L’ultimo giorno del 1967, una domenica, fu speciale per Ivan Bertuolo. Indimenticabile. In quel gelido pomeriggio del 31 dicembre di quasi 50 anni fa il ventenne difensore bolzanino esordì in serie A in maglia nerazzurra atalantina. Erano tempi in cui il campionato non si fermava mai (o quasi). Eccolo il tabellino della partita disputata allo stadio “Azzurri d’Italia” a Bergamo. E’ importante conoscere le formazioni che diedero vita alla sfida per alcuni curiosi (e incredibili) particolari.

Atalanta-Spal 1-0 (tredicesima giornata)

Atalanta: Giuseppe Valsecchi; Gian Piero Marchetti, Giancarlo Cella; Franco Nodari, Ivan Bertuolo, Sandro Tiberi; Elvio Salvori, Lucio Dell’Angelo, Giancarlo Danova, Giuseppe Savoldi, Roberto Rigotto. All. Paolo Tabanelli

Spal: Renato Cipollini; Glauco Tomasin, Paolino Stanzial; Luigi Pasetti, Giulio Boldrini, Alberto Bigon; Arturo Bertuccioli, Edoardo Reja, Domenico Parola, Gastone Bean, Orlando Rozzoni. All. Francesco Petagna

Arbitro: Bruno De Marchi

Marcatore: 50’ Danova

E’ davvero sorprendente (ai limiti del credibile) il fatto che nell’Atalanta vi fossero due giocatori che erano già stati in forza al Chieti (Nodari e Tiberi) e altri due che ne avrebbero fatto parte (Salvori e appunto Bertuolo). Senza dimenticare che allenatore della Spal era Francesco Petagna, tecnico teatino alcuni anni prima (1963).

Franco Nodari (1939-2015) giocò con il Chieti nel 1961-62 collezionando 33 presenze. Mitico stopper atalantino, soprannominato in dialetto bergamasco “gat de marm”, gatto di marmo, per esaltarne l’agilità felina e la granitica solidità fisica. Molti anziani tifosi a Chieti se lo ricordano ancora benissimo. Sandro Tiberi (1938) rimase più a lungo in maglia neroverde, due campionati dal ‘60 al ’62, con un sontuoso stato di servizio: 55 presenze e 7 reti. Di Salvori (al Chieti dal 1977 al 1979) ci siamo occupati recentemente con un’intervista proprio qui su “Tifochieti”.

<Spesso quei miei due eccezionali compagni, Nodari e Tiberi, mi ripetevano: “Per crescere devi andare a Chieti. Vai lì a farti le ossa, diventerai un giocatore vero”> ricorda Ivan.

Bertuolo, pure questo va detto subito, appartiene a una dinastia di calciatori. Sono quattro fratelli, una femmina, la primogenita, e tre maschi, tutti nati ad intervalli regolari: 6 anni. Prima venne Lia (1929), poi Angelo (1935), Bruno (1941) e Ivan (1947). I tre sono stati tutti calciatori e per giunta difensori, nessuno ha mai pensato a ruoli diversi. Fantastica - no? - tanta affinità di geni. Angelo ha giocato a lungo con il Foggia (60 presenze in B e 3 in A con una promozione nella massina divisione), Bruno è stato a lungo colonna del Barletta. Uno dei racconti più gustosi quando c’è una riunione di famiglia oppure un’intervista collettiva è quello di un derby Barletta-Foggia con Bruno contro Angelo. C’è anche Luca, figlio di Angelo, calciatore nel Bolzano. I quattro Bertuolo recentemente sono stati premiati dalla giunta comunale di Laives con pergamena e targa ricordo nel corso di una bellissima cerimonia <perché hanno portato con onore in giro per l’Italia il nome del nostro paese> la motivazione.

Chi è stato il più forte di voi tre?

<Certamente io, del resto sono quello che ha fatto più strada> dice sorridendo Ivan. <Siamo nati con il 5 sulla schiena. Poi Bruno ha giocato anche da terzino, come me ad un certo punto della carriera. E’ stato Giammarinaro a cambiarmi il ruolo. Angelo è stato a lungo nel Foggia di Oronzo Pugliese, in rossonero dalla C alla serie A. Bruno ha disputato diverse stagioni col Barletta. Non ho mai affrontato uno dei miei fratelli. Invece Bruno ed io ci siamo ritrovati insieme nel Bolzano. Sui giornali lui era Bertuolo II, io Bertuolo III>.

Ivan Bertuolo, nato a Laives (Bolzano) il 19 aprile 1947, calciatore di impeccabile professionalità, asburgico per serietà e dedizione alla maglia, vanta 97 presenze in serie A con Atalanta, Palermo e Mantova. <Potevo fare di più, ma non ho mai leccato il culo a nessuno, non sono stato mai un ruffiano e sono contento di quello che ho fatto. Quanto ho ottenuto è stato frutto del mio lavoro e del mio impegno, in campo e fuori>. Ha lasciato le sue montagne, adesso vive a Uboldo, in provincia di Varese, nei pressi di Saronno, e c’è una ragione che la dice lunga sul carattere di questo personaggio, grande ex neroverde. <Ho iniziato a giocare giovanissimo, ho lasciato casa quando avevo 16 anni. Prima esperienza vera con la Solbiatese e fu allora da quelle parti che conobbi Tina, diventata poi mia moglie. Ho due figli, Matteo e Elena che mi ha reso nonno di due bellissime nipotine>.

Ivan nel Chieti ha giocato dal 1976 al 1980. Un torneo, il primo in serie D, altri tre in C (C1 gli ultimi due). In totale (parliamo dei soli campionati) 145 presenze.

Dunque a Chieti nel 1976. Ed è un’altra cosa cui si stenta a credere. Ma come, uno che ha giocato in serie A e ha poi avuto esperienze anche in B accetta il trasferimento in una squadra allora precipitata in serie D?

<La spiegazione c’è. Ero a Lecce, avevamo vinto il campionato di serie C. Un giorno mi chiama l’allenatore Mimmo Renna per farmi un discorso strano, che non mi aspettavo. Dice di considerarmi vecchio per la serie B e che non facevo più parte del suo progetto. A nemmeno trent’anni ero da buttar via? Me ne tornai a Laives pieno di rabbia. Giammarinaro mi cercava da tempo, quando seppe che non ero più in forza al Lecce e senza squadra, tornò alla carica e mi convinse ad accettare la proposta del Chieti. Mi tornarono anche in mente le parole di Nodari e Tiberi “Vai a Chieti, ti troverai bene, è un bel posto”. Inoltre consideravo Chieti di passaggio in D. A livello di serie C è stata una piazza sempre molto apprezzata dai giocatori. C’era ancora quel grande presidente che è stato Guido Angelini, un personaggio che godeva nell’ambiente di unanime stima. Per tutti questi motivi dissi sì a Giammarinaro. Cercavo anche una rivincita personale nei confronti del Lecce e di Renna: mi considerate finito e non adatto alla B, io che ho disputato quasi cento partite in serie A? Ve ne accorgerete…>.

E la squadra vinse il campionato.

<Esito scontato, in D eravamo una corazzata, non potevamo non centrare l’obiettivo-promozione. Fu un trionfo ma non trovammo la strada completamente in discesa. Vi raccomando alcune tremende trasferte in Campania>.

Poi Angelini uscì di scena e il Chieti diventò società per azioni, con sbandierate ambizioni.

<Gruppo fortissimo. Cito i nomi di Torrisi, Berlanda, Menconi. Io giocavo terzino perché il centrale di difesa era Colzato che veniva dal Brescia. Calciatori importanti per la categoria e programmi di alto profilo. Una stagione con sfide bellissime perché c’erano avversari che si chiamavano Pisa, Lucchese, Parma. Chiusa l’esperienza Giammarinaro, la squadra venne affidata a Volpi, altro allenatore valido, che riuscì ad ottenere buoni risultati. Ma in società, purtroppo, le cose andavano in un certo modo e tutto svanì nel giro di pochi anni. Comunque anche nella stagione successiva ci prendemmo le nostre soddisfazioni, per esempio disputando la finale del torneo anglo-italiano che era una prestigiosa manifestazione internazionale. Peccato per la retrocessione al mio quarto anno. Se faccio un bilancio, posso dire di aver trascorso a Chieti un periodo molto bello della mia vita e della mia attività professionale. L’Abruzzo è una regione che amo. Non dimenticate che ho giocato anche in serie B col Pescara di Tom Rosati e del presidente Capacchietti>.

Eppure con i tifosi del Chieti hai avuto un eccellente rapporto.

<Stupendo, davvero stupendo. Io ho sempre abitato a Chieti Scalo proprio per stare in mezzo alla gente, per un contatto costante con gli sportivi neroverdi. Ho subito scartato l’idea di sistemarmi a Francavilla come altri compagni. No, io volevo vivere la città. I miei punti di riferimento, i posti dove trascorrevo buona parte del mio tempo libero a fare quattro chiacchiere, erano l’officina elettrauto dei fratelli Bandiera e la macelleria di Tonino D’Egidio, un amico purtroppo scomparso. Quando andavo a vedere le partite di pallavolo al sabato i tifosi dalle tribune gridavano il mio nome: “Ivan, Ivan…”. Qualche amico che talvolta mi accompagnava, mi diceva: “Oh, ma qui sei davvero un idolo”. A Chieti Scalo fondarono persino un club intitolato a Ivan Bertuolo.  (come testimoniato dal gagliardetto in foto ndr)

Sì, a Chieti sono stato benissimo. Come del resto mia moglie e i miei figli che hanno frequentato lì alcuni dei loro anni scolastici>.

Nel Chieti hai anche portato la fascia di capitano.

<In D il capitano era Cantarelli. Poi in C Giammarinaro volle affidare a me quella responsabilità. Volpi confermò la scelta>.

Perchè tanto affetto?

<Per la semplice ragione che in campo ho sempre dato tutto e questo i tifosi lo capiscono ed apprezzano ovunque. Rimboccarsi le maniche e sgobbare, in allenamento e in partita. Questa regola l’ho seguita dall’inizio alla fine della carriera. Inoltre mai mi è mancata una componente fondamentale nella nostra professione: l’entusiasmo. Sono tornato diverse volte a Chieti, l’ultima un anno fa. Sai una cosa? La gente mi riconosce ancora, segno che qualcosa di buono l’ho fatta in maglia neroverde. Ho passeggiato lungo corso Marrucino dove però ai miei tempi c’era molta più gente. Ho trovato un’atmosfera un po’ malinconica>.

Di Bertuolo conserva una venerazione Angelo Carpineta, uno dei tuoi compagni più giovani. Dice che per lui sei stato un esempio, un modello, che da te ha imparato tantissimo.

<Al Chieti ero uno dei più esperti e con altri ho sempre cercato di aiutare i ragazzi che facevano parte del gruppo. Li incoraggiavo, ero prodigo di consigli. Così furono possibili gli esordi di De Iuliis e di Carpineta. Lui era lo stopper, io il terzino. Soffriva la tensione tipica di chi è agli inizi. Perciò gli dicevo: “Tranquillo, ti aiuto io, non preoccuparti. Se ti scappa l’attaccante, so bene come fermarlo”. Angelo così riusciva a restare sereno>.

Gli attaccanti che ti hanno dato i maggiori grattacapi?

<In serie C nessuno in particolare. Di bravi ce n’erano diversi, però mi dava autostima il pensiero che in serie A avevo affrontato i più forti goleador degli Anni 60 e 70. Parlo di Gigi Riva, Bettega, Boninsegna, Anastasi>.

Segui il Chieti?

<Certamente, mi informo sempre. Parlando con gli amici, andando su Internet, peccato che sulla stampa sportiva adesso non ci sia nulla, ma riesco comunque a tenermi aggiornato. Mi rattrista vederlo così in basso, fa male al cuore pensare che adesso una squadra tanto gloriosa giochi in Eccellenza e che è stata addirittura più sotto. Non è da Chieti disputare un campionato regionale. E’ un club che ha sempre navigato a buoni livelli in serie C, era una delle realtà con più lunga storia in quella categoria. Non parlo solo dell’epoca d’oro legata al nome di Guido Angelini, perché anche in seguito, dopo di noi, la squadra si è imposta all’attenzione generale. Non dimentico che a Chieti non molti anni fa ha giocato uno come Enrico Chiesa. Un passato glorioso non può essere cancellato o finire nel grigiore dell’anonimato, ma va difeso e onorato riportando in alto i colori neroverdi. Chieti merita un posto fisso in serie C>.

Quindi il tuo augurio ai tifosi teatini?

<Che il Chieti venga subito su. Spero vinca il prossimo campionato di Eccellenza e che non si fermi, vada oltre. La sua risalita dovrà proseguire almeno fino alla serie C>.

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