uno a zero con un grandissimo gol di Fabio, sicuramente il più bello della stagione. Una punizione fantastica, dal vertice destro dell’area di rigore; avrebbe potuto tirare Max Barni, anche lui molto bravo sui calci piazzati, poi partì Fabio e disegnò una parabola imprendibile che si infilò sotto il “sette” dalla parte opposta. Poi Santoni sventò anche un calcio di rigore, non giocammo benissimo ma vincemmo ed è quello che conta.

 

In tribuna c’era anche Marcello Lippi ad assistere alla nostra vittoria.
E’ vero, ne sono venuto a conoscenza qualche giorno dopo. Chi l’ha visto me lo ha descritto come molto interessato a prendere appunti sul suo taccuino, chissà chi stesse “spiando”… Tornando alla domanda iniziale, col passare delle giornate ci rendevamo conto che si riusciva spesso a giocar bene e vincere ma cosa che più conta si riusciva a vincere anche giocando male. Un’altra vittoria che ricordo con molto affetto fu quella di Firenze sulla Rondinella; loro erano una grande squadra, avevano Tavano e Barzagli, ma con un secondo tempo fantastico riuscimmo ad espugnare il “Franchi” per 0-2.

 

A chi si è ispirato per creare uno “strumento” tanto accordato quanto efficace?
All’epoca in tanti erano innamorati del 4-4-2. Io ero convinto del mio 3-5-2, preferivo avere due punte strette vicine tra loro e gli esterni ricchi di qualità che “andavano” tanto e si inserivano appena possibile. Il Brescia di Carletto Mazzone e il Perugia di Serse Cosmi erano per me le migliori espressioni del modulo che io amavo maggiormente, ma riconosco che il primo ad interpretarlo in modo moderno ed efficace fu Nevio Scala col suo Parma.

 

Dal punto di vista tecnico-tattico, di quale match di quella stagione è particolarmente soddisfatto per le sue scelte?
La prima in casa contro il Castel S.Pietro. Soffrimmo molto nel primo tempo perché loro avevano un regista basso che faceva girare molto bene la squadra e che noi con il nostro schieramento non riuscivamo a limitare. All’intervallo inserii Barni sulla corsia di sinistra passando dal 3-5-2 al
3-4-1-2 e piazzando Fabio Grosso dietro le punte col compito di andare a disturbare il loro regista in fase di impostazione. Mossa azzeccata che cambiò la partita, secondo tempo dominato e 2-0 finale.

Quale invece la fece più arrabbiare con se stesso?

Sbagliai completamente la partita di ritorno contro il Lanciano. Loro giocavano con una difesa particolare che non faceva mai l’elastico; una volta persa palla rimanevano alti cercando di mandare subito in fuorigioco gli attaccanti avversari. Avevo studiato delle contromosse chiedendo agli attaccanti di rientrare molto per creare spazio per gli inserimenti delle mezzali, sperando di prendere alle spalle la difesa frentana.
Le cose non andarono come volevo, così alla fine del primo tempo tolsi Aquino e Sanguinetti inserendo altri due centrocampisti in modo da non dare punti di riferimento in attacco ma la mossa non produsse gli effetti sperati e perdemmo 1-0.

 

Chi fu la prima persona che ha abbracciato dopo il triplice fischio in quel torrido pomeriggio del 17 giugno 2001? Quali invece i complimenti che le ha fatto più piacere ricevere?
Non saprei dirti chi ho abbracciato per primo, sicuramente ho abbracciato un milione di persone. Dopo il fischio finale corsi subito negli spogliatoi a sfogare una gioia incredibile con tutto il gruppo, per poi tornare sul terreno di gioco e festeggiare con tutti i tifosi.
I complimenti più belli sono stati quelli della gente di Chieti; dopo la vittoria mi portarono in trionfo e vedevo nei loro occhi una gioia irrefrenabile. Il Chieti arrivava da due anni di playout e non era di certo partito per vincere il campionato; io ovviamente conoscevo benissimo l’ambiente per averlo già vissuto da calciatore e da DS e la mia gioia più grande fu l’essere riuscito a regalare a tutti ,quei momenti di estrema serenità che nella vita quotidiana non è facile vivere. Ecco, quella serenità è la cosa che mi ha gratificato di più!

 

Ci spieghi perché a fine stagione decise di non proseguire il suo rapporto professionale con la società teatina.
Col senno di poi riconosco che fu un mio errore; cominciai così a sbagliare le mie decisioni professionali, costante che mi sono portato dietro per diversi anni di attività. Sapevo che tanti giocatori artefici di quel miracolo avrebbero lasciato il Chieti ed io non volevo rovinare il ricordo di un’annata meravigliosa.
Andai via convinto che quell’ambiente non si sarebbe potuto riformare l’anno successivo ed invece avrei fatto meglio a restare e fare una stagione di esperienza in C1 per maturare e migliorare. Invece scelsi una società carica di debiti, con giocatori non giovanissimi e con contratti molto gravosi dal punto di vista economico mentre io avrei preferito investire sui giovani, e l’avventura finì male.
Addirittura in quell’estate mi cercò Gaucci ma io stupidamente non andai nemmeno a parlarci in quanto ero già in parola con l’Aquila, ma la parola va data solo a persone serie e di cui ci si può fidare e non, come ho fatto io in quel frangente, a persone che poi si sono rivelate totalmente diverse dall’apparenza.

 

Ma “Certi amori non finiscono”parafrasando Antonello Venditti e nella stagione 2005-06, dopo le esperienze de l'Aquila, San Marino e Fano, lei torna nuovamente sulla panchina neroverde. Un annus horribilis che si conclude con l'ultimo posto in graduatoria e con il successivo fallimento. Cosa l'ha più addolorata di più in quell'annata?
Mi richiamò Buccilli come per darmi un'altra chance. Tornai volentieri a Chieti ma in tutta onestà in quella stagione fu obiettivamente un miracolo lottare con le altre fino a due o tre giornate dalla fine per cercare di disputare i playout. La squadra era abbastanza povera dal punto di vista tecnico, gli unici secondo me in grado di reggere una C1 erano Domenico Di Cecco e Virdis. Le cose non andavano per niente bene, c’era contestazione e mi spiace che sia finita così male. Coi tifosi il rapporto cominciò ad incrinarsi, capisco che quando le cose vanno male ci si dimentica di quello che è stato e che la cosa importante non sono le persone che passano ma il Chieti che resta. La cosa però non poteva lasciarmi indifferente e mi amareggiò molto.

Il romanzo però non è completo e si arricchisce di un capitolo che ha lasciato molti di noi esterrefatti. Parliamo di luglio 2013 e del suo ritorno a Chieti prima dato per certo e poi incredibilmente sfumato. Faccio appello alla sua onestà d'animo per capire come siano andate le cose; quale fu secondo lei << la serie di situazioni impossibili da preventivare dal sottoscritto, che mi hanno indotto a decidere per un cambio di rotta>> come lo stesso Bellia le definì all'epoca? E’ vero che lei arrivò a Chieti per firmare il contratto ma trovò il cancello dello stadio chiuso e nessuno che lo attendeva?
Ti racconto come sono andate effettivamente le cose. Intorno a metà luglio mi arrivò una chiamata da un numero che non conoscevo, era il presidente Bellia e stentai quasi a crederlo. Mi disse che stava partendo da Chieti per raggiungermi e mi chiese di trovarci a metà strada per propormi di allenare il Chieti. Mi catapultai all'appuntamento, felice per la chiamata ricevuta; ci accordammo in un attimo, gli dissi <<Presidente, io firmo anche in bianco mi dia quello che lei pensa>> tanto era il mio entusiasmo di tornare e la gioia per la nuova opportunità che mi era stata proposta.
Bellia mi disse che la mia presentazione a stampa e tifosi era fissata per il giorno 20 luglio e mi chiese di scendere un giorno prima per mettere nero su bianco e cominciare ad imbastire qualche idea per il mercato.
Sapevo inoltre che era in cerca di un DS in quanto Alessandro Battisti aveva deciso di lasciare, stanco della situazione. Avevo anche tentato di persuaderlo da quella decisione, sarebbe stato bello lavorare insieme, ma Alessandro fu irremovibile.
Appuntamento fissato alle ore 11 allo stadio Angelini; arrivai con qualche minuto di anticipo, parcheggiai di fronte all’ingresso della tribuna e trovai un gruppo di ragazzi con le maglie neroverdi che giochicchiavano all’interno della struttura. Solo in un secondo tempo realizzai che non si trattava di calciatori ma di tifosi che si erano radunati per protestare contro la situazione interlocutoria in cui versava la società e la relativa campagna acquisti estiva. Mi avvicinai, qualcuno mi riconobbe e notai da subito una certa tensione nei miei confronti, figlia di alcuni dissapori legati alla stagione della retrocessione.
Chiamai Bellia e gli dissi che lì c’erano dei tifosi che volevano parlare con lui, ma mi chiese di raggiungerlo in un hotel della zona.
Lo raggiunsi subito e trovai oltre a lui il dott. Galigani che conoscevo da tempo. Mi disse che una volta circolata la notizia del mio ritorno a Chieti era stato attorniato da due ultrà che lo avevano “invitato” a non prendere me come allenatore in quanto mi ero comportato male con loro nella precedente esperienza del 2005-06 e che quindi non poteva dare seguito alla parola datami.
Era però molto combattuto; mi liquidò infatti dicendomi che mi avrebbe chiamato dopo qualche ora e di iniziare a pensare a qualche mossa di mercato. Concluse aggiungendo << ci vediamo il giorno della presentazione>>.
Bellia non mi chiamò; seppi che andò allo stadio per partecipare ad una riunione indetta con gli ultras e il giorno dopo fu annunciato Pino di Meo come nuovo allenatore del Chieti.
Allora io lo chiamai e gli dissi in maniera chiara ed educata che quel tipo di comportamento non mi era piaciuto; ero stato cercato dal Chieti e gettato via. Non sono il tipo abituato per mia indole a chiedere, a pregare o supplicare qualcuno di darmi una chance, mi era arrivata inaspettata ed io non l’avevo chiesta, ma almeno chiedevo rispetto.
Avevo un enorme dispiacere per quello che mi era successo e soprattutto perché mi era successo a Chieti, con quei tifosi che avevo tanto amato e che ora non mi avevano più voluto.
Fu una brutta botta, ci misi tanto a riprendermi; pubblicamente fu detto poi che “i tifosi cacciano Morganti” non fu una bella storia.

Capitolo IV: Gabriele Morganti osservatore. Com'è nata la collaborazione con la Sampdoria? Quali calciatori è riuscito a segnalare alla ribalta del “grande calcio”?
Dopo l’esperienza di cui ti ho appena parlato ero talmente amareggiato ed avvilito che avevo la nausea al solo pensiero di allenare e volevo provare qualcosa di diverso. Si aprì questa possibilità grazie al mio vecchio compagno di squadra a Como ed ex giocatore della Samp Giovanni Invernizzi ed io la presi al volo.
Sono stati due anni in cui ho imparato tanto ed utilissimi per la mia crescita professionale. Sono riuscito a segnalare quattro cinque giocatori, il nome che voglio fare però è quello di un classe 1998 Giacomo Vrioni.
Giacomo è una punta molto forte, giocava nelle giovanili del Matelica; la Samp lo prese per farlo giocare prima negli allievi e poi nella primavera. Nonostante il rapporto professionale con i blucerchiati sia cessato, un paio di mesi fa i miei vecchi collaboratori mi hanno chiamato per dirmi che il ragazzo sta andando molto bene e che aveva siglato una doppietta nella vittoria 4-2 contro la primavera della Juve allenata da Fabio Grosso.

Allora ci annotiamo questo nome, ne sentiremo parlare.
Ne sono certo!

 

Ci parli della sua ultima esperienza in quel di Bellaria e dei motivi per i quali il suo rapporto professionale con la società romagnola si è interrotto bruscamente.
Mi era tornata la voglia di allenare e quando Traini mi ha chiamato prospettandomi una avventura a Bellaria in D con un gruppo di giovani ho accettato subito. C’erano enormi problemi ma io cercavo di vedere solo i lati positivi: il lavoro in campo e il rapporto con la squadra e da questo punto di vista ho avuto tante soddisfazioni. Ma quando mi sono reso conto che nonostante tutto l’impegno e l’applicazione dei giocatori purtroppo non eravamo competitivi ho preferito lasciare. E’ stata comunque una bella esperienza che mi ha fatto capire che sono ancora capace di allenare e di saper gestire un gruppo.

 

Alcune considerazioni di carattere generale. Quali sono nel calcio moderno le principali caratteristiche che un talent scout deve avere? E su quali deve puntare in maniera imprescindibile per scovare il fenomeno del domani?
L’esperienza come osservatore mi è stata utilissima. Intanto dico che è molto difficile valutare calciatori in fase di crescita.
Certamente le caratteristiche principali sono struttura e forza fisica, velocità, elasticità, reattività. Si parla molto in questo periodo di Sensi
(è un classe 95) che gioca nel Cesena di Drago oppure di Mandragora di proprietà del Genoa; sono certamente due ottime promesse con grande velocità di gambe ma fondamentale per diventare un calciatore professionista è la stabilità mentale, la capacità di sopportare le pressioni per lungo tempo e la fame di arrivare. Tanti giovani promettenti alle prime difficoltà crollano dal punto di vista mentale e non riescono ad affiancare alle doti tecniche una struttura caratteriale adeguata.

 

Da intenditore di calcio a 360° e grande conoscitore della nostra piazza, quale è secondo lei il tipo di progetto e organizzazione che occorrerebbe dare al Chieti per farne una società sportiva degna della città e in grado di sostenersi in modo efficace e durevole?
La parola chiave è programmazione. Non basta chiamarsi Chieti per vincere il campionato o dire apertamente di volerlo fare. Corazzate come Sambenedettese e Fano, con fior fiori di attaccanti, cercano da anni di risalire la china ed arrivare in lega pro senza successo. Le pressioni che ci sono in queste piazze non sono semplici da sopportare per calciatori dilettanti. Ci vogliono giocatori e soprattutto uomini che abbiano spalle larghe a sufficienza per reggere i risultati negativi e le eventuali intimidazioni della grande piazza.
Poi c’è il discorso fuoriquota che nella serie D di oggi è fondamentale; i ragazzi devono avere un rendimento scolastico buono e nel contempo allenarsi sempre con molto impegno e non è semplice mantenere la retta via dal punto di vista fisico e mentale.
Oggi tante squadre partono con un organico a settembre per poi stravolgerlo in fase di mercato; cambiare dieci/dodici giocatori a dicembre significa che manca programmazione e certe scelte alla lunga le paghi.
Il campionato di serie D è durissimo; mi metto nei panni del Chieti e penso che mancano cinque mesi alla fine del campionato e devi giocare senza avere un obiettivo in quanto la promozione è impossibile da raggiungere. Sarà durissimo tenere alta la concentrazione fino a maggio.

Qual è l’ultima partita del Chieti che ha visto dal vivo?
L’ultima l’ho vista all’Angelini due o tre anni fa, era un Chieti-l’Aquila di serie C2. Quest’anno non ho ancora avuto l’occasione ma magari prima di fine stagione riuscirò a vederne una.

Se dipendesse da lei tornerebbe a lavorare per i nostri colori o lo ritiene un capitolo chiuso?
Nella vita mai dire mai, ma dovrei sicuramente ritrovare un ambiente completamente diverso da quello che ho lasciato nel 2013.
Sono stato felicissimo del rimpatriata che abbiamo fatto a giugno scorso, spero si riproponga presto magari con una migliore organizzazione. Ho ritrovato con piacere tanti tifosi ed a proposito di questo voglio raccontarti un aneddoto. Durante la stagione da direttore sportivo conobbi una coppia di ragazzi giovani con i quali nacque subito una simpatia reciproca. Li ho ritrovati sposati nel giugno 2001 quando vincemmo il campionato ma per motivi di lavoro si erano trasferiti in Romagna. Nel giugno scorso in occasione della rimpatriata di cui sopra li ho rivisti in tribuna insieme alle loro due figlie; li ho raggiunti ed abbracciati vigorosamente, forse anche troppo. Mi sono emozionato tantissimo, è come se io fossi cresciuto insieme alla loro famiglia, è stata una bellissima sensazione!
Sono stato felicissimo di quell’incontro, è’ stato il più bel regalo di quella fantastica giornata.

 

Mi conceda una battuta: lei è riuscito ad espugnare il comunale di Teramo da capitano, da DS e da allenatore, un incubo per i biancorossi! Quale delle tre vittorie rivivrebbe domani?
Da allenatore, non ho dubbi! Quella squadra attraversava una fase di costante crescita, fu una grande vittoria. La punizione di Barni e la sua corsa di 60 metri per raggiungere il settore occupato dai nostri tifosi e, subito dopo il pareggio del Teramo, cross millimetrico di Fabio Grosso e gol di testa di Beppe Mosca con il settore ospiti in delirio, bellissimo!


Concludo con un po' di romanticismo...E' stato più bello vincere con la fascia da capitano al braccio o con la cravatta al collo?
Anche qui non ho dubbi, con la cravatta! Da calciatore forse non riesci a capire o percepire fino in fondo quello che hai fatto ma da allenatore è diverso, essendo direttamente responsabile del gruppo e plasmandolo a tua immagine.

 

Qual è il ricordo più bello che ha del pubblico di Chieti?
La trasferta di Firenze contro la Rondinella. Percorrevo il sottopassaggio che porta al terreno di gioco e sentivo i tifosi intonare un coro a me riferito che diceva una roba del tipo “sei la cosa più bella che c’è”.
Quel coro mi ha accompagnato fino in panchina, non lo dimenticherò mai!


Come definirebbe in una sola parola la storia tra Gabriele Morganti ed il Chieti?

Incancellabile! Una fetta importante della mia vita è legata a Chieti, dal 1989 al 2013; ho tantissimi amici, tra i quali cito i proprietari del ristorante Nino, mi sono rimasti tanti affetti fuori e dentro il mondo del calcio. Il sentimento che provo per Chieti ed il Chieti è amore puro, mi sento addosso questi colori. Nelle mie vene scorre sangue neroverde!

 


Mi conceda un piccolo spazio personale; ricordo quando io da bambino vedevo lei calcare il prato dell’Angelini, poi da giovanotto la ricordo come DS, da ometto come allenatore ed ora mi ritrovo da uomo a chiacchierare amabilmente con lei dei tempi che furono.
Sentirla parlare così di Chieti e del Chieti quasi mi commuove!

A nome di tutta la nostra redazione la ringrazio per il tempo che ci ha dedicato. La professionalità e la serietà che ha sempre dimostrato indossando i nostri colori in campo, dietro la scrivania ed in panchina sono gli aspetti che la legano e la legheranno per sempre a diverse generazioni di tifosi neroverdi e alla storia della nostra amata squadra di calcio.
Tanti auguri di un sereno Natale ed in bocca al lupo di cuore per il suo futuro professionale!

Grazie mille! La mia vita sarà indissolubilmente legata a questa città e a questi colori. Tanti auguri a voi!




Condividi
Pin It