Diciotto gol in campionato, 15 giorni senza contratto e almeno 4 squadre che gli stanno alle calcagna, tranne quella che gli ha ridato la gioia di giocare di nuovo tra i professionisti dopo un periodo di fermo forzato. Questo è Claudio De Sousa, l’attaccante che nel corso della stagione appena passata ha dato al Chieti più di qualcosa in più, il giocatore di altre categorie che da tempo non vedevamo come Quagliarella, Grosso e Chiesa. L’abbiamo incontrato in un bar di Roma. Fa sempre strano incontrare una persona conosciuta di fama e per di più dove non l’hai mai vista prima e, come se non bastasse, senza quella che era la sua casacca fino al 30 giugno. Veste un paio di pantaloncini a quadri e una canottiera gialla che porta impressa una pantera cavalcata da una procace ragazza in bikini. Mi fa pensare a una sorta di rappresentazione dell’immaginario collettivo della tifoseria del Chieti: l’idolo “che la mette dentro” e scatena l’erotismo della curva che si fa curve.

«Una bottiglia d’acqua naturale, grazie» È la risposta alla prima domanda non appena ci sediamo al tavolo. Claudio non è il nome che fa per lui: Modesto de Sousa doveva chiamarsi. Perché? Perché sembra un ragazzo così normale che è come se non sapesse di essere un campione. Oppure lo sa così bene che non ha bisogno di mettere insegne o striscioni per ribadirlo. Una delle due, va bene lo stesso.

 

Claudio, grazie per aver accettato l’invito di TifoChieti.com. Tutti sappiamo chi sei e qual è la tua storia. Ma tu chi come ti definiresti?

Accenna un sorriso, incrocia le braccia e poi comincia serio: «Io sono un ragazzo normalissimo, una persona umile che ha avuto la fortuna di giocare a calcio, anche in squadre importanti, però credo che la cosa che mi ha sempre contraddistinto è l’umiltà, da sempre. Per il resto sono un ragazzo normale».

Come sei arrivato a Chieti?

«A Chieti sono arrivato tramite Battisti. Erano due anni che ero fermo con il calcio perché avevo avuto un problema con un’arteria al piede che mi si era occlusa e avevo dovuto interrompere. In quei due anni di inattività completa mi sono sempre allenato da solo. Avevo tanta voglia di tornare un giorno a giocare anche se i medici mi avevano detto che non sapevano quale sarebbe stata la durata dello stop: potevo stare fermo due, tre, cinque anni o anche smettere definitivamente. Poi, quando ho cominciato a risentirmi bene con il piede e sono andato a giocare a San Marino in un campionato minore, ho deciso di ricominciare sul serio. Battisti era un amico di vecchia data e mi ha offerto l’opportunità di giocare nel Chieti in Lega Pro, una piazza importante e una squadra giovane: insomma una condizione ideale per chi come me voleva rimettersi in discussione. E ho accettato, senza pensare minimamente al contratto e a nient’altro. Così sono venuto a Chieti».

Come ci si sente quando tutti ti dicono che sei un campione e poi improvvisamente devi smettere?

«Eh…. non è una bella una cosa. Non la auguro a nessuno perché è veramente brutto per un atleta dover interrompere ad un certo punto la propria carriera. È stato un momento molto difficile per me. Avevo due possibilità: o buttarmi giù o dare il massimo per poter tornare un giorno a giocare. Dopo la sconforto subentra la voglia di rialzarsi, di mettere tutta la propria determinazione e questo mi ha consentito di non abbattermi più di tanto, di essere razionale con quello che mi stava succedendo e fare di tutto per provare a rientrare in gioco. Dunque visite, allenamenti da solo, palestra, terapie… anche quando la speranza non c’era. Ma poi ce l’ho fatta».

In questo periodo hai mai pensato di fare qualcosa di diverso?

«In alcuni momenti ci pensi. Quando credi di non poter più giocare al calcio, indubbiamente lo fai. Però pensavo anche che non potevo abbandonare il calcio per una cosa così piccola, per una vena occlusa. Quindi ho sempre avuto la speranza di tornare anche perché mi avevano detto che il mio problema poteva migliorare se mi allenavo, “pompavo” sangue nel piede e favorivo la vascolarizzazione. Più mi allenavo e più si poteva risolvere la cosa».

 

Che cosa hai trovato a Chieti? Che cosa ti ha colpito positivamente e cosa invece non ti è piaciuto?

«A Chieti ho trovato un ambiente famigliare. Quest’anno il Chieti per me è stato come una famiglia dove ho trovato ragazzi giovani, bravissimi e disponibilissimi, e i direttori, Battisti e Di Giampaolo, sono stati davvero persone stupende per come mettono a loro agio i ragazzi e li trattano, nonostante le mille difficoltà e la disponibilità economica della società non fosse quella ideale per far star bene un calciatore, per tanti motivi. Per esempio, ci allenavamo su un campo distante 15 chilometri e dovevamo tornare allo stadio per farci la doccia, in estate e in inverno. Per dirne una. Nonostante tutto questo, non ci hanno fatto mai mancare nulla. L’allenatore è stato secondo me bravissimo e ha fatto un ottimo lavoro dando la possibilità ad alcuni ragazzi di ritagliarsi uno spazio e anche io, dopo il primo momento di ambientamento nel quale ero comunque in discussione, ho avuto il modo di far emergere le mie qualità. I tifosi poi con me sono stati davvero eccezionali».

 

Quale è stata, secondo te, la forza del Chieti durante il campionato e che cosa è mancato alla fine?

«Secondo me il Chieti ha fatto un grande campionato rispetto a quelli che erano i valori delle squadre nel nostro girone. Facendo una valutazione concreta, la Chieti Calcio ha speso meno del Fondi e dell’Aversa Normanna che sono retrocessi a febbraio. Noi con quel budget siamo arrivati ai playoff. È chiaro poi che l’appetito vien mangiando: quando vedi che stai facendo bene, che sei lì e puoi giocartela con tutti, uno prova a vincere. Abbiamo trovato a quel punto della stagione l’Aquila che è stata più esperta di noi. Secondo me ci è mancata l’esperienza, ci siamo scoperti troppo e abbiamo concesso troppo. Loro sono rimasti indietro, gli abbiamo dato due occasioni e le hanno sfruttate: anche se il secondo gol è arrivato per errore del portiere, il primo è stato su contropiede. Hanno fatto quello che dovevamo fare noi. Se fossimo stati più esperti, forse avremmo perso ugualmente, ma non in quel modo lì. I playoff sono partite aperte ad ogni risultato: quel 2-0 non lo meritavamo, ma ci ha tagliato le gambe, e al ritorno avremmo potuto fare un gol in più e saremmo passati noi. È andata così».

 

Tra i giocatori che hai avuto come compagni al Chieti quali ti porteresti dietro?

«A me piace molto Bigoni. Un ragazzo bravissimo e un calciatore molto valido che merita, secondo me, altre categorie. Poi ce ne sono tanti altri. Gigli è un giocatore di prospettiva, anche Pepe potrebbe fare categorie superiori e poi penso a Del Pinto. Questi sono quelli che mi piacciono di più».

E dei tifosi cosa pensi?

«Li porterò sempre dentro di me, comunque vadano le cose. Per quanto mi riguarda, ho vissuto un anno fantastico perché mi hanno amato dal primo all’ultimo giorno. Nonostante ci siano stati problemi con lo scioglimento degli Irriducibili e numericamente siano stati pochi, per il resto ci hanno sempre sostenuto, accompagnato e ci hanno dato massimo sostegno fino ai playoff, anche in allenamento. Sono stati straordinari con noi. Penso che quella del Chieti sia una bellissima tifoseria, sicuramente una delle migliori, soprattutto in queste categorie».

Dei tuoi gol, trovo che il più bello sia stato il primo a l’Aquila in campionato: lancio di Del Pinto e tu che tiri in corsa da fuori area in diagonale, senza guardare e senza dare la possibilità ai due difensori di contrastarti né al portiere di piazzarsi. Istinto, potenza, velocità, tecnica. Condividi?

«Sì… anche il secondo alla Salernitana, con il sinistro di controbalzo mi è piaciuto molto, così come quello all’Aversa Normanna. Sono tutti belli e diversi, ma credo che esteticamente alla fine sceglierei anche io quello all’Aquila».

Ascolta: rimani o vai via?

(Sorride) «Questa è una domanda che non dovresti fare a me, ma a qualcun altro».

 

Allora mettiamola così: vorresti rimanere oppure pensi di poter meritare di più?

«Io sono partito in ritiro lo scorso anno con la Chieti Calcio con un obiettivo: innanzitutto verificare se potevo stare ancora in mezzo ad un campo da calcio dopo due anni e mezzo fermo, ma anche quello di tornare a giocare a livelli superiori. Sinceramente, per quelli che sono i livelli della Serie C attuale, posso farlo, ma proprio per questo io e il presidente abbiamo fatto un solo anno di contratto: prendere un giocatore, anche se su consiglio di Battisti e con un passato di rilievo, con i problemi che avevo avuto io era obiettivamente un rischio».

Quindi tu ora sei senza contratto…

«Sì, sono svincolato, ma questo era negli accordi. Mi hanno detto: se va bene, alla fine te ne vai; se va male noi abbiamo speso il minimo. Il mio obiettivo era quello di salire di categoria e, avendo fatto bene, voglio raggiungerlo. Sto valutando alcune proposte, ma ad oggi (15 luglio, ndr) non ho ricevuto nessuna offerta dal Chieti. I motivi forse li sai meglio di me: fino a due giorni fa non si sapeva se la squadra si iscriveva o meno, chi fosse il direttore sportivo, l’allenatore, se restava Bellia o no… tutte queste vicissitudini hanno fatto sì che forse hanno pensato prima ad assicurare la permanenza del Chieti nel calcio prima di allestire la squadra ed eventualmente a rinnovare il contratto a De Sousa. Le loro priorità evidentemente erano altre».

L’Aquila, Salernitana, Crotone. Queste sono le squadre che ti vorrebbero. C’è qualcosa di vero?

«Con la Salernitana c’è stata una trattativa che è durata per un mese e mezzo più o meno avanzata, ma da una settimana circa sembra tutto sfumato anche perché hanno preso un altro giocatore. Le proposte concrete che ho sono: L’Aquila, Crotone, Lugano – dove gioca anche l’ex neroverde Jonathan Sabbatini, ndr – e altre ancora. L’ultima è quella del Messina. Ovvio che se mi arriva una proposta del Chieti la valuto. Ovvio che mi piacerebbe scegliere sempre Chieti: l’ho detto sempre e lo ribadisco. Ovvio che se ricevo una proposta superiore in tutto, faccio una scelta diversa, come credo qualsiasi altro giocatore».

Quando prenderai una decisione?

«Non lo so. Ogni giorno potrebbe essere quello buono».

Che cosa pensi del calcio di Seconda Divisione come regole e livello?

«In Italia il calcio è cambiato tantissimo. Io ho esordito in C1 a 16 anni nella Lodigiani e incontrammo anche il Chieti dove giocava Battisti. Era un calcio diverso. Oggi è cambiato completamente:  prima la Serie C era molto più difficile, con squadre e giocatori importanti. Oggi invece fanno giocare molti giovani e questo è anche giusto, ma trovo la regola del minutaggio sbagliatissima: è vero che così dai al vivaio italiano di crescere i propri giovani, ma devo dire che spesso gioca chi non meriterebbe di giocare al calcio e toglie il posto a un ragazzo che, siccome ha 23 anni invece di averne 20, non ha la possibilità di dimostrare quello che vale veramente.  E poi penso che così tu illudi l’under: lo fai giocare per forza, ma se non vale, l’anno successivo non gioca ugualmente. In generale dunque, non mi piace il calcio di Serie C però questo offre la casa e bisogna adeguarsi».

 

Conosci TifoChieti.com? Ti piace?

«Sì, lo leggo spesso e mi piace. Sito ben fatto, notizie sempre aggiornate e quindi quando voglio sapere qualcosa vado sempre lì. Vi seguo sempre».

Che cosa pensi di dover dire ai tifosi del Chieti, qualunque sia il tuo futuro?

«I tifosi al Chieti hanno dimostrato grande attaccamento alla maglia e a me come persona ogni giorno durante l’anno. Ricevo da loro moltissimi messaggi e ringraziamenti e sono proprio loro i primi a rendersi conto che un giocatore che vale deve seguire la propria carriera. Nel momento in cui non ci dovessero essere offerte così superiori rispetto a quelle che mi potrebbe fare il Chieti, loro sanno già che voglio rimanere a Chieti. Io andrò via solo se non potrò farne a meno. Li ringrazio ancora una volta per quello che mi hanno dimostrato e speriamo di rivederci presto. Loro sono stati sicuramente una componente importante di un anno stupendo».

Sono passati 20 minuti. Sembrano pochi, ma ritagliarli in una metropoli con tanti impegni non è stato facile, tanto che ho avuto paura che non ce l’avremmo fatta. Claudio è venuto dall’altra parte della Città per questo appuntamento e fuori c’è un caldo da morire, ma ho ancora la faccia tosta di chiedergli due cose: posare per una foto e un breve saluto filmato indossando la sciarpa di TifoChieti. Io gliela porgo, lui la guarda prima e poi se la mette intorno al collo aspettando pazientemente un mio cenno. Stretta di mano, tanti auguri di rito e il suo ultimo saluto è «Buon ritorno». Io sorrido e penso «Il tuo? Magari!»

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