di Franco Zappacosta

 

C’è un ex neroverde che dopo oltre 50 anni ricorda tutto, ma proprio tutto, della stagione trascorsa nel Chieti. Una memoria straordinaria e piena di energia, priva dei languori della nostalgia. Claudio Di Pucchio, nato a Sora l’8 agosto del 1944, disputò nella squadra neroverde il campionato 1965-66 che si concluse con una retrocessione dolorosa considerando i cospicui investimenti che in quell’estate del ‘65 fece Guido Angelini. Di Pucchio si salvò dal generale naufragio e l’anno dopo passò alla Lazio debuttando in maglia biancoceleste il 1° giugno del ’67 al Comunale di Torino. La Lazio venne sconfitta dalla Juve 2-1 ma lui realizzò su rigore il gol laziale. <Tra i pali bianconeri c’era uno bravissimo come Anzolin> ci tiene a sottolineare.

Eccola la bella, breve (e non fortunata) storia teatina di Claudio. Angelini lo acquistò dall’Avellino dove si era messo in luce. Era una delle giovani rivelazioni della serie C. Tempi d’oro quando persino i pezzi pregiati del mercato approdavano a Chieti, piazza ambita. <Avevo anche giocato nella Nazionale di categoria, serbatoio e vetrina di talenti, la critica mi giudicava tra le nuove leve uno dei più promettenti. Chieti a quel punto doveva essere il mio definitivo trampolino di lancio. Lo fu sul piano personale, meno bene andarono le cose a livello di gruppo>.

Angelini non badò a spese. Dopo Di Pucchio, prese dall’Aquila il centravanti Adriano Contestabile, altra grossa speranza del calcio italiano, protagonista di una sorprendente stagione con i rossoblù. <Insieme a noi due, arrivarono a Chieti via Milan i difensori Vitaloni e De Pedri, un centrocampista tatticamente raffinato come Narciso Pezzotti e poi c’erano due portieri fortissimi: uno più maturo, Bellagamba, formatosi nella Lazio; l’altro più giovane, Roberto Negrisolo, che il mio amico e compagno dell’Avellino, il centravanti Mujesan, definiva un vero fenomeno. Me ne parlava in termini davvero lusinghieri e me ne resi conto nel corso del campionato: Negrisolo era di una reattività stupefacente, elastico, scattante. E’ vero, il “baffo”, il buon Angelini, aveva investito molto per allestire una squadra competitiva, in grado di inserirsi nelle zone alte della classifica. Gruppo composto da ragazzi di belle speranze, decisi ad ottenere la consacrazione definitiva. Ma l’ambizioso progetto fallì, forse pagammo per la scarsa esperienza>.

Probabilmente Angelini sbagliò nel pensare ad una ulteriore scommessa: giovani affidati a un allenatore alla sua prima panchina, Giosuè Stucchi, romanista di lungo corso, ma inesperto nella veste di tecnico.

<Sono d’accordo. Per guidare quella squadra sarebbe stato meglio scegliere un pilota in possesso di un maggior numero di ore di volo. Angelini, quando la situazione cominciò a prendere una brutta piega, cosa fece? Pensò di cambiare un allenatore dopo l’altro in un vorticoso giro. Quell’anno si alternarono cinque tecnici sulla panchina del Chieti. Dopo Stucchi arrivò Arnaldo Leonzio, poi fu la volta di Cappelli direttore tecnico con Buzzin allenatore, infine toccò a Cristoforo Pinti, la soluzione interna alla quale si faceva ricorso nei momenti di emergenza. Lungo la strada si aggiunsero altre novità perché Angelini nel tentativo disperato di invertire la rotta continuava ad immettere giocatori: arrivarono due veterani come Arfuso, l’ala destra che aveva vinto il campionato con il Trani, e il mediano Smeriglio della Reggina>.

 

Giocatori piuttosto logori fisicamente, avevano già dato tutto.

<E’ così. Tornò anche Costantino Paradiso e il suo arrivo sconvolse lo spogliatoio, lo destabilizzò dandogli la botta finale. Aveva un atteggiamento troppo personalistico, lui sapeva di essere un idolo a Chieti e cercava di far pesare la popolarità di cui godeva>.

 

Immagini di quella stagione?

<Ricordo bene molte partite. Contro l’Akragas, alla Civitella, eravamo sotto di due gol, riuscimmo a pareggiare, tra l’altro segnai io la seconda rete, per il nostro 2-2. Avremmo potuto accontentarci ma l’inesperienza – appunto – ci fregò perché continuammo ad attaccare e finimmo col beccare il terzo gol, quello decisivo, su uno stupido contropiede (7 novembre 1965, reti di Spreafico, Morè, Spinelli, Di Pucchio, Franzò n.d.a) Altra gara stregata a Salerno, loro avevano in panchina Tom Rosati che avrebbe vinto il campionato. Negrisolo quel pomeriggio fu eccezionale, parò tutto, poi quasi al novantesimo ci fece gol Pierino Prati e lo stadio Vestuti quasi venne giù per le scene di esultanza del pubblico, ci saranno stati tredicimila spettatori (17 ottobre 1965 n.d.a).>.

 

Chieti, la città, i i tifosi: cosa ti resta dentro.

<Avevo poco più di vent’anni e tanta voglia di sfondare nel calcio. Mi sono trovato bene quell’anno, avevo in mente soprattutto il mio percorso professionale. Ho legato con tanti bravi compagni e ho conosciuto tanta brava gente. Per dire: anche l’inaspettata retrocessione fu un colpo durissimo per i tifosi ma tutto venne accettato civilmente, nessun eccesso. Noi scapoli avevamo l’alloggio in un palazzo nei pressi di Piazza Trinità, le pulizie erano affidate a una signora di Casalincontrada, si chiamava Bambina, proprio così. Nella mia stanza c’erano Pezzotti e Negrisolo che però era militare, arrivava il venerdì sera e ripartiva il lunedì. Il massimo dei diversivi rispetto alle passeggiate lungo corso Marrucino e alla Villa Comunale erano le saltuarie puntate a Pescara. Due passi in centro e sul lungomare, un modo per evadere>.

 

Il tuo rapporto con i tifosi neroverdi.

<Ottimo ma sono rimasto poco perché il legame diventasse solido e duraturo. Comunque ricordo ogni cosa con molta gioia e affetto>.

 

Dal Chieti alla Lazio e il debutto contro la Juve a Torino.

<Quel pomeriggio rimane nel mio cuore>.

 

Mancò però il decollo previsto da molti osservatori.

<E’ vero. Perché accadde, per quale ragione non riuscii a sfondare una volta raggiunta la serie A, l’obiettivo dei miei sogni giovanili? Non lo so io e non lo sanno nemmeno loro. Alcuni sostengono che sia capitato nella squadra sbagliata nel momento sbagliato>.

 

Ti sentiamo in grande forma.

<Mi fanno piacere queste parole. Cerco di non cedere agli agguati del tempo che passa. Ho perso molti amici in questi anni, penso soprattutto a Giorgio Chinaglia e ad Arrigo Dolso. Non due semplici compagni nella Lazio ma due fratelli>.

 

Dopo tante esperienze da allenatore adesso sei pensionato a tempo pieno.

<Al calcio ho dato molto, ho smesso con ogni impegno nel 2003 per motivi famigliari, mia moglie aveva dei problemi. Adesso sono sempre accanto a lei, recupero il tempo che non le ho dedicato>.

 

Segui il Chieti, sei informato sulle sue vicende?

<Cerco di tenermi aggiornato, anche perché l’Abruzzo non è lontano da Sora dove abito. Mi sembra che dopo un periodo poco esaltante ci siano ora nuove premesse, molto incoraggianti. Spero che il Chieti possa tornare a più alti livelli>.

 

Di solito chiudiamo le interviste con gli ex neroverdi invitandoli a salutare i tifosi del Chieti.

<Colgo volentieri l’occasione. Li ricordo con affetto e auguro loro le più grandi soddisfazioni>.

 

Ecco il tabellino della partita che segnò il debutto di Claudio Di Pucchio in serie A

Giovedì 1 giugno 1967 – Torino Stadio Comunale: Juventus-Lazio 2-1

Juventus: Anzolin, Gori, Leoncini; Bercellino I, Castano, Salvadore; Favalli, Del Sol, Zigoni, Cinesinho, Menichelli. Allenatore Heriberto Herrera

Lazio: Cei, Zanetti, Masiello; Carosi, Pagni, Castelletti; Di Pucchio, Burlando, Morrone, Marchesi, Sassaroli. Allenatore Neri

Arbitro Monti di Ancona.

Marcatori: 47’ Bercellino, 62’ Zigoni, 87’ Di Pucchio rigore

Segnala il cronista: <Sorprese all’annuncio delle formazioni: la Lazio schiera il giovane debuttante Di Pucchio al posto di D’Amato con il compito di francobollare a metà campo il temibile Cinesinho>. E ancora: <A tre minuti dal termine imprevisto arriva il gol della Lazio. Su cross di Morrone, Castano tocca involontariamente di mano. Tra le giustificate proteste bianconere, Monti assegna il rigore. Uscito il rigorista Marchesi, tocca al giovane Di Pucchio la battuta dagli undici metri. Trasformazione impeccabile con violento tiro a mezza altezza vicino al palo di Anzolin>.

Non male per un ragazzo di 23 anni arrivato dal Chieti.

 

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